Modena: la città medievale

In collaborazione con Touring Club

Con l’espressione città medievale si indica una zona della Modena antica, a sud della Via Emilia, che ha come fulcro la Cattedrale romanica e la piazza Grande: luogo di forte spessore artistico e monumentale, è questo il punto di partenza di un itinerario che si snoda dapprima lungo tracciati d’ascendenza medievale (ancorché ritagliati entro un tessuto prevalentemente stratificatosi e rinnovatosi nei secoli) e che poi, muovendosi lungo la demolita cinta muraria trecentesca, raggiunge alcuni dei più interessanti luoghi della città rinascimentale.

Le chiese di S. Francesco gotica e di S. Pietro rinascimentale, il complesso di S. Carlo barocco e il palazzo dell’Università rococò ne sono a un tempo i capisaldi urbanistici storici e i poli architettonici più significativi.

Meno di una giornata è il tempo approssimativamente preventivabile per compiere, a piedi, l’intero percorso ed effettuare le soste di visita proposte.

Il patrimonio Unesco del centro storico di Modena è stato attrezzato per i non vedenti e gli ipovedenti grazie alla presenza di un grande plastico tattile raffigurante Duomo, Ghirlandina e piazza Grande, allestito al piano terra del Palazzo comunale; il plastico consente ai diversamente abili di percepire con gli altri sensi la straordinarietà del sito romanico.


  • Lunghezza
    n.d.
  • Modena Modena (MO)

    Modena (m 34, ab. 189.013), ubicata lungo la Via Emilia, su una lieve altura a circa 30 km dalle montagne appenniniche, è città di grande vivacità civile e culturale, e, dal secondo dopoguerra, in costante rapida fase di espansione economica che, oltre ai prosperi comparti produttivi tradizionali (agricolo, zootecnico, tessile), vede fiorire soprattutto nuove aziende metalmeccaniche e le attività terziarie cosiddette avanzate.

    Prescindendo dai poli monumentali di fama più consolidata, a un’indagine superficiale Modena può apparire città dal volto dimesso, quasi sottotono rispetto ad altri centri padani dal prestigio indiscusso.

    In realtà, se la bellezza di Modena possiede timbri meno appariscenti, è pur viva, intensa, talora sontuosa; soltanto, essa si manifesta al di là degli austeri involucri delle sue chiese e dei riservati prospetti dei numerosi palazzi, al cui interno fantasiose scenografie decorative e architettoniche sorprendono frequentemente per l’acuto contrasto con gli esterni, essenziali eppure euritmici per qualità di moduli e profili.

  • Cattedrale Modena (MO)

    La cattedrale è il monumento più insigne della città e tra le maggiori espressioni della cultura romanica. È Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco.

    Modello esemplare dell’architettura romanico-padana, fu eretta per sancire l’affermazione del potere comunale.

    Dedicata all’Assunta, ma con ruolo distintivo di santuario di S. Geminiano, vescovo e patrono di Modena vissuto nel IV secolo, sorge sull’area occupata da una precedente cattedrale, costruita nel X secolo, che ne aveva sostituito una paleocristiana.

    Gettate le fondamenta il 23 maggio 1099, l’edificio già nel 1106 accoglieva, alla presenza di Matilde di Canossa, le spoglie di S. Geminiano; verrà compiuto e consacrato dal papa Lucio III nel 1184.

    A Lanfranco, architetto e direttore del cantiere, che per l’apparato plastico si era avvalso della geniale collaborazione di Wiligelmo, subentrarono i maestri campionesi, qui documentati dalla fine del XII al XIV secolo.

    Il paramento esterno è in pietra vicentina e veronese, con frequente reimpiego di marmi romani, recuperati durante la fase di scavo delle fondazioni; un programma di restauro ha interessato l’intero complesso, sia all’esterno (2014), sia all’interno (2019). La facciata, monocuspidata, con ali a spiovente, è divisa in tre settori corrispondenti alle navate da due contrafforti che le imprimono uno slancio verticale, equilibrato dal corso orizzontale di una galleria ad arcatelle (trifore racchiuse entro ampie arcate).

    Al centro, sotto un grande rosone gotico inserito dai Campionesi (fine XII secolo), è il portale maggiore, scolpito da Wiligelmo e sormontato da un protiro con edicola retto da leoni stilofori romani.

    I rilievi sulla faccia anteriore degli stipiti raffigurano il motivo simbolico del tralcio ‘abitato’ (animali selvatici e creature fantastiche in lotta con l’uomo), che nella parte superiore assume l’aspetto di un vigneto; quelli sulla faccia interna degli stipiti recano 12 figure di profeti e patriarchi.

    Sempre di Wiligelmo sono i quattro bassorilievi con storie della Genesi ispirate al dramma sacro anglo-normanno Jeu d’Adam; esito altissimo della scultura romanica, compendiano memorie dell’arte romana, echi bizantini, aggiornamenti di provenienza renana con affinità con la scultura provenzale coeva. La successiva apertura da parte dei Campionesi dei portali minori implicò l’innalzamento delle due lastre laterali, che alterò il continuum narrativo previsto da Lanfranco.

    Da sinistra: 1° rilievo, Creatore entro mandorla, Creazione di Adamo ed Eva, Peccato originale; , Adamo ed Eva davanti a Dio dopo il peccato, Cacciata dal paradiso terrestre, Condanna alla fatica del lavoro; , Offerta di Caino e Abele, Uccisione di Abele, Caino davanti al Creatore; , Uccisione di Caino, L’arca del diluvio, Uscita di Noè dall’arca.

    Sono ancora opera wiligelmica la formella a sinistra del portale, in alto, con i profeti Enoc ed Elia reggenti un’epigrafe (data di fondazione del tempio e nome dello scultore) e, più sopra, due geni funerari con fiaccole capovolte, ai lati del protiro. Sono invece opera di un suo scolaro i simboli degli evangelisti e Ercole che abbatte il leone intorno al rosone; il Redentore sulla cuspide è dei Campionesi.

    Girando sulla destra della Cattedrale si entra nella piazza Grande su cui affaccia, come un secondo prospetto, la mirabile architettura del fianco destro; lungo questo, come pure lungo l’intero perimetro dell’edificio, si ripete il motivo delle alte arcate e della galleria a loggette, adorna di notevoli capitelli, molti dei quali figurati, opera di continuatori di Wiligelmo.

    Il primo portale, detto porta dei Principi o del Battesimo, risale al cantiere lanfranchiano. È anch’esso preceduto da un protiro su leoni stilofori, sormontato da edicola; i rilievi, opera della cerchia di Wiligelmo, raffigurano: sugli stipiti e sull’arco della lunetta, il tralcio ‘abitato’; sulla faccia interna degli stipiti, gli Apostoli; sull’architrave, sei episodi della vita di S. Geminiano.

    A destra, in alto, formella con Giacobbe che lotta con l’angelo e La Virtù che strappa la lingua alla Frode, lavoro di uno scultore di influenza borgognona, molto rovinato da uno dei bombardamenti del 1944. Segue un’iscrizione scolpita su dieci blocchi di pietra, che ricorda la consacrazione della chiesa.

    Domina sull’insieme la sontuosa porta Regia (da reza = porta), sempre con protiro su leoni stilofori ed edicola. Fu aggiunta dai Campionesi (1178 circa) come porta della Comunità; da qui entravano infatti i rappresentanti della città e del territorio in occasione della festa di S. Geminiano, solennità che si rinnova ogni anno, il 31 gennaio, con l’omaggio dei ceri da parte delle autorità municipali. A destra della porta Regia sporge un piccolo pulpito ornato dai simboli degli Evangelisti scolpiti da Jacopo da Ferrara (1501); accanto, quattro bassorilievi a stiacciato con episodi della vita di S. Geminiano di Agostino di Duccio (1442).

    Sui contrafforti della navata centrale sono visibili copie delle cosiddette metope, formelle a rilievo con figure mostruose (gli originali sono al Museo lapidario del Duomo). Girando attorno alle tre absidi si osserva, in quella centrale, un’altra epigrafe di fondazione: per la costruzione furono aperti infatti contemporaneamente due cantieri, in corrispondenza della facciata e dell’abside, che poi si congiunsero.

    Sotto, antiche misure (mattone, tegola, pertica, braccio) rammentano la destinazione a mercato della piazza. Si prosegue lungo il fianco sinistro, nel quale si apre la porta della Pescheria (dal mercato che qui si teneva), notevole opera di ambito wiligelmico. Ha protiro ridotto, su leoni stilofori; negli stipiti, raffigurazioni dei mesi; nell’archivolto, episodi tratti dal ciclo bretone di re Artù; nell’architrave, scene animalistiche da favole di Esopo.

    Accanto alla zona absidale si slancia la torre campanaria, detta Ghirlandina, anch'essa Patrimonio Unesco. L’interno della Cattedrale, interamente in laterizio, è reso assai suggestivo dalla luce che filtra dal rosone attraverso le vetrate policrome, su disegno di Giovanni da Modena (1450 circa).

    L’impianto, a tre navate con presbiterio molto soprelevato sulla cripta, presenta nella geniale sintesi lanfranchiana un sistema alternato di sostegni: alle colonne marmoree (romane, con capitelli ritoccati da Wiligelmo) della tradizione basilicale, si alternano pilastri a fascio in mattone, secondo l’innovativa ingegneristica borgognona.

    I finti matronei replicano nei muri tra le navate il motivo delle trifore che percorre l’esterno. La copertura a crociere, del secolo XV, sostituisce quella lanfranchiana, più elevata, a soffitto o a capriate. Nella navata centrale, sopra il portale principale, monumento a Francesco Ferrari, vescovo di Modena (1510). Ai lati dell’ingresso, due acquasantiere ricavate da capitelli classici.

    I capitelli delle colonne sono della scuola di Wiligelmo, eccetto l’ultima coppia di corinzi classici. A metà navata, a sinistra, il pulpito opera di Arrigo da Campione (1322), ornato di statuine in terracotta; sul parapetto della scala, S. Ignazio in carcere e S. Ignazio e la Vergine, affreschi scuriti che si attribuiscono a Cristoforo da Modena (1380).

    Nella navata destra, alla parete, monumento a Lucia Rangoni di Marco Antonio da Morbegno (1515). Segue la cappella Bellincini detta del Giudizio Universale, con affresco realizzato da Cristoforo da Lendinara dopo il 1472 per volere della famiglia Bellincini. Una struttura architettonica in cotto delimita la superficie affrescata ripartita in tre registri iconografici: in alto una visione paradisiaca con Cristo in mandorla, al centro l’Arcangelo Michele tra quattro angeli, in basso, tra le schiere dei risorti, S. Girolamo, la Vergine e S. Bernardino.

    Proseguendo, entro una nicchia, il Presepio, opera in terracotta del plasticