Il legame tra i manieri e le figure femminili che, in un modo o nell’altro, ne hanno impregnato le pietre della loro personalità diventa lo spunto per un tour unico alla scoperta della storia tra le colline di Reggio Emilia, Parma e Piacenza, nell’entroterra emiliano.
Dal Castello di Canossa fino a quello di Rossena, da Vigoleno, passando per Torrechiara e Sala Baganza, le grandi dame di epoche lontane fanno idealmente da guida per un originale itinerario d’arme e d’amori.
L'itinerario inizia dal leggendario Castello di Canossa. Qui, nel rigidissimo gennaio 1077, l'imperatore Enrico IV - dopo la scomunica e la ribellione dei nobili sottoposti - arrivò come un penitente con il proprio esercito e fece una lunga anticamera per ottenere da Papa Gregorio VII, al tempo ospite di Matilde di Canossa, la revoca della scomunica e il reintegro dei poteri, rimanendo per tre giorni sulla neve, fuori dalla cerchia delle mura, a piedi nudi, vestito di soli panni di lana.
La storia e il mondo hanno consacrato questo episodio come “Il perdono di Canossa”. Mediatrice e garante di questo “spettacolare rito” fu la mitologica Gran Contessa.
Tra i presenti alla “umiliazione” compare anche un’altra figura femminile: Berta di Savoia (1051 – 1087), moglie dell’Imperatore.
Più di un secolo prima, nel 930, Adalberto Atto, avo di Matilde, aveva offerto riparo tra le mura di questo stesso castello alla regina Adelaide, perseguitata dal Re Berengario e futura imperatrice d’Europa.
Accanto alla rupe di Canossa in un paesaggio di ofiolite rossastra, si alza la roccaforte di Rossena con la vicina torre di Rossenella, avamposto difensivo dei Canossa nel sistema fortificato della valle dell’Enza.
Qui, nelle stanze del castello di Rossena, si aggirano i fantasmi dei protagonista dell’antica leggenda di Everelina, figlia di un vassallo di Matilde di Canossa, che per sottrarsi alle nozze con un uomo che non amava, scelse di morire gettandosi nel dirupo. Ancora oggi, le rocce ai piedi delle mura del castello ricordano ai passanti questa storia di amore e di morte che gli uomini del borgo ripetono da secoli.
In tempi più vicini a noi, nel castello che era ormai diventato una residenza, hanno lasciato la loro impronta altre presenze femminili: la duchessa di Parma Maria Luigia e la principessa Adelgonda di Baviera, moglie del Duca di Modena Francesco V d’Este.
Beatrice era una principessa di stirpe reale: suo padre, Federico, era duca di Lorena, mentre la madre, Matilde, era figlia del duca di Svevia. Rimasta orfana di entrambi i genitori, fu accolta a corte dalla zia Gisella, moglie dell’imperatore Corrado II.
Erede di una delle famiglie più in vista dell’impero, nel 1038 fu data in sposa a Bonifacio di Toscana e da questa unione nacquero tre figli: Beatrice, Federico e Matilde, che fu la sola a raggiungere l’età adulta per divenire una delle donne più famose dell’occidente medioevale: Matilde di Canossa. Alla morte del marito, nel 1052, Beatrice si risposò con il duca Goffredo di Lorena, detto il Barbuto, e con lui governò per 24 anni la marca di Toscana e i possessi ereditati da Bonifacio, diventando una delle donne più potenti dell’epoca.
Il castello di Bianello è profondamente legato alla figura di Beatrice di Lorena, in quanto fu proprio lei ad acquistarlo nel 1044 con un atto che costituisce la prima attestazione certa della sua esistenza.
L'itinerario prosegue in territorio parmense lungo la Provinciale 665 che da Parma porta a Langhirano. Sul profilo ondulato delle colline coltivate a vite, si staglia la mole imponente e insieme gentile del castello di Torrechiara.
Bastarono dodici anni, dal 1448 al 1460, per edificarlo e realizzare così uno dei complessi castellani più spettacolari d’Italia e, forse, d’Europa. Romantico maniero quattrocentesco dai tratti medievali e rinascimentali, fu costruito da Pier Maria Rossi per la sua amata Bianca Pellegrini, la cui storia d’amore è celebrata dalla “Camera d’Oro” attribuita a Benedetto Bembo: una pellegrina, Bianca, percorre i possedimenti del conte, dalle rocche montane ai grandi palazzi di pianura; Amore, bendato, trafigge i due giovani, condannandoli a una passione imperitura.
La Rocca di Sala Baganza fu testimone delle vicende di Maria Luigia, moglie di Napoleone, imperatrice dei francesi e duchessa di Parma, Piacenza e Guastalla, che vi abitò con i due figli nell’Ottocento. Molto importante per il sistema difensivo locale già tra il ‘400 e il ‘500, il castello oggi ospita nelle cantine il Museo del Vino e permette di tuffarsi nella nobile atmosfera del passato con visite al Giardino Farnesiano e a sale che custodiscono preziosi affreschi e decorazioni cinquecentesche e settecentesche.
