In collaborazione con Touring Club

I caratteri dell’insediamento nella vicenda storica

Nell’alta pianura pedeappenninica sono attestate coltivazioni congrue all’ambiente già all’inizio del primo millennio a. Cristo. 

Su questa fascia di intensa ruralizzazione si trova Bologna, nello stesso sito di Bononia romana, di un insediamento dei Galli Boi, dell’etrusca Fèlsina e, risalendo ancora, di un vasto abitato villanoviano. 

Fu la romanizzazione, però, a introdurre uno spartiacque decisivo. Fu tracciato un asse regionale di comunicazione e popolamento, la Via Aemilia, e furono dedotte colonie a distanza regolare: una di queste, tra il fiume Reno e il torrente Sàvena, ebbe il nome di Bononia (189 a.C.). 

Il modello della castramentatio fu seguito fedelmente: un rettangolo scandito da una trama viaria ortogonale che disegna isolati rettangolari. 

Nella sua massima espansione di età imperiale, la città era all’incirca definita: a ovest, dalla linea piazza Malpighi-via Marconi; a est, da piazza di Porta Ravegnana (Due Torri); a nord, dalle vie dell’Orso e Bertiera; a sud, dalle vie Farini, Carbonesi e Barberia. 

Il segno interno più vistoso è il decumano massimo, corrispondente al segmento urbano della Via Emilia e lungo circa 700 m (oggi vie Rizzoli e Bassi). Agli estremi del decumano due ventagli viari generati da due carrobbi raccordano l’asse cittadino con la viabilità territoriale. Resta invece controversa l’individuazione del cardine massimo, né – se si esclude il teatro, rinvenuto di recente – ci sono tracce affioranti degli edifici attestati dalle fonti. 

Bologna è dunque quasi priva di monumenti romani; ma il suo impianto e la sua collocazione nell’ambito regionale costituiscono di per sé un eloquente documento romano. Nel tardo-antico la crisi dell’urbanesimo tocca anche Bononia. 

Forse alla fine del III sec. essa è cinta da una murazione di selenite (lunga 1850 m) che ne riduce l’estensione a meno di metà. 

La parte protetta, quella sud-orientale dell’antica Bononia, configura così un’esemplare città ‘retratta’ altomedievale. Esternamente al nucleo urbano si profila intanto una cintura di sedi cristiane: a sud S. Procolo, a ovest (presso la Via Emilia) la chiesa vescovile poi dedicata ai Ss. Naborre e Felice, a est il complesso di S. Stefano con le spoglie dei protomartiri Vitale e Agricola. 

Strappata la città ai Bizantini nel 727, i Longobardi si stanziarono al di là delle mura orientali, a cavallo delle vie (Emilia e Salaria) che conducevano all’esarcato ravennate. La loro presenza disegnò un’espansione semicircolare ancora leggibile nell’arco viario che congiunge trasversalmente le radiali originate dal carrobbio delle Due Torri. 

Un certo aumento di popolazione è ipotizzabile nel X sec., mentre dopo il Mille i segni di vitalità si moltiplicano. Inizia a ripopolarsi la parte di Bononia esterna alle mura di selenite (detta civitas antiqua destructa) e la cattedrale lascia la sua sede suburbana per insediarsi in città (dove oggi è la cattedrale di S. Pietro). Alla fine dell’XI sec. si individua nei documenti l’esistenza dello Studio bolognese, ovvero l’università (data Convenzionale di fondazione è il 1088), che raccoglie e riordina la cultura giuridica sopravvissuta attorno alla cattedra metropolitana ravennate. E poi l’imperatore Enrico V concede a Bologna una serie di privilegi con cui ha nascita formale il Comune (1116). 

L’espansione

Per la città comincia una stagione di tumultuosa espansione. Si rende necessaria una nuova cinta murata – sostanzialmente compiuta nel 1192 – che racchiude un’area doppia di Bononia romana. Queste mura, dette dei torresotti, lunghe 4300 m, erano dotate di ben 18 porte e posterle (ne restano 4). Un tale ampliamento si pone all’ombra dello Studio che, grazie al massiccio afflusso di studenti, stimola l’economia e l’edilizia, anche se le scuole non ebbero per secoli una sede monumentale e unitaria. 

