Rimini: il centro storico

In collaborazione con Touring Club

L'itinerario esplora il nucleo della città romana intorno a piazza Tre Martiri, che corrisponde al sito dell’antico Foro, attraversata dal decumano (oggi corso d'Augusto) che dall'Arco di Augusto arriva al ponte di Tiberio

Passando per piazza Cavour, dall’alto Medioevo luogo rappresentativo e sede dei poteri religioso e civile, si raggiungono poi i monumenti simbolo della Rimini dei Malatesta, come Castel Sismondo e la cattedrale della città, il Tempio malatestiano

L'itinerario comprende inoltre la visita dei luoghi legati alla vita e all'opera di Federico Fellini, dal borgo di San Giuliano al nuovo Fellini Museum.

  • Lunghezza
    n.d.
  • Rimini Rimini (RN)

    All’estremo vertice sud-orientale della pianura padana, in posizione di cerniera tra questa e il fronte adriatico della penisola, Rimini m 5, ab. 149.335, ha conservato i valori di posizione che le furono conferiti dalla fondazione romana. Per la sua condizione di porta d’accesso da mezzogiorno alla pianura padana, la città ha subito pesanti alterazioni in conseguenza dell’ultimo conflitto mondiale (l’82 per cento dei fabbricati fu distrutto o gravemente danneggiato, il tessuto edilizio complessivo quasi totalmente modificato nel suo aspetto); e tuttavia conserva testimonianze, anche dell’antichità, di notevolissimo interesse. A Rimini si susseguono luoghi legati alla vita di Federico Fellini (1920-1993) e luoghi che rievocano la sua creatività artistica: borgo San Giuliano, il cinema Fulgor, il Grand Hotel, il Felini Museum di Castel Sismondo.

  • Piazza Tre Martiri Rimini (RN)

    L’ampio spazio fu così chiamato nel dopoguerra in ricordo di tre vittime partigiane fatte impiccare dagli occupanti tedeschi il 16 agosto 1944. La più antica intitolazione a Giulio Cesare ricordava che qui, secondo la tradizione, il condottiero avrebbe arringato i soldati della XIII legione appena varcato il Rubicone: un cippo con epigrafe richiama l’episodio in cui fu pronunciata la famosa frase «Alea iacta est» (il dado è tratto) e una statua in bronzo (copia di un originale romano) celebra il grande personaggio storico. La piazza corrisponde al sito dell’antico Foro di Ariminum. È il punto d’incontro fra l’asse collina-mare rappresentato dal cardine (le attuali vie Garibaldi-Quattro Novembre) e il decumano, prosecuzione urbana (oggi col nome di corso d’Augusto) della Via Flaminia, che al ponte di Tiberio si innestava nella Via Emilia. L’attuale invaso della piazza è il frutto di modifiche che nel tempo hanno realizzato uno spazio simmetricamente equilibrato per l’armonica curvatura di uno dei lati lunghi. Durante i lavori di riqualificazione della piazza e di via IV Novembre sono venute alla luce alcune strutture di epoca romana, riferibili a una costruzione di grandi dimensioni destinata a tempio o a basilica, e i resti di una fontana. In via IV Novembre è possibile osservare sezioni degli scavi. Presso il Museo della Città è custodita l’intera documentazione composta da rilievi, fotografie e disegni. La presenza dei portici sui due lati, documentata fin dal XIII secolo, è evento abbastanza eccezionale a Rimini (un editto di Sigismondo ne vieterà la costruzione per motivi igienici e di sicurezza). Sul lato orientale, al centro del portico si leva la torre dell’Orologio (1547), abbellita nel 1562 da un orologio a sfera, opera di Francesco Maria Coltellini, corredato da un quadrante solare-lunare perpetuo di Domenico Carini (1750). La torre venne ricostruita nel 1759 da Giovan Francesco Buonamici; distrutta nella parte superiore da un terremoto nel 1875, venne ripristinata nel 1933. Ai lati di questa, il palazzo Brioli, già Garampi, funse da osservatorio allorché (1752-53) Ruggero Boscovich e Cristoforo Maire compirono la misurazione geodetica da Roma a Rimini. Sul lato nord-ovest della piazza, in angolo con il corso d’Augusto, prospetta il palazzo Tingoli, appartenuto a una delle nobili famiglie riminesi nel secolo XVI; già ricostruito dopo il terremoto del 1672, appare oggi pesantemente restaurato a seguito dell’ultimo conflitto. Nell’isolato di fronte, tra il corso d’Augusto e la via Mentana, sono inglobati gli scarsi resti del teatro romano. All’estremità opposta della piazza, di fronte alla chiesa dei Minimi di S. Francesco di Paola o Paolotti (ricostruita nel 1963, conserva all’interno affreschi di Achille Funi), sorge isolato un elegante tempietto, edificato nel 1518 in forme bramantesche e nuovamente dopo il terremoto del 1672: occupa il sito ove, secondo la tradizione, S. Antonio di Padova avrebbe operato il cosiddetto «miracolo della mula» (l’animale si sarebbe inginocchiato davanti al sacramento, a confusione degli eretici patarini).

  • S. Bernardino Rimini (RN)

    Consacrata nel 1761. La rustica facciata e il fianco destra sono adorni di tre statue di santi di Carlo Sarti (1765), autore anche delle due effigi poste in fondo alla navata. L’interno, ultima opera di Giovanni Francesco Buonamici, si segnala per l’eleganza delle forme tardo-barocche e la chiarezza dell’impianto spaziale. Al 1° altare destro, S. Bernardino davanti a papa Martino V, affollata tela dell’Arrigoni (1600); al 2°, S. Francesco riceve le stimmate di Donato Creti (1746); al 3°, Immacolata e Ss. Margherita da Cortona e Pietro Regalato di Ercole Graziani (1752). Gli affreschi dell’abside sono di Giuseppe Milani (1767 circa). Al 3° altare sinistra, S. Giovanni da Capestrano e S. Pasquale Baylon del Creti (1744), e dello stesso, al 1°, S. Diego ridà la vista a un fanciullo (1732).

  • S. Agostino Rimini (RN)

    Detta anche di S. Giovanni Evangelista, tra le più notevoli della città. Eretta in forme romanico-gotiche intorno al 1247 dagli Eremitani, ha subito numerosi interventi nei secoli XVII e XVIII: la parte più antica e meglio conservata è quella absidale, di forme gotiche come il *campanile, il più alto della città. L’interno, a unica navata rettangolare e caratterizzato dall’imponente elevazione, venne rinnovato in forme barocche nel 1618-26, mentre la parte ornamentale, su disegno di Ferdinando Bibiena, risale circa al 1720. Il soffitto, ornato da stucchi, fu affrescato da Vittorio Bigari. Nel 1965 un incendio ha distrutto un organo monumentale con ornati in stucco di Antonio Trentanove (1777) e ha notevolmente danneggiato l’intero edificio, poi (1986) integralmente restaurato. Agli angoli dell’aula, otto statue in stucco di Carlo Sarti raffiguranti santi e beati agostiniani. Si segnalano inoltre: al 2° altare destro una tela (S. Tommaso di Villanova) di Marcantonio Franceschini; tra il 2° e il 1° altare sinistro un affresco (Madonna col Bambino e santi) del ’300. L’abside e la cappella ricavata alla base del campanile racchiudono le uniche testimonianze in città della scuola pittorica riminese del Trecento, che elabora la lezione giottesca in un linguaggio narrativo di realistica espressività. Gli *affreschi, venuti alla luce durante i restauri eseguiti dopo il terremoto del 1916, rivelano la presenza di almeno tre artisti. Nell’abside, gli affreschi della parete di fondo sono da attribuire al Maestro dell’Arengo: in alto, grandiosa figura del Cristo benedicente; sotto, la Madonna col Bambino in trono; più in basso, Cristo e la Maddalena. A un secondo pittore vanno assegnati quelli delle pareti laterali (storie di S. Giovanni Evangelista), sottostanti alle lunette affrescate da Vittorio Bigari (1721): parete sinistra, in alto, S. Giovanni Evangelista fa ruinare il tempio di Efeso e Martirio dello stesso nella caldaia d’olio bollente; sotto, Miracolo del veleno e S. Agostino dà la regola ai discepoli; parete destra, in alto, S. Giovanni Evangelista nell’isola di Patmos e Risurrezione di Drusiana; sotto, molto deteriorato, S. Giovanni che predica e Il santo assunto in cielo. Nello zoccolo, avanzi di affreschi votivi posteriori. A sinistra del presbiterio si passa nel battistero (abitualmente chiuso), ove è contenuto un grande *Crocifisso su tavola, attribuibile al Maestro dell’Arengo, che deriva l’impianto compositivo da un altro grande Crocifisso riminese, quello che Giotto dipinse per i Francescani al Tempio Malatestiano. A Giovanni da Rimini sono da attribuire i dipinti – assai lacunosi – della cappella invernale sotto il campanile (accesso dalla sagrestia), che in registri sovrapposti raffigurano le storie della Vergine: sopra la finestra ogivale in alto, frammento dello Sposalizio di Maria e Presentazione di Gesù al tempio; a destra della finestra, S. Agostino dà la regola ai frati e S. Monica e un giovane orante; a sinistra, S. Ambrogio, santo eremitano e donna inginocchiata; nella parete sinistra, Sogno di S. Gioacchino, sua offerta nel tempio, S. Anna incinta, Presepio coi pastori e le balie Gerom e Salome, Epifania; nella parete destra, Annunciazione, Presentazione di Maria al tempio, Transito di Maria. Il controsoffitto realizzato al tempo della ristrutturazione barocca nasconde la copertura a capriate originale. Sopra l’arco trionfale era rimasto occultato anche un grande affresco del Giudizio Universale, staccato e attualmente esposto al PART.

  • Palazzo dell'Arengo Rimini (RN)

    Palatium Comunis eretto in forme romanico-gotiche a partire dal 1204, secondo quanto risulta da un’iscrizione marmorea posta sotto il loggiato. Tipologicamente affine agli arengari dell’Italia settentrionale ma munito di una snella torre (rifatta nella parte superiore), era insieme sede delle adunanze del gran consiglio (sala sopra il portico), abitazione del podestà e carcere (entro la torre campanaria); l’aspetto attuale è l’esito di un pesante restauro operato da Gaspare Rastelli (1924). Il piano terreno, alto su una gradinata d’invenzione del restauratore, è aperto da arcate ogivali (i finestroni a ogiva sotto il portico sono moderni); nel sottopassaggio corrispondente alla seconda arcata sono infisse le vecchie misure comunali.

  • PART – Palazzi dell’Arte Rimini Rimini (RN)

    Museo nato nel 2020 dalla sinergia tra il Comune di Rimini e la Fondazione San Patrignano. I medievali palazzi dell’Arengo e del Podestà sono stati investiti da un progetto di restauro e valorizzazione architettonica, e ospitano settanta opere d’arte contemporanea. La raccolta, eclettica e composita, vanta importanti opere del Novecento e del nuovo millennio (da Emilio Isgrò a Mimmo Paladino, da Julian Schnabel a Sandro Chia, da Achille Perilli a Flavio Favelli, da William Kentridge a Zehra Dog ̆ an), ed è stata costituita dalla Fondazione grazie alla collaborazione di artisti, collezionisti e galleristi, a sostegno della propria operatività. Nella grandiosa sala dell’Arengo è esposto temporaneamente il timpano con il Giudizio Universale (m 5,70x16,80) proveniente dalla chiesa di S. Agostino, affresco di scuola trecentesca attribuito a Giovanni da Rimini. Il giardino retrostante che si affaccia su via G. Verdi ospita la collezione di grandi sculture (tra cui Giuseppe Penone, Arnaldo Pomodoro, Alberto Garutti, Kiki Smith, Chen Zhen, Piotr Uklanski, Paul Kneale), articolata in un percorso nel verde.

  • Piazza Cavour Rimini (RN)

    Grande spazio pubblico della città storica, dall’alto Medioevo luogo rappresentativo e sede dei poteri religioso e civile, nonché baricentro delle attività commerciali connesse allo sviluppo del quartiere a mare. Fino alla seconda metà del XVI secolo era chiusa dalla parte del corso d’Augusto da un isolato di case e aperta verso la spianata in direzione delle mura e verso l’antica cattedrale di S. Colomba; gli interventi realizzati nei secoli hanno regolarizzato la forma dell’invaso, tendendo a spostarne il baricentro verso il corso. Il Palazzo comunale, detto anche palazzo Garampi, è il primo edificio che forma il lato lungo nord-ovest della piazza. A fianco si elevano il palazzo dell’Arengo e l'adiacente palazzo del Podestà. Entrambi ospitano le opere d’arte contemporanea del PART – Palazzi dell’Arte Rimini. La statua di Paolo V, al centro della piazza, fu iniziata da Nicolas Cordier (1611), fusa due anni dopo da Sebastiano Sebastiani e collocata nel punto di gravitazione focale dell’invaso; per evitarne l’ab- battimento da parte dei Francesi durante l’occupazione napoleonica, raschiata l’epigrafe e sostituita la tiara, la figura papale fu trasformata in quella di S. Gaudenzo patrono della città, e ripristinata nella forma originaria nel 1940. Sulla sinistra della statua, una bella fontana circolare, composta nel 1543 con marmi quattrocenteschi ed eleganti colonnine. Sul lato lungo sud-est della piazza si apre il fronte della pescheria (progetto di Giovan Francesco Buonamici, 1747), una semplice loggia con prospetto a due ordini aperto da tre archi a tutto sesto e con percorso interno fiancheggiato da due file di banchi in pietra; privata negli anni ’70 del Novecento della funzione originaria, la loggia si anima durante le ore notturne. Fondale della piazza è la facciata dell’ottocentesco teatro «Amintore Galli». Sotto la platea si sviluppa il Museo Archeologico multimediale. Nello slargo che si apre sul fianco destro del teatro sono visibili i resti trasformati del campanile romanico dell’antica cattedrale di S. Colomba, demolita nel 1815; realizzato in cotto, ha finestre e polifore originali messe in luce dai restauri del 1917.

  • Palazzo comunale Garampi Rimini (RN)

    Forma il lato lungo nord-ovest di piazza Cavour. Concepito come ampliamento del palazzo dell’Arengo, è opera di Ludovico Carducci realizzata, da un disegno di Sebastiano Serlio, nel 1562-83; in quell’anno divenne sede dei governatori, subendo poi gravi danni nel terremoto del 1672 e venendo riedificato da Francesco Garampi tra il 1681 e il 1687; nella forma attuale, frutto di restauri novecenteschi, presenta sulla piazza un loggiato a otto arcate a tutto sesto su un basamento a gradini, con piano superiore ritmato da ampie finestre e due balconi; il loggiato risvolta con tre archi sul corso d’Augusto (all’angolo destro, entro una nicchia, statua in bronzo della Madonna del XVIII secolo).

  • Palazzo del Podestà Rimini (RN)

    Detto palatium Novum, eretto nel 1330 circa, oggetto nel 1924 di pesanti restauri da parte di Gaspare Rastelli dopo il terremoto del 1916. Gli archi ogivali del piano terreno furono aperti in occasione di tale intervento, per analogia con le aperture a ogiva poste sul fronte retrostante, originariamente facciata principale; nel 1973 questo lato è stato liberato dalle edificazioni che vi si erano addossate ed è tornato visibile al di là del giardinetto che lo separa dalla via Giuseppe Verdi.

  • Teatro Amintore Galli Rimini (RN)

    Ottocentesco teatro, eretto in forme neo-classicheggianti su progetto di Luigi Poletti e inaugurato nel 1857 con la prima rappresentazione dell’Aroldo di Giuseppe Verdi. La costruzione realizza una quinta aulica per lo spazio rappresentativo della città, conferendo una misura prospettica all’insieme e valorizzando soprattutto l’ingresso dal corso d’Augusto; andato distrutto dagli eventi bellici, ricevette interventi di consolidamento nel 1975 e nel 1997, ma la vera e propria ricostruzione è partita nel 2014 e la nuova inaugurazione avvenuta nel 2018. Il teatro è stato ricostruito rispettando i disegni originali sia degli spazi sia del corredo decorativo, mentre gli apparati scenici si avvalgono delle più aggiornate strumentazioni tecnologiche. Sotto la platea si sviluppa il Museo Archeologico multimediale.

  • Museo Archeologico multimediale Rimini (RN)

    Sotto la platea del teatro «Amintore Galli» si sviluppa il Museo Archeologico multimediale, realizzato nel sito scoperto durante i lavori di ricostruzione del teatro. Attraverso strumenti multimediali, ripercorre la storia della Rimini romana, altomedievale, malatestiana fino all’Ottocento e alla costruzione del teatro.

  • Piazza Malatesta Rimini (RN)

    La piazza, alle spalle del teatro «Amintore Galli», è stata oggetto nel 2021 di una profonda opera di riqualificazione che l’ha trasformata in un giardino popolato di elementi evocativi dell’attività di Federico Fellini. Nello spazio lungo il fianco destro del teatro è stata collocata una grande panca circolare dorata e illuminata, che simula una pista circense, tipico topos felliniano. Una lama d’acqua di fronte al Castel Sismondo, profonda 5 cm e ampia oltre 1.000 m2, rievoca il perimento dell’antico fossato. Dalla parte opposta della piazza rispetto alla panca, lungo il fianco sinistro del teatro, un triangolo verde composto da 10 aceri e un platano monumentale (età stimata 130 anni) ricorda le scene rurali di Amarcord e accoglie tre grandi lanterne russe e sette fiori di pietra disegnati da Tonino Guerra.

  • Castel Sismondo Rimini (RN)

    Palazzo-fortezza fatto erigere da Sigismondo Malatesta nel 1438-46 sul luogo delle case duecentesche dei Malatesti; alla progettazione potrebbe non essere stato estraneo Filippo Brunelleschi, la cui presenza a Rimini è documentata nel 1438. Inteso non solo come presidio militare ma anche come luogo residenziale e di rappresentanza del signore nella città, il castello fu abitato dal 1446, mentre i bastioni della cinta esterna risalgono a un periodo successivo alla morte di Sigismondo. Le trasformazioni subite, tra cui i rialzamenti delle quote esterne, hanno depresso e soffocato l’edificio, privandolo della scattante elevazione originaria, documentata da una medaglia commemorativa di Matteo de’ Pasti (ora tra i beni del Museo della Città) e da un affresco di Piero della Francesca (nella cella delle Reliquie del Tempio Malatestiano). Sulla porta d’accesso campeggia il grande stemma malatestiano; la sottostante targa marmorea in latino a caratteri lapidari ricorda la costruzione dell’edificio. Sulla torre a d. dell’ingresso, sopra la cornice marcapiano, è una fascia di mattonelle policrome di ceramica con la rosa malatestiana quadripetala, inserto originale – improntato a un gusto ancora squisitamente gotico – che, probabilmente ripetuto in altre parti dell’edificio, animava la compattezza dell’insieme. Il castello è stato completamente restaurato nel 2002 ed è visitabile integralmente, anche come una delle sedi del recentissimo FM-Fellini Museum.

  • FM-Fellini Museum Rimini (RN)

    Lungo le sale dei tre piani dell’architettura rinascimentale di Castel Sismondo si sviluppa un percorso di sedici installazioni multimediali, molte delle quali interattive. Le installazioni evocano particolari di ipotetici set di Fellini e delle sue tecniche di ripresa, narrano tematiche care al regista, ricordano i collaboratori, i professionisti, gli amici e la moglie, Giulietta Masina, che lo hanno accompagnato nella realizzazione dei suoi film. Attraverso oggetti di scena, costumi, documenti, ricostruzioni evocative e narrazioni sonore e visuali rese possibili anche grazie all’utilizzo di materiali di repertorio, il visitatore ha la possibilità di entrare nell’immaginario poetico e cinematografico di Fellini, così come di indagare le relazioni del suo cinema con l’Italia del tempo.

  • Palazzo Valloni - Cinema Fulgor Rimini (RN)

    È una palazzina settecentesca progettata da Giuseppe Valadier, restaurato negli anni Dieci del Novecento su progetto dell’architetto Addo Cupi, a cui si deve la facciata liberty e che destinò il pianoterra a sala cinematografica. Al palazzo, oggi una delle sedi del FM-Fellini Museum, si accede dalla retrostante piazza S. Martino (dove è stata collocata una riproduzione della scultura di una rinocerontessa sulla barca, realizzata dall’artista Valeriano Trubbiani per il film di Fellini E la nave va. Ai piani superiori del palazzo sono esposti, a rotazione, materiali originali – disegni di Fellini, manifesti, fotografie – e grazie a un archivio digitale è possibile approfondire diversi aspetti relativi all’attività e alla biografia del regista. Luogo dell’apprendimento – grazie anche alla presenza dell’Accademia dei mestieri del cinema dedicata a Tonino Guerra – ricorda le vecchie sale di montaggio: una serie di strumenti tecnologici interattivi permettono al pubblico di elaborare, personalmente o in gruppo, spezzoni di filmati messi a disposizione dal Museo, come montatori di una volta alle prese con pellicole di celluloide. Qui è stato trasferito il Cinema Fulgor, integralmente ristrutturato nel 2018 da Dante Ferretti, scenografo collaboratore di Fellini: si tratta della sala dove il regista riminese vide il suo primo film, Maciste all’inferno di Guido Brignone, e scoprì la sua futura vocazione.

  • Chiesa di S. Maria dei Servi Rimini (RN)

    Detta anche di S Maria in corte, risalente, con l’adiacente convento, al 1317. La facciata è del 1894. L’interno a una navata, riedificato nel 1779 su disegno di Gaetano Stegani, rappresenta uno dei più pregevoli interventi di ristrutturazione settecentesca compiuti in città; contiene infatti notevoli stucchi di Antonio Trentanove, che profuse qui inesauribile fantasia e raffinata eleganza (si segnalano particolarmente i telamoni che sorreggono la cantoria). La chiesa è altresì ricca di numerose tele in gran parte di artisti bolognesi. Al 1° altare destro, S. Agostino e S. Monica di Lucio Massari (1620 circa); al 3°, S. Luca che ritrae la Vergine di G.B. Costa (1740); al 3° altare sinistro, Crocifisso e S. Pellegrino Laziosi di Mauro e Gaetano Gandolfi. Inoltre, un frammento staccato di affresco cinquecentesco proveniente dal Monte di Pietà.

  • Ponte di Tiberio Rimini (RN)

    Originariamente sul fiume Marecchia (il cui corso è oggi deviato più a nord). Tra il 2018 e il 2020 l’area del ponte di Tiberio è stata oggetto di un intervento di riqualificazione con la risagomatura delle scarpate ai lati del vecchio alveo del fiume e con la realizzazione di rampe di discesa alle banchine, di una passarella sospesa lungo il lato destro delle mura di sponda e di un’altra galleggiante di attraversamento del canale. Del vecchio alveo del Marecchia a monte del ponte di Tiberio è rimasto uno specchio d’acqua circondato da un parco. Il ponte, uno dei più insigni monumenti d’epoca romana a Rimini, fu iniziato sotto Ottaviano Augusto e portato a compimento da Tiberio (la data più probabile d’inizio dei lavori è il 14 d.C., mentre l’inaugurazione risale al 21 d.C.). Alcune pietre crollate nel Medioevo – blocchi di parapetto, blocchi strutturali, basoli del tratto iniziale della Via Emilia – sono raccolte in un’area del parco. Costruito in pietra d’Istria a cinque arcate – l’ultima verso nord venne fatta tagliare nel 522 dal goto Usdrila per impedire il passaggio delle truppe bizantine di Narsete e rifatta nel XVII secolo – è opera di grande mole, realizzata con somma perizia tecnica: le pile si fondano su una piattabanda unitaria onde offrire la massima sicurezza rispetto a un corso d’acqua dal regime torrentizio; singolare particolarità costruttiva è l’obliquità delle pile rispetto alla perpendicolare all’asse della carreggiata, in modo da assecondare la corrente opponendole la minima resistenza. Nelle spallette interne, su entrambi i lati, è scolpita un’iscrizione celebrativa. Essenziali e solenni sono i particolari decorativi sul lato a mare (quattro sobrie edicole tra gli archi; vasi, patere, corone nei cunei di chiave), a confermare l’ipotesi che tale prospetto sia stato inteso, fin dal progetto, come il principale e concepito, di conseguenza, come fondale aulico percepibile dall’ingresso nel porto (si ricorda che la linea di costa era notevolmente più arretrata dell’attuale).

  • S. Giuliano Rimini (RN)

    La chiesa fa parte all’abbazia benedettina di S. Giuliano (notizie dall’816). L’attuale luogo di culto (1553-75) è una ristrutturazione – con diverso orientamento – di quello altomedievale; lo accompagna sulla sinistra un nobile edificio rinascimentale a tre ordini, fatto erigere nel XVI secolo dai canonici secolari di S. Giorgio in Alga di Venezia che dal 1496 tenevano in commenda l’abbazia. L’interno della chiesa, a una navata fiancheggiata da altari, si segnala per gli importanti dipinti che custodisce. Il più pregevole è la pala centrale dell’abside (*Martirio di S. Giuliano), una delle ultime opere di Paolo Veronese: la presenza di questo dipinto a Rimini è dovuta alla commissione fattane all’artista dai canonici veneziani e testimonia – unico superstite dei numerosi altri di artisti della Serenissima un tempo qui presenti – i forti legami della città con la capitale della Repubblica di S. Marco. Ai lati, due pale (Ss. Giorgio e Lorenzo Giustiniani) di seguace del Veronese; al di sotto, un sarcofago di epoca imperiale romana, che fino al 1910 conteneva i resti del santo titolare (ora sono in un’urna sotto l’altare). Al 3° altare sinistro, prezioso *polittico di S. Giuliano di Bitino da Faenza, datato 1409.

  • Monumento a Federico Fellini Rimini (RN)

    In prossimità dell’ingresso monumentale del cimitero cittadino che accoglie le sepolture di Federico Fellini, di Giulietta Masina e del figlio Pierfederico (morto a pochi giorni dalla nascita), si trova questo monumento funerario realizzato da Arnaldo Pomodoro. Intitolato La grande Prua, è composto da due pareti triangolari affiancate e conficcate nel terreno, realizzate nell’inconfondibile stile dell’autore. Il profilo metallico di sezione triangolare funge da canalizzazione per l’acqua che sgorga in corrispondenza della scultura stessa, che sembra emergere, in tal modo, dallo specchio d’acqua.

  • Incontro con Fellini Rimini (RN)

    Scultura dell’artista polacco Krzysztof Bednarski, collocata vicino al ponte di via Coletti tra Rivabella e borgo San Giuliano. La statua funziona come una meridiana: tra le 12 e le 14 proietta un’ombra che è la sagoma del grande regista riminese con il cappello in testa. Lo stesso effetto si produce di notte grazie all’illuminazione appositamente orientata.

  • Borgo San Giuliano Rimini (RN)

    Molto pittoresco il caratteristico borgo San Giuliano, per il sapore tradizionale dell’ambiente solo un po’ trasformato nei caratteri edilizi ma integro nella trama di stradine e piazzette, con basse case recuperate con cura e dipinte con toni pastello. È uno dei quartieri alla moda della città, pur mantenendo viva l’anima popolare. I vicoli sono ravvivati dai graffiti di pittori riminesi che rappresentano film e vita di Federico Fellini, qui nato nel 1920. Si notino altresì, lungo il viale Matteotti che divide il borgo dalle espansioni balneari di San Giuliano a Mare, i pittoreschi avanzi della cinta muraria quattro-cinquecentesca.

  • Porta Galliana Rimini (RN)

    Nel tratto del porto canale tra il ponte di Tiberio e il ponte dei Mille si trovano i ruderi della porta Galliana, di recente restaurata. Costruita nel XIII secolo a collegamento della città con la zona del porto lungo il fiume Marecchia, era parte della cinta muraria difensiva. Nel XV secolo fu restaurata da Sigismondo Malatesta: lo si desume dal fatto che fu ritrovato un deposito di medaglie malatestiane impiegate dallo stesso Sigismondo per indicare le opere da lui realizzate o ristrutturate. Dal bassorilievo di Agostino di Duccio (databile fra il 1449 e il 1455) conservato nella cappella dei Segni zodiacali nel Tempio Malatestiano, possiamo intuire come si presentasse la porta nel Quattrocento.

  • S. Francesco Saverio Rimini (RN)

    Detta anche chiesa del Suffragio, la cui paternità, già oggetto di discusse attribuzioni, è stata restituita a Domenico Trifogli. Lo scenografico interno, a croce latina e ornato di stucchi, è frutto della collaborazione dell’architetto imolese con un artista di scuola bibienesca. Al 1° altare destro, S. Francesco Borgia adorante il SS. Sacramento di Pietro Rotari. Nel cappellone del transetto destro, grande ancona marmorea con statue di Carlo Sarti e tela (S. Ignazio) del Rotari. Dietro l’altare del presbiterio, a destra, I tre martiri gesuiti del Giappone di Guido Cagnacci. All’altare del transetto sinistro, solenne tela con S. Emidio che protegge la città dal terremoto di Giuseppe Soleri Brancaleoni (1793; la città è simboleggiata sullo sfondo dall’arco d’Augusto); al 1° altare sinistro, S. Nicola da Tolentino e le anime del purgatorio di Guido Cagnacci.

  • Museo della Città Rimini (RN)

    All’interno dell’ex convento e collegio dei Gesuiti eretto nel 1750 su disegno di Alfonso Torreggiani, adattato a ospedale in età napoleonica e divenuto nosocomio cittadino sino al 1970 – sorge il Museo della Città. Frutto di un complesso recupero architettonico, il Museo è articolato in sezione archeologica, Lapidario romano, sezione medievale e moderna, cui si aggiunge al piano terra uno spazio permanente dedicato all’artista riminese René Gruau (1909-2004). Il continuo ampliamento delle collezioni cittadine consente di illustrare il lungo percorso evolutivo della città e del territorio dalle origini fino alle soglie del Medioevo e le successive fasi che attraversarono la stagione comunale e la crescita della scuola pittorica del ’300, lo splendore dell’età malatestiana, il naturalismo pittorico del ’600, la cultura scientifica erudita che caratterizza il XVIII secolo, la nascita nell’Ottocento della città balneare.

  • Museo della Città-Lapidario romano Rimini (RN)

    Ospitato nel giardino del primo cortile interno, intitolato a Giancarlo Susini, dell’ex convento e collegio dei Gesuiti, ricostruisce attraverso le iscrizioni la storia politica, sociale, religiosa di Ariminum. L’età più antica, dall’inizio del I secolo a.C., è rappresentata soprattutto dai monumenti funerari rinvenuti lungo la Via Flaminia. Iscrizioni successive testimoniano la vita civile e religiosa tra la repubblica e l’impero: menzione dei vici urbani; *lastricatura delle strade urbane a opera di Gaio Cesare, nipote di Ottaviano Augusto; *miliario colossale, augusteo, della Via Aemilia; dedica a Pantheum, sintesi della totalità degli dei. La produzione epigrafica dell’età imperiale matura raccoglie iscrizioni che menzionano imperatori quale l’epigrafe di Domiziano, con il nome eraso per damnatio memoriae; *dedica onoraria a Caius Nonius Caepianus, che ricoprì importanti incarichi militari, e numerose are e stele funerarie rappresentative, nei testi e nelle forme, del tessuto sociale privato. La tarda antichità (III-I secolo) è documentata da *miliari della Via Flaminia, da iscrizioni funerarie, dalla *dedica al vir clarissimus Cneus Aquilius Romanus Eusebius e dalle due *are a Iuppiter Dolichenus, testimonianza dell’affermarsi dei culti orientali.

  • Museo della Città-Sezione Archeologica Rimini (RN)

    La sezione archeologica del Museo della Città, completata nel 2010, spazia dai materiali preistorici, reperti villanoviani, provenienti dal territorio tra i fiumi Marecchia e Conca, e quelli romani, tra cui esemplari di monetazione del III secolo a.C., terrecotte, marmi e bronzi (testa di divinità da Covignano; testa di una copia del Doriforo di Policleto; antefissa con satiro e menade). Al piano seminterrato, l’itinerario espositivo prende le mosse dai segni della presenza dell’homo erectus sul colle di Covignano (un milione di anni fa), allora lambito dal mare che sommergeva il piano su cui sarebbe nata la città. Le selci scheggiate riconducono a un’industria litica che trova confronti con coevi giacimenti preistorici italiani, come quello di Cà Belvedere di Monte Poggiolo nel Forlivese. Altro materiale: le selci scheggiate e levigate del Neo-eneolitico cui si affiancano le prime forme ceramiche all’interno della nuova economia agro-pastorale; i ripostigli dell’età del bronzo, depositi di oggetti occultati da commercianti-fonditori; i corredi dalle necropoli villanoviane degli abitati cresciuti sotto l’influenza di Verucchio; i prodotti delle genti (Etruschi, Umbri, Greci, Celti) che tra VI e IV secolo a.C. hanno frequentato la valle e la foce del Marecchia. Si delinea quindi il profilo dell’Ariminum tra III e I secolo a.C. in cui le domus accolgono spazi abitativi a fianco di vani di servizio per l’attività artigianale. La produzione di ceramiche a vernice nera ha un’esauriente campionatura del vasellame da mensa e da cucina nonché di lucerne nello scarico urbano di palazzo Battaglini. A connotarne l’ambito produttivo sono gli scarti di fornace, i numerosissimi anelli e i cilindri distanziatori. La fondazione di Ariminum nel 268 a.C. alla foce del fiume eponimo, rientra nel processo di occupazione della pianura padana. Rappresentativi di questa fase sono, accanto ai depositi votivi, esemplari di aes grave, la moneta fusa con l’effigie di un Gallo, così come i pocola deorum, le ciotole con nomi e sigle di divinità e dell’organizzazione territoriale della colonia. Numerosi i monumenti funerari delle necropoli dislocate lungo le principali vie di accesso, le sculture e le terrecotte decorative di edifici religiosi o civili. Alle soglie del I secolo a.C. la religiosità del colle di Covignano dall’antica vocazione cultuale assume forme monumentali: evocano un tempio imponente gli otto capitelli che la tradizione assegna a San Lorenzo in Monte, così come la testa in marmo greco di divinità femminile. Al piano terra, esemplari della media età imperiale sono la domus di palazzo Diotallevi, da cui proviene, fra gli altri splendidi mosaici, quello con l’ingresso delle barche nel porto (forse quello di Ariminum) e altri reperti rinvenuti recentemente nel territorio comunale. Alla stessa fase storica appartiene la domus del chirurgo: l’esposizione raccoglie l’eccezionale strumentario chirurgico in ferro e in bronzo, il *pinax, lo splendido pannello decorativo murale in pasta vitrea policroma con raffigurati pesci e un delfino, proveniente dal triclinium, i reperti, i ferri chirurgici e le attrezzature terapeutiche della domus di piazza Ferrari; alla cultura greco-orientale rimandano il graffito sull’intonaco della stanza adibita a ‘day hospital’, le incisioni su piccoli vasi per medicinali e l’iscrizione sulla base di una statua; il percorso prosegue con un piccolo pantheon che accoglie dei ed eroi di Ariminum: Eros, Dioniso, Priapo, Sileno, Venere, Minerva, Fortuna, Orfeo e il mitico Ercole cui si affiancano i culti orientali. Le sale del tardo-antico presentano esemplari di mosaici pavimentali provenienti dagli scavi di palazzo Gioia, palazzo Palloni e Mercato Coperto, con i resti di domus palaziali erette fra V e VI secolo, nel clima del rinnovato impulso che la corte imperiale di Ravenna diede all’attività edilizia. In delicate policromie i mosaici sviluppano intricati motivi geometrici che si dilatano ad occupare le grandi superfici, disegnano schemi complessi, scandiscono percorsi o fanno da cornice a immagini figurate. Fra queste spiccano la cosiddetta Venere allo specchio, la scena di processione con doni dalla domus di palazzo Gioia che ha restituito anche il mosaico delle Vittorie.

  • Museo della Città-Sezione medievale e moderna Rimini (RN)

    Lo scalone settecentesco progettato dal Torreggiani nel 1746 conduce alla sezione medievale e moderna (primo e secondo piano) che accoglie la Pinacoteca, con dipinti, ceramiche e arredi. Al primo piano, riunito in una sezione lungo il corridoio e nel passaggio verso la sala del Giudizio è il materiale lapideo databile tra l’VIII e il XIII secolo, assieme ad altre testimonianze provenienti da edifici paleocristiani e dall’antica Cattedrale di S. Colomba. Confluirà nel nuovo progetto museografico dedicato alla Scuola del ‘300 riminese e alla città comunale, in corso di attuazione. Sono in particolare da segnalare: Sale del Trecento, Giovanni da Rimini, *Crocifisso; Giovanni Baronzio, Storie della Passione di Cristo; *Giudizio universale affresco proveniente dalla chiesa di S. Agostino, già riferito al Maestro dell’Arengo e recentemente attribuito a Giovanni da Rimini (attualmente esposto al PART); Giuliano da Rimini, trittico (Incoronazione della Vergine tra santi e storie della Passione); Sale del Quattrocento - i Malatesti. Sala I: pittore riminese del XIV secolo, Crocifisso; Andrea da Bologna (de Bruni), Crocifisso; Agostino di Duccio, Portastemma acefalo in marmo; *cassa malatestiana; *medagliere malatestiano. Sala II: Crocifisso ligneo di Giovanni Teutonico; S. Caterina attribuita al maestro dell’Annunciazione Dreicer; *Cristo morto sorretto da quattro angeli di Giovanni Bellini; *S. Vincenzo Ferreri tra i Ss. Sebastiano e Rocco (nella lunetta, l’Eterno; nella predella, miracoli del santo) del Ghirlandaio e aiuti. Corridoio dell’Ultima Cena: Bartolomeo Coda, Ultima Cena, affresco strappato e sinopia provenienti dal convento di S. Francesco. Sale del Cinquecento: Madonna in trono col Bambino tra i Ss. Domenico e Francesco e Sposalizio della Vergine di Benedetto Coda; Cristo portacroce di Niccolò Frangipane; dipinti fiamminghi di Jean Baegert; Scipione espugna la nuova Cartagine di Marco Marchetti, provenienti da palazzo Maschi Marcheselli Lettimi. Sala tavole del Cinquecento: Giovan Francesco da Rimini, Madonna e S. Giovanni Evangelista; Francesco Zaganelli, La Veronica; Lattanzio da Rimini, Sacra conversazione. Sale degli arazzi e corridoio: *Michiel Wouters, nove arazzi delle manifatture di Anversa della prima metà del XVII secolo con Storie della Regina di Semiramide; Daniele Ricciardelli, detto da Volterra, Ritratto di Michelangelo Buonarroti in bronzo; Terenzio Terenzi, detto il Rondolino, Sacra famiglia. Al secondo piano, si entra nella Rimini del Seicento attraverso la pittura che interpreta l’espressione più autentica del clima della Controriforma e le inquietudini del secolo, e documenta, attraverso alcune opere, l’attività della prima maturità di Guido Cagnacci. Il corridoio allinea opere di pittura veneta: Filosofo tentato di G.B. Langetti; L’angelo del Purgatorio e I Cavalieri dell’Apocalisse di Francesco Maffei; notevole il Presepio dipinto dal Maestro degli Annunci (Bartolomeo Passante?); Gesù consegna le chiavi a S. Pietro dell’Arrigoni e ritratto in pietra di Alessandro Gambalunga, fondatore della Biblioteca Gambalunghiana, proveniente dall’oratorio di S. Giuseppe. Sale del seicento: S. Antonio da Padova e S. Girolamo nel deserto del Guercino; S. Francesco, S. Pietro, Ritratto di giovane frate, S. Antonio abate tra due santi e *La vocazione di S. Matteo di Guido Cagnacci; Salomè riceve la testa del Battista e Battesimo di Gesù della bottega del Guercino; S. Giacomo in gloria di Simone Cantarini; Ultima cena di Giovanni Andrea Donducci detto il Mastelletta. sala nature morte: Nicola Levoli e Giovanni Rivalta, Nature morte; Jacob van de Kerckhoven, Anatra e bacile. galleria dei ritratti e degli stemmi nobiliari con esempi di ritrattistica tardo-barocca, tra cui il Ritratto di Filippo Ricciardelli, castellano di Rimini. Sale del Settecento: S. Girolamo penitente di G.B. Pittoni; Pietà di Antonio Crespi; Allegorie delle Virtù di G.B. Costa; Tobiolo e l’arcangelo Gabriele e Abramo scaccia Agar e Ismaele di Giuseppe Soleri Brancaleoni. Sala del Neoclassicismo riminese: Luigi Pedrizzi, Ritratto di famiglia; Clemente Albéri, Paolo e Francesca; Marco Capizucchi, La morte di Socrate e Venere e Adone in un paesaggio. Sale dell’Ottocento: dipinti di Guglielmo Bilancioni, tra cui Ritratto di fanciulla e Ritratto di Valerio Valeri Caldesi; due sculture bronzee di Romeo Pazzini; Ritratto di Mariano Mancini di Francesco Brici. Una sala è interamente dedicata agli autoritratti degli artisti riminesi del ’900. Una saletta accoglie opere donate da artisti moderni: Giuliana Mazzarocchi, Fernando Gualtieri, Isidoro Barilari, Giovanni Sesto Menghi. Al termine del corridoio è esposto di Filippo De Pisis, *Piazza Cavour, olio su tavola del 1940. Altri materiali, dipinti e ceramiche, avori e vetri (secolo XVII-XVIII), provenienti dall’ex Museo Missionario delle Grazie, sono distribuiti nelle sale del ’500 e del ’600.

  • L’anello ritrovato Rimini (RN)

    Scultura ambientale dell’artista minimalista Mauro Staccioli; l’opera ha la forma di un gigantesco anello in acciaio, che può essere ruotato con la forza di un dito e richiama l’episodio realmente accaduto del ritrovamento di un anello in fondo a un pozzo.

  • Biblioteca civica «Alessandro Gambalunga» Rimini (RN)

    Ha sede nel neorinascimentale palazzo della Cassa di Risparmio (1914), una severa e lineare architettura fatta erigere (1612) dal giureconsulto Alessandro Gambalunga e affidata nel 1617 in lascito testamentario al Comune a uso della cittadinanza. L’istituzione vanta oltre a quasi 300.000 volumi, 384 incunaboli, 5.000 cinquecentine, 7.000 incisioni e disegni. Tra i codici miniati: una Divina Commedia della fine del Trecento, scritta e miniata da Giacomo Gradenigo; il *De Civitate Dei, codice malatestiano del 1415 circa superbamente miniato dal Maestro della Sagra di Carpi; un Comentario de’ gesti e fatti e detti di Federico d’Urbino della fine del Quattrocento miniato da Francesco d’Antonio del Chierico. Tra gli incunaboli merita segnalazione il De re militari del 1472. La Biblioteca conserva tre sale con l’arredo del XVII secolo e una quarta in stile rococò, su disegno di G.B. Costa (1756).

  • Domus del Chirurgo Rimini (RN)

    Nei giardini della piazza Luigi Ferrari, realizzata nel 1888 come spazio a verde pubblico, durante lavori di riordino urbano sono emersi i resti di una domus romana del II secolo d.C., distrutta da un incendio un secolo più tardi. Qui è stato rinvenuto il più ricco corredo di strumenti da chirurgo di tutto il mondo romano giunto a noi, cui si aggiungono mortai, bilance, misurini e vasi per la preparazione e la conservazione dei medicinali. Per questo eccezionale ritrovamento l’edificio è stato battezzato la domus del chirurgo. Straordinaria la taberna medica che occupava almeno due ambienti al piano terra: lo studio con il mosaico di Orfeo citaredo attorniato da animali e la stanza con il letto per brevi ricoveri. Il crollo dell’edificio, causato da un incendio alla metà del III secolo, forse in relazione alle prime orde barbariche, ha preservato bellissimi mosaici, intonaci, oggetti e arredi. Dopo un lungo abbandono, nel v secolo l’area si riattivò: un palazzo andò ad occupare parte della domus, risparmiando la taberna medica. Il palazzo, caduto in rovina nel VI secolo, fu poi interessato da una necropoli; ma già nel VII secolo il luogo tornò a ospitare case costruite in legno, argilla e materiale di reimpiego. La vita continuò con impianti sempre più modesti che si esaurirono nell’VIII secolo quando l’intera area venne occupata da orti. L’ampio sito archeologico (più di 700 m2) è stato musealizzato nel 2007 su progetto dello studio Cerri Colombo; un sistema di passerelle trasparenti, sospese sulle strutture antiche, ne consente un’agevole lettura. Parte del materiale recuperato è custodito e visibile nel vicino Museo della Città, dove è stata realizzata in scala vicina al reale la ricostruzione filologica e ambientale dei due vani della taberna medica.

  • Tempio Malatestiano Rimini (RN)

    Insigne realizzazione del Quattrocento, opera di Leon Battista Alberti e cattedrale intitolata a S. Francesco. Le prime notizie di lavori intrapresi alla chiesa gotica, da sempre sotto la protezione dei Malatesti, sono contenute in una bolla di papa Niccolò V in data 12 settembre 1447, con la quale si autorizzava Isotta degli Atti, terza moglie di Sigismondo Malatesta, a ristrutturare, al suo interno, la medievale cappella degli Angeli; nello stesso anno veniva inaugurata una nuova cappella dedicata a S. Sigismondo di Borgogna. Ma i lavori, fino ad allora condotti con l’ausilio di maestranze locali, facevano emergere l’esigenza di un’organica trasformazione dell’insieme, che ne rinnovasse anche l’aspetto esterno. Si può considerare verosimilmente il 1450 (la data simbolica scelta da Sigismondo, impressa più volte all’interno e all’esterno del tempio) come l’anno cui riferire il decisivo cambiamento nei piani del committente, al quale certamente non sfuggì il valore anche politico che la nuova cultura rinascimentale implicava. Da questo momento Sigismondo impresse un impulso quasi frenetico ai lavori, con l’importazione diretta di pietra dall’Istria, l’acquisto a Fano di una partita di pietra destinata alla costruzione di un ponte sul fiume Metauro, la razzia di marmi superstiti dall’antico porto romano. La nuova concezione architettonica del tempio, formulata da Leon Battista Alberti a fronte della preesistenza medievale e dei lavori già in corso, si realizza mediante l’avvolgimento dell’antica chiesa in una profonda struttura muraria rivestita in marmo. La difficile scelta di ridurre a unità due strutture così diverse è attuata dall’architetto con il ribaltamento del semplice confronto tra i due linguaggi compositivi ed espressivi, e mediante l’introduzione di una radicale innovazione tipologica dell’intero organismo, come il progettato (e non realizzato) innesto di una rotonda a cupola in luogo del transetto della vecchia chiesa. La versione originaria del progetto albertiano è documentata dalla celebre medaglia commemorativa di Matteo de’ Pasti (un esemplare è nelle collezioni del Museo della Città), testimonianza di eccezionale importanza per la storia di questa opera eseguita poi con una larga serie di varianti. Il modello reimpiegato dall’Alberti per il Tempio rimanda alle grandi opere della classicità romana, ma in parte contiene anche allusioni a un contesto proprio della città: le fiancate si ispirano alla tipologia degli acquedotti, ma costituiscono anche un rimando specifico al ponte di Tiberio; la facciata si richiama all’arco trionfale in generale e, insieme, ad alcuni elementi decorativi dell’arco d’Augusto come i tondi marmorei. Non è certo che l’Alberti sia stato incaricato anche della sistemazione interna, ma è verosimile che egli dovette cercare di controllarne la realizzazione, soprattutto per evitare contraddizioni nei punti dove emergeva evidente il conflitto tra strutture preesistenti e nuove. La realizzazione del progetto procedette con non poche difficoltà. Nel 1454 la costruzione esterna è ancora ferma alla parte inferiore. Col declino delle fortune di Sigismondo dopo il 1460, gli ultimi artisti lasciano Rimini e il cantiere viene abbandonato, essendo all’interno compiute solo le prime tre cappelle e all’esterno il rivestimento della facciata. Nel 1503 i Francescani chiudono la parte absidale con una soluzione che ignora la grandiosa concezione innovativa del progetto albertiano. La chiesa diviene Cattedrale nel 1809 al posto di S. Colomba e restaurata, dopo i bombardamenti dell’ultimo conflitto, nel 1945-50. La *facciata, posta su un alto basamento coronato da un fregio continuo anche sui fianchi – lo affollano stemmi, simboli e le insegne malatestiane: rosa a quattro petali, elefante, monogramma con le due lettere iniziali intrecciate del nome Sigismondo – e terminato da un cordolo in marmo rosso di Verona, è scandita nella parte inferiore da tre arcate (le laterali cieche) e da colonne scanalate a sorreggere la trabeazione, la cui cornice reca iscritto il nome del committente e l’anno. L’iscrizione è ripetuta anche sul portale timpanato, aperto nell’arcata centrale la cui imbotte reca scolpiti i simboli e le lettere intrecciate; al di sopra del portale, ornamentazioni geometriche in marmi policromi; a fianco, due ricchi festoni marmorei di frutta. La parte superiore della facciata, rimasta incompiuta, denuncia l’imposta dell’arcone che avrebbe dovuto levarsi al centro, fiancheggiato da due raccordi triangolari. Sui fianchi, al di sopra del basamento, si aprono sette grandi arcate divise da pilastri, inquadranti le finestre a ogiva della costruzione precedente. Sul 1° pilastro angolare di ciascun fianco è incisa un’identica iscrizione greca che dedica la chiesa a Dio e alla città. Nelle arcate del fianco d. sono alloggiati sette sarcofagi, alcuni dei quali contengono le tombe di illustri personaggi vissuti alla corte malatestiana (il poeta Basinio da Parma, il giureconsulto Giusto de’ Conti, il filosofo Giorgio Gemisto Pletone, l’ingegnere riminese Roberto Valturio, i medici riminesi Gentile e Giuliano Arnolfi). Al fondo del nudo fianco sinistro si leva il campanile, eretto fra il secolo XV e il XVI. Si osservi che la distruzione dell’attiguo convento francescano, causata dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, ha alterato i rapporti del monumento col suo intorno. L’*interno è formato da una sola vasta navata, con copertura lignea a capriate, sulla quale si affacciano profonde cappelle laterali, incorniciate da arcate a ogiva, rialzate di un gradino e delimitate da balaustrate marmoree riccamente ornate (su alcune sono putti marmorei reggenti uno scudo); negli archi delle prime tre cappelle, risalenti al periodo sigismondeo, è ripetuta l’iscrizione latina che compare in facciata. La decorazione marmorea è dovuta prevalentemente a Matteo de’ Pasti e ad Agostino di Duccio. Nella controfacciata, a sinistra dell’ingresso, pietra tombale del cardinale Ludovico Bonito, morto a Rimini nel 1413 e proveniente dalla vecchia chiesa. A destra, sepolcro di Sigismondo Malatesta, attribuito a Bernardo Ciuffagni e Francesco di Simone Ferrucci, recante in alto due formelle col profilo di Sigismondo. La 1a cappella destra è dedicata a S. Sigismondo re di Borgogna; cominciata nel 1447, la decorazione scultorea fu intrapresa a partire dal 14 ottobre 1450, data in cui fu collocata la prima coppia di elefanti reggipilastri in marmo bardiglio. Sulle facce dei pilastri verso la navata (va notata la simmetria e la corrispondenza di soggetti e di tecniche tra le cappelle contrapposte) sono visibili due teste scalpellate e nei due ordini di nicchie statue ad altorilievo delle Virtù e giovanetti portascudo, ascrivibili al primo periodo di Agostino di Duccio insieme alla statua di S. Sigismondo posta sull’altare entro un’ornatissima edicola. Sotto è un bassorilievo (copia in stucco; l’originale al Museo d’Arte Antica del Castello Sforzesco di Milano) raffigurante S. Sigismondo in viaggio con la famiglia verso il monastero di Agauno. Sulle pareti laterali, *angeli reggicortina a stiacciato, opera di straordinaria eleganza sempre di Agostino. Segue la Cella delle Reliquie, originariamente sagrestia della precedente cappella, introdotta da un notevole portale scolpito (figurazioni di evangelisti e apostoli e simboli malatestiani); la porta lignea è originale, così come la serratura con le chiavi quattrocentesche. Vi sono conservati alcuni reliquiari settecenteschi, una pala di Camillo Sagrestani, frammenti di veste in broccato d’oro, spada, stocco, speroni e sei medaglie rinvenuti nella tomba di Sigismondo durante la ricognizione fattane nel 1920. Sul muro, tracce della decorazione in cotto dell’attigua cappella trecentesca. Di fronte, piccolo sarcofago del secolo VII. La 2a cappella è detta d’Isotta – o degli Angeli o di S. Michele – dagli elementi scultorei che vi figurano: la statua di S. Michele arcangelo di Agostino di Duccio nell’edicola sull’altare, gli angeli alati che suonano e giocano nei riquadri dei pilastri dell’arco di accesso (insieme a stemmi e bassorilievi pure opera di Agostino), e nella parete sinistra, la *tomba di Isotta degli Atti, consistente in un sarcofago, sorretto da due elefanti portastemma su mensole, probabilmente opera di Matteo de’ Pasti. Al di sopra del sarcofago è un padiglione marmoreo fantasticamente ispirato, sormontato dal cimiero malatestiano da cui escono due teste d’elefante alate recanti cartigli. Sull’altare, Crocifisso ligneo cinquecentesco. La 3a cappella, di S. Girolamo, è detta dei pianeti per le figurazioni a bassorilievo dei segni zodiacali e dei pianeti a essi corrispondenti: di particolare interesse, nella faccia esterna del pilastro sinistro, il Cancro, danneggiato da una granata bellica, sotto il quale figura la più antica veduta di Rimini, da attribuirsi ad Agostino di Duccio. Ciascun pilastro poggia su un canestro marmoreo – che quattro putti alati ornano di festoni – ricolmo di frutta, fiori, fronde e animali in bronzo, di incerta attribuzione. La ricca balaustrata è composta da transenne a stiacciato in marmo rosso di Verona, inquadrate da lesene in marmo bianco. Qui termina la parte malatestiana del lato destro, seguita da un muro, che delimita l’ingresso laterale. Qui è stato ricollocato l’affresco strappato di Piero della Francesca datato 1451 e raffigurante *Sigismondo Malatesta inginocchiato davanti a S. Sigismondo; sulla destra due levrieri, uno bianco e uno nero, sullo sfondo la veduta del castel Sismondo. Segue la Cappella della Concezione, con il monumento sepolcrale neoclassico del conte Paolo Garattoni, storico e numismatico riminese (metà 1827), e l’altare attribuito a Luigi Poletti. Il presbiterio, completamente ricostruito dopo le distruzioni belliche, ha sopra l’altare un grande *Crocifisso su tavola, dipinto da Giotto per questa chiesa verso il 1312. Segue, nel lato sinistro della navata, una cappella con altare in marmi policromi (Luigi Poletti) e una grande tela (S. Francesco che riceve le stimmate; 1548) di Giorgio Vasari. Dopo un’altra porta laterale, simmetrica a quella sul lato opposto, riprende la costruzione malatestiana con la cappella delle arti liberali: i *bassorilievi nei riquadri dei pilastri (tra le più tarde opere riminesi di Agostino di Duccio, 1456) raffigurano le arti liberali e le scienze del trivio e del quadrivio. La cappella che segue è detta dei giochi infantili o dell’angelo custode per i bassorilievi (scene di giochi fanciulleschi) dei pilastri dovuti ancora ad Agostino (1455). L’adiacente sagrestia, ora cappella dei caduti, ha un bel portale marmoreo quattrocentesco con le figurazioni di eroi biblici. Segue la cappella degli antenati o della Madonna dell’Acqua (così detta dal piccolo gruppo marmoreo della Pietà di scuola franco-tedesca del XV secolo, posta all’altare, che il popolo invoca per ottenere la pioggia). Sui pilastri sono scolpite dodici figure di profeti e sibille di Agostino di Duccio e aiuti; si noti alla base dei pilastri, sui dadi sopra gli elefanti, una serie di profili di Sigismondo contornati da ghirlande d’alloro. Alla parete sinistra, sotto un padiglione marmoreo, l’*arca degli Antenati e dei Discendenti, opera insigne di Agostino che reca sul fronte la dedica, incisa tra due bassorilievi (Minerva tra una schiera di eroi e Trionfo di Scipione l’Africano) simboleggianti i due attributi fondamentali dell’immortalità (la Saggezza e la Gloria); l’arca, che avrebbe dovuto trovare collocazione sulla facciata del tempio, ha i fianchi e il coperchio scolpiti anche nei riquadri non visibili: sulla parte nascosta del coperchio è un bel profilo di Sigismondo incorniciato da un solenne distico attribuito a Basinio da Parma: «Haec Sigismundi vera est victoris imago qui dedit haec Patribus digna sepulcra suis» (Questa è la vera effigie di Sigismondo vittorioso che diede ai suoi Antenati questo degno sepolcro). Le decorazioni in oro e azzurro di questa cappella sono frutto di rifacimenti ottocenteschi, ricordati dall’iscrizione sulla parete destra (1868). Accanto al Tempio è stata collocata l’arca di S. Gaudenzo; il sepolcro marmoreo del patrono della città; di forma classica e con coperchio in calcare, riporta sui fianchi e sulla fronte tre croci latine in bassorilievo. In un locale adiacente alla chiesa è stato allestito il Museo del Tesoro della Cattedrale, dove sono esposti paramenti sacri, apparati liturgici, calici, codici miniati e un bassorilievo del xiii secolo.

  • Arco d'Augusto Rimini (RN)

    Il primo arco di questo tipo costruito nella Cisalpina (27 a.C.) e il più antico tra quelli superstiti di tutta la romanità. L’opera si inquadra nel programma di rinnovamento che investì la città nel momento di passaggio a colonia augustea, e al pari del ponte di Tiberio riveste un significato celebrativo, oltre che funzionale; oggi, dopo il suo isolamento tramite la demolizione delle due torri laterizie poligonali (erette in età tardo-antica al posto delle originarie quadrate) decretata nel 1936 da Benito Mussolini, è difficile immaginare l’ambientazione originaria. Il monumento, che si leva su una potente base in calcestruzzo, presenta da ambedue le parti il fornice inquadrato da colonne corinzie sorreggenti un timpano; nel cuneo di chiave è una testa di toro simbolo di colonia romana. Nei pennacchi sono inseriti busti di divinità: nel fronte verso l’esterno, Giove col fulmine e Apollo col corvo; nel fronte verso la città, Nettuno con tridente e delfino, e Roma con corazza e gladio. Il paramento liscio si prolunga fino all’attico, chiuso da una cornice posta all’incirca all’altezza della base dei merli sovrapposti in età medievale. La parte superiore, probabilmente sormontata da una statua dell’imperatore su quadriga, fu smantellata forse nel 538 durante la guerra goto-bizantina. Entro il largo spazio dell’attico è inserita l’iscrizione onoraria in lettere di bronzo. Nel 2004, gli interventi di riqualificazione del piazzale attorno all’Arco d’Augusto hanno portato alla luce un importante complesso residenziale il cui impianto, ricco di mosaici in bianco e nero di grande qualità, risale all’età augustea; l’edificio, più volte restaurato e modificato, ha continuato a esistere fino alla tarda antichità.

  • Ss. Marino e Bartolomeo Rimini (RN)

    Comunemente detta di S. Rita, all’esterno conserva solo tracce dell’origine romanica di chiesa monastica. L’interno si segnala per un interessante complesso di opere d’arte. All’ultimo altare destro, S. Michele arcangelo dell’Arrigoni; l’abside è decorata da affreschi di Bartolomeo Cesi (1580 circa) e da quattro grandi tele di Giorgio Picchi (1595); il coro intarsiato è quattrocentesco, l’organo settecentesco; alla parete sinistra del presbiterio, bel monumento in stucco a Pio VI, a ricordo del suo soggiorno in Rimini, opera di Antonio Trentanove (1784). Al 4° altare sinistro, Crocifisso cinquecentesco.

  • Anfiteatro romano Rimini (RN)

    Lungo la via Bastioni Orientali (avanzi, per qualche centinaio di metri, delle mura malatestiane che delimitano il Parco urbano «Alcide Cervi», ricavato dalla copertura del torrente Ausa), si giunge ai resti – parziali perché occultati da diverse costruzioni ma tuttavia imponenti – dell’Anfiteatro Romano, di età adrianea e ragguardevole per le dimensioni: i due assi dell’arena ellittica, rispettivamente di m 73,76 e m 44,52, lo avvicinavano al Colosseo; l’altezza era di m 16-17, corrispondenti a due ordini sovrapposti; la capacità, presumibile, di 10 mila spettatori. Scoperto nel corso di scavi nel 1843-44 e rimesso in luce parzialmente tra il 1926 e il 1935, l’anfiteatro era stato costruito in una zona esterna al perimetro della città, ma fu inserito per misura difensiva nelle mura tardo-romane. Se ne vede parte dell’arena e della cavea, nonché due arcate – delle 60 tuscaniche – del portico esterno, inglobate nelle mura della città; le murature sono in opera «a sacco» entro doppie cortine laterizie.

Ultimo aggiornamento 11/11/2022
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