Secoli prima di Maria Luigia, il maniero aveva però già visto come protagonista un'altra grande donna: Donella de' Rossi, nata intorno all’anno 1435 da Antonia Torelli e dal Magnifico Pier Maria Rossi, conte di Berceto e marchese di San Secondo.
Nel 1454 Donella sposa il primo conte di Sala, Giberto III Sanvitale, in una celebre e discussa unione, frutto di un tentativo di alleanza tra le due famiglie, acerrime avversarie nei giochi politici e territoriali.
Nell’agosto nel 1482, approfittando dell’assenza di Giberto III e del figlio Bernardino, impegnati nella difesa della Rocca di Oriano, Amuratte Torelli, cugino di Donella, attaccò la Rocca di Sala, trovando inaspettatamente l’ostinata opposizione della contessa, decisiva non solo per la battaglia ma anche per le sorti future dei Sanvitale, che, grazie a questo atto di coraggio, manterranno il dominio incontrastato sulla zona per oltre un secolo e mezzo.
Considerata una delle prime donne emancipate dell’Era “Moderna”, la Marchesa Giacoma Pallavicino è protagonista di una storia davvero appassionante e strettamente legata al Castello di Scipione. Importante figura femminile del Rinascimento, figlia di Bernardino Pallavicino di Zibello, andò sposa giovanissima, nel 1529, all’anziano cugino Giangerolamo Pallavicino di Scipione. Da questo matrimonio “politico”, che le fu imposto per rafforzare il legame tra i due rami della famiglia, prende vita una vicenda piena di colpi di scena. Rimasta sola in seguito all’assassinio del marito per opera dei cugini, Giacoma, che non ebbe figli, si ritrovò in lotta contro le congiure famigliari e alla guida di un Castello, amministrando in prima persona - fatto eccezionale per l’epoca - un enorme patrimonio.
La giovane vedova sfidò le convenzioni decidendo di non risposarsi ed esprimendo più volte a Ignazio di Loyola il desiderio di entrare nella Compagnia di Gesù. Puntualmente rifiutata per il solo fatto di essere donna, fonderà da sola la “Compagnia di Giovani Donne Spirituale”, dedicando la propria vita ad aiutare i più deboli e in particolare le ragazze non maritate e i bambini, ai quali destinerà tutti i proventi delle sue proprietà.
Le sue sofferte vicende famigliari e le sue battaglie furono raccolte dalla storica dell’arte Katherine Mc Iver nell’importante libro “Women, Art and Architecture in Northern Italy”, dove viene definita come uno dei primi esempi di donna emancipata dell’Era “Moderna”.
A trasformare il Castello di Vigoleno in un incredibile salotto mondano fu la bellissima Principessa Maria Ruspoli Gramont, amica di intellettuali, attori e musicisti del calibro di Gabriele D'Annunzio, Max Ernst, Anna Pavlova, Alexandre lacovleff, Jean Cocteau, Mary Pickford, Douglas Fairbanks, Elsa Maxwell e Arthur Rubinstein. Tutti furono ospiti del maniero.
Nel 1933, l’artista surrealista Max Ernst trascorse un periodo di vacanza proprio a Vigoleno su invito della principessa: qui dipinse "La foresta imbalsamata"(olio su tela, cm 162x253), oggi conservato alla Menil Collection di Houston, un frottage dove la perfetta fusione dei verdi, dei gialli e dei blu delle piante in primo piano con l'azzurro e il verde smeraldo del cielo crea un'atmosfera mistica e inquietante.
Anche tra le due guerre, Maria Ruspoli Gramont visse per lunghi anni a Vigoleno. Una pietra murata nella terrazza-giardino del castello ne ricorda la mirabile opera di restauro. Lo stile agiato ed eclettico di vita e la riqualificazione del castello le costarono tuttavia la fortuna che aveva ereditato dal primo marito, l'anziano duca Antoine XI Agenor de Gramont: nel 1935, dopo aver dilapidato la sua ricchezza, ritornò in Francia e sposò Francois Victor Hugo (1889-1981), figlio dello scrittore. Nemmeno questo matrimonio fu però felice e finì in un divorzio.
Ancora una donna protagonista stavolta di una vicenda di sangue, intrighi e passione. La leggenda vuole, infatti, che ancora oggi si aggiri per le prigioni della Rocca Viscontea di Castell'Arquato il fantasma della bella Laura Della Vigna che con il suo innamorato Sergio fu qui decapitata.
Nel 1620, infatti, il Cardinale Sforza condanna a morte i presunti cospiratori della sua Signoria, il prode Sergio Montale e il suo servitore Arturo Galatti detto Spadone; ma i due prigionieri vengono fatti fuggire dalla figlia del carceriere, la bella Laura, appunto, che ruba le chiavi al padre e fugge con loro. Dei tre, scoperti e fatti catturare dall’innamorato respinto della giovane ed assassino del padre, solo Spadone riuscirà a farla franca e successivamente a vendicare l’infelice coppia, finendo però i suoi giorni nelle prigioni della Rocca.
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