Una differenza si manifesta fra la città della cerchia di selenite e i nuovi ampliamenti. 

Le torri gentilizie (certo non 200 come voleva la tradizione) stanno tutte nella prima, mentre i secondi portano a lungo le tracce di una crescita troppo rapida: vie anguste e fangose, fogne a cielo aperto, usurpazioni di spazio pubblico.

Al principio del Duecento il Comune interviene con norme di natura urbanistica: si vieta di aprire vie più strette di m 3.80 e prive di portici, si indicano i materiali costruttivi (con preferenza per il laterizio) e le volumetrie permesse, si decentrano lavorazioni insalubri. In una vasta area a nord (corrispondente in parte a piazza dell’VIII Agosto) viene sistemato nel 1220 il Mercato grande. Si dirada il tessuto troppo fitto: nel 1286 si crea una piazza attorno alle torri degli Asinelli e Garisenda, nel 1303 un’altra davanti a S. Stefano. 

Ma soprattutto, nasce la piazza centrale: ai primi del ’200 l’area viene liberata atterrando un gran numero di case e torri e viene eretto il palatium vetus (dove oggi è il palazzo del Podestà), nel 1244-46 si aggiunge il palatium novum (poi noto come palazzo di Re Enzo). Gran parte di queste prime strutture sarà più tardi rimaneggiata e la stessa piazza ampliata. 

Nel 1294 Bologna sfiora i 50 000 abitanti, collocandosi fra le dieci maggiori città d’Europa. 

Gli ordini religiosi vi stabiliscono sedi importanti. Già i Benedettini, fra X e XII sec., avevano ottenuto gli antichi complessi religiosi di S. Stefano, S. Procolo e Ss. Naborre e Felice. Poi vengono gli ordini mendicanti: i Domenicani nel 1219, seguiti da Francescani, Agostiniani, Serviti, Carmelitani. Le loro chiese (S. Domenico, S. Francesco, S. Giacomo, S. Maria dei Servi, S. Martino), alzate in stile gotico nei decenni successivi, sono tutte ubicate tangenzialmente alla cerchia dei torresotti – dove restavano ancora spazi liberi – e a distanze regolari per evitare concorrenze. La presenza monastica contribuisce così al debordare della città oltre il limite dei torresotti appena raggiunto. 

Nascono nuovi borghi extra-murali, soprattutto lungo le principali radiali. Quasi sempre si tratta di sviluppi spontanei, ma non mancano casi di pianificazione ad opera degli ordini monastici (il borgo delle Tovaglie, urbanizzato dai Benedettini di S. Procolo nella seconda metà del ’200). Nei borghi si rispetta la tipologia del portico, i lotti fondiari sono stretti e profondi e al centro degli isolati resta un’area inedificata di orti e cortili, che conferisce all’insieme un carattere di orizzontalità ed estensività. Per inglobare i nuovi borghi si rende necessaria una nuova cerchia murata, destinata a resistere mezzo millennio. A metà del ’200 fu scavata una fossa ed eretta una provvisoria palizzata, mentre la cortina muraria fu alzata lentamente e solo nel 1374 poteva considerarsi conclusa. La lunghezza delle mura è di 7600 m, l’area racchiusa di 420 ettari, una delle più vaste d’Italia. La diversa importanza delle direttrici convergenti su Bologna viene registrata: non casualmente, l’ampliamento è massimo lungo l’asse della Via Emilia. 

Alla fine del ’400 le porte si stabilizzeranno per sempre nel numero di 12. Il tempo di completamento delle mura fu così lungo perché nel frattempo la città era piombata in una grave crisi. 

La fondazione di altre università cancellava il monopolio bolognese e l’economia della città, parassitaria dello Studio, ne risentiva. Poi le discordie civili tra guelfi e ghibellini e la peste faranno il resto: dopo il 1348 Bologna ha appena 20-25 000 abitanti e non ritroverà mai più la capacità espansiva duecentesca. Non che vengano meno singoli interventi: verso il 1290 inizia la costruzione del Palazzo pubblico o d’Accursio (oggi Palazzo comunale); nel 1344 la potente famiglia Pepoli pone mano al suo palazzo in via Castiglione; nel 1364 il cardinale Albornoz fonda il Collegio di Spagna. 

Solo nell’ultimo quarto del Trecento, però, si ha una ripresa, seppur effimera, di iniziative globali, gestite da un Comune cittadino che vive allora la sua estrema stagione. Crescono dunque il foro dei Mercanti, gran parte della chiesa dei Servi, il campanile di S. Francesco, il palazzo dei Notai e, soprattutto, S. Petronio, la chiesa del patrono sulla piazza centrale, di cui l’architetto Antonio di Vincenzo pone la prima pietra nel 1390. La spropositata scala dimensionale, lo stile gotico prescelto, le difficoltà di un completamento che non sarebbe mai venuto fanno del tempio civico bolognese un prodotto curiosamente tardivo. Comunque, la piazza viene così a configurarsi come cuore della città agli effetti politici, commerciali e religiosi: una centralizzazione tanto forte non si ritrova in città di analoga dimensione. 

La forma e la struttura

A questo punto Bologna ha compiuto la sua forma e struttura di base. Nel quadro dell’affievolirsi, alla fine del Medioevo, della tendenza all’espansione urbana, che è fenomeno largamente italiano, la stabilità di Bologna sarà accentuata da specifiche circostanze. 

La città è bloccata dal possesso di un territorio troppo esiguo – mai maggiore dell’attuale provincia – che non le consente di ascendere al rango di capitale regionale. 

La presenza di una fiorente industria tessile, che nel ’600 vedrà operanti più di cento mulini su canali derivati dal Reno sin dal Medioevo, non è spinta sufficiente all’ampliarsi delle dimensioni e dell’influenza della città. La curva demografica è torpida: 50 mila abitanti alla fine del ’400, come due secoli prima; 72 mila nel 1587, tetto poi invalicato (con periodiche falcidie, 47 mila nel 1631) sino al 1853 (74 mila). Resistono perciò inedificate molte aree intramurali. Ci sono orti e campi, ci sono «delizie» nobiliari come la palazzina bentivolesca della Viola (1497), ci sono cumuli di macerie o «guasti» (il palazzo dei Bentivoglio atterrato dalla rivolta popolare nel 1507; il castello di Galliera distrutto definitivamente nel 1511 e da allora noto come Montagnola). 

La signoria dei Bentivoglio

Emergono, naturalmente, alcuni momenti di maggiore dinamismo. Il primo si manifesta con le signorie di Sante e Giovanni II Bentivoglio (1446-1506), allorché la politica urbanistica divenne strumento di ricerca del consenso. Artisti ferraresi, veneti, lombardi, toscani accorsero allora a Bologna. Le concezioni prospettiche del Rinascimento consigliarono la regolarizzazione dei fronti stradali (come in strada S. Donato, oggi via Zamboni), la riapertura del percorso intramurale della Via Emilia (1496) parzialmente ostruito nel Medioevo e altre operazioni di diradamento edilizio (creazione di piazza Calderini e degli slarghi antistanti a S. Salvatore e a S. Martino). Rivolto all’utile pubblico fu l’escavo di un porto, tra porta Lame e porta Galliera (1494), che, sfruttando le derivazioni del Reno, legò la città al sistema idroviario padano. 

L’edilizia pubblica e privata salì di tono: basti ricordare la facciata del palazzo del Podestà di Aristotele Fioravanti (1485), la chiesa della Madonna di Galliera, i portici del Baraccano e di S. Giacomo, il palazzo dei Drappieri, palazzo Sanuti, e infine il grande palazzo Bentivoglio in strada S. Donato. Iniziato nel 1460 e celebrato dai contemporanei, esso però non sopravviverà, come già detto, alla caduta della signoria. Nell’insieme, quella bentivolesca fu una politica di capillare cosmesi urbana che evitò sventramenti o inserzioni violente. 

Lo stato della Chiesa

Nel 1506 Giulio II includeva stabilmente Bologna nello stato della Chiesa. Quasi a significare il declassamento della città, per qualche decennio poco o nulla accade sul piano urbanistico. Nella seconda metà del ’500 una nuova fase di fermenti si dimostra ormai condizionata dalla realtà della dipendenza politica. Nel 1565-68, utilizzando un vecchio progetto del Vignola, si ridisegna il lato orientale di piazza Maggiore con il palazzo dei Banchi: destinato a ospitare residenze e commerci ricchi, l’edificio è un precoce esempio di speculazione sulla rendita differenziale. Intanto, già dal 1563 era stata aperta la nuova sede dello Studio, l’Archiginnasio, voluta da Pio IV e dal vicelegato Pier Donato Cesi per rilanciare l’università bolognese, per meglio controllarla in un unico edificio e, forse, per colpire l’orgoglio cittadino che sognava di riservare l’area per un ingrandimento di S. Petronio. 

L’Archiginnasio, opera di Antonio Terribilia, si raccordò coi Banchi mediante il ristrutturato ospedale di S. Maria della Morte, venendo a costituire un lungo percorso porticato, il Pavaglione. Sempre il Cesi fece rimuovere (1564) l’isolato che collegava il Palazzo pubblico dal palazzo del Podestà creando la nuova piazza del Nettuno, incernierata su piazza Maggiore, con la omonima fontana. E così il complesso delle piazze centrali raggiunse il suo volto definitivo.

Definitiva, presso porta Lame, fu anche la sistemazione che il Vignola diede al porto (circa 1550), dopo la rovina dello scavo bentivolesco. Nella Bologna di età moderna risalta comunque l’assenza di un’urbanistica di rappresentanza connessa col potere assoluto. Lo impediva il tipo particolare di soggezione a Roma, contrattata e bilanciata da un forte spirito autonomistico. Di contro alla stasi urbanistica, furono invece rilevanti le inserzioni architettoniche come i palazzi che l’aristocrazia senatoria non cessò di costruire, ingrandire, abbellire sino al ’700, scegliendo di preferenza le grandi radiali, specie quelle del ventaglio orientale. E contemporaneamente anche il contado si ornava di ville. In età barocca gli interventi propriamente urbanistici nel ’600 e ’700 furono rari.

Si può ricordare l’apertura di via Urbana, nel 1629. Più importanti, semmai, furono i lavori fuori le mura. Nel 1631 si completa il portico da porta Maggiore a S. Maria degli Alemanni. L’esperienza si ripete dal 1674 all’altro capo della città, con il lungo portico (circa 3.5 km) fra porta Saragozza e il santuario della Madonna di S. Luca. 

Lo scenografico arco del Meloncello, là dove il portico inizia l’ascesa collinare, sarà terminato solo nel 1732 e il nuovo santuario, opera di Carlo Francesco Dotti, nel 1757. Furono poi introdotte nuove attrezzature per la vita di relazione riutilizzando gli antichi «guasti». Le macerie della Montagnola divennero un passeggio già alla fine del ’600, mentre nel 1763 il guasto dei Bentivoglio offrì spazio alla costruzione del Teatro comunale di Antonio Bibiena, uno dei primi esempi di teatro moderno isolato dal contesto edilizio. 

A pochi passi di lì, in palazzo Poggi, aveva sede dal 1714 il grande centro di ricerca dell’Istituto delle Scienze, arricchito nel 1725 con l’alta torre della Specola: iniziò così a delinearsi lungo via Zamboni un quartiere specializzato in attività culturali e artistiche. 

Dunque, se non mutava il disegno di base, il volto e il profilo della città mutavano senza interruzioni. L’architettura religiosa barocca vi contribuì fortemente con chiese come S. Paolo, S. Salvatore, S. Bartolomeo, S. Lucia, S. Maria della Vita. Nell’Ottocento i concetti di utile e di decoro civico si espressero nelle iniziative napoleoniche. Nel 1801 si apre il cimitero suburbano della Certosa e nel 1805 la circonvallazione esterna alle mura è sistemata a viale alberato. Decisione gravida di conseguenze, l’università viene trasferita (1803) dall’Archiginnasio a palazzo Poggi, presso l’attrezzato Istituto delle Scienze. Si accentua la specializzazione culturale del quartiere dove in quegli anni prendono sede, in proprietà ecclesiastiche soppresse, anche l’Accademia di Belle Arti, la Pinacoteca, il Liceo musicale, l’Orto botanico. 

La restaurazione pontificia brillò invece per il suo torpore: in mezzo secolo la città si arricchì solo dello spazio per il gioco del pallone (1820), del portico dal Meloncello alla Certosa (1831), di una nuova veste per porta S. Stefano (1843). E solo nel 1854, dopo molte pressioni del ceto borghese, fu cominciata di malavoglia la ferrovia per Ancona. 

Ma prima dell’annessione al Piemonte qualcos’altro aveva iniziato a muoversi. Dietro stimolo di un privato speculatore, il conte Grabinski, nel 1858 era stata approvata l’idea di una nuova via, che sarà poi intitolata a Garibaldi. Essa trascinò con sé (1867) l’apertura di piazza Cavour e l’allargamento di via Farini, dando veste borghese al vecchio quartiere a sud di S. Petronio. In questi anni si ampliò il Canton dei Fiori (il settore iniziale della futura via dell’Indipendenza) e il tratto terminale di via Saragozza, ricorrendo spesso all’istituto dell’esproprio forzoso. Restava però inadeguato il collegamento con la stazione, inaugurata fuori porta Galliera nel 1859 e dove nel 1866 già convergevano quattro linee di importanza nazionale. Il problema era impegnativo e controverso e solo nel 1888 si arrivò a una soluzione con l’apertura di via dell’Indipendenza: uno sventramento mal raccordato col contesto, ben diverso dalla morbidezza delle operazioni degli anni ’60. 

I giardini Margherita, ai piedi della collina, rafforzarono il versante borghese di Bologna (1875). Intanto, dagli anni ’60 alla prima guerra mondiale, si svolgevano massicce campagne di restauro tese a ricostituire un’immagine invero un po’ fantastica – di città medievale, comunale, universitaria, con sacrificio impietoso di ogni traccia successiva. La prospettiva di un imminente debordare della città oltre le mura impone però l’adozione di uno strumento nuovo, il piano regolatore (1889). 

Entro le mura è prevista l’apertura del rettifilo di via Irnerio, al fine di urbanizzare le residue aree libere. Perpendicolarmente ad esso è disegnata un’altra grande arteria (sarà via Marconi) e, presso porta S. Stefano, l’ampia via Dante. Ma nel tessuto storico è rilevante soprattutto lo sventramento del Mercato di Mezzo per far posto a via Rizzoli e inquadrare prospetticamente le Due Torri. Le mura dovranno essere abbattute e al di là di un largo anello stradale sorgerà la scacchiera della città nuova. Il piano nel suo insieme è di disegno molto goffo, dichiara una totale insensibilità per i valori storici che non siano monumentali, prescrive pochi vincoli di destinazione e pochi spazi verdi. Il Novecento. 

La popolazione del comune passa da 121 579 abitanti nel 1881 a 172 806 nel 1911. Negli anni della grande guerra gran parte del piano entro le mura è realizzato, compresa la principale variante, l’elegante viale XII Giugno fra il Tribunale e porta Castiglione; resta da fare solo quella che oggi conosciamo come via Marconi. Le mura invece erano state atterrate già nel 1902, fra molte polemiche. 

In periferia sono nate le tristi scacchiere operaie della Bolognina e della Cirenaica, assediate da binari ferroviari. La qualità dell’ambiente urbano migliora invece nelle espansioni in direzione delle colline, ai cui piedi, oltre le porte S. Stefano e Saragozza, sono sorti quartieri borghesi di villini e palazzine. 

La zonizzazione su base sociale è ormai un dato acquisito. Il fascismo confermò queste premesse, aggiungendovi solo una maggiore aggressività nel demolire.

Ma, in fin dei conti, già nel 1917-18 non si era temuto di abbattere le torri medievali Artenisi, Riccadonna e Guidozagni che impedivano di portare a termine l’allargamento di via Rizzoli. Questa sarà poi occupata da palazzoni di compagnie assicurative, come anche la contigua via Ugo Bassi, allargata e rifatta nel 1924-30. Le più pure presenze littorie si ebbero però su via Marconi, iniziata nel 1932, nelle piazze Galileo e Roosevelt e in alcuni angoli della zona universitaria.

In periferia, lo Stadio comunale (1927) e la facoltà di Ingegneria (1934) furono le uniche inserzioni significative. Un nuovo piano regolatore – per una città che ormai superava i 300 mila abitanti – fu apprestato nel 1942. Esso contemplava ulteriori manomissioni della parte storica, la valorizzazione dell’asse già congestionato della Via Emilia, il primato delle esigenze viabilistiche, senza mettere in discussione né il modello monocentrico, né l’infelice collocazione della stazione. 

La ricostruzione postbellica – dopo che fu colpita quasi la metà dei vani di abitazione – deviò l’attuazione del piano del ’42, che in parte confluì poi nel piano regolatore del 1958. La città decollava: 340 526 abitanti nel 1951, 444 872 nel 1961. Il centro non ospitava quasi più modifiche strutturali ma processi di terziarizzazione e sostituzione sociale, mentre le periferie, sebbene povere di servizi, superavano ormai in estensione e peso demografico la città storica. Fra gli anni ’50 e ’60 la funzione nodale di Bologna fu esaltata dalla rete autostradale e dalla imponente tangenziale di raccordo (1967). 

Alla fine degli anni ’60 una diversa coscienza urbanistica si tradusse in nuovi orientamenti di sviluppo. Il gigantismo della periferia ha iniziato a essere governato e in centro si è sperimentato il restauro conservativo del tessuto minore con cui – nonostante qualche aporia metodologica – si è tracciato un nuovo indirizzo per la città storica, sin lì stretta fra degrado e riqualifica speculativa. Inoltre si è costituito un nuovo centro direzionale verso nord, nei pressi della tangenziale (il cosiddetto Fiera district) che per la prima volta sottrae alla Via Emilia il ruolo di asse dello sviluppo. 

La popolazione del Comune ha raggiunto il suo massimo nel 1973 (493 933 unità) e da allora ha preso a diminuire, soprattutto a carico dei quartieri centrali, dove la terziarizzazione pare difficilmente arginabile, nonostante il programma di conservazione del centro storico a fini sociali, reso esecutivo dal Comune proprio nel 1973. In quell’anno, in compenso crescono i Comuni limitrofi ed è ormai consolidata un’area della Città metropolitana bolognese di oltre un milione di abitanti. 

Negli ultimi anni si è assistito a un ulteriore potenziamento della vocazione di crocevia delle comunicazioni della città, con l’inaugurazione nel 2013 della nuova stazione sotterranea per i treni ad alta velocità. Non sono stati trascurati, peraltro, i trasporti interni, con una particolare attenzione all’aspetto della sostenibilità ambientale. Rientrano in quest’ottica l’inaugurazione sempre nel 2013 della ‘tangenziale delle biciclette’, lungo i viali di circonvallazione, e l’introduzione nel 2020 del treno su monorotaia Marconi Express (il cosiddetto people mover), che garantisce un collegamento diretto tra l’aeroporto Marconi e la stazione ferroviaria. La città, infine, ha visto crescere anno dopo anno la propria rilevanza dal punto di vista turistico, grazie anche alle eccellenze gastronomiche del territorio, che hanno favorito la scoperta da parte dei turisti italiani e internazionali del suo patrimonio storico-artistico.


Ultimo aggiornamento 11/11/2022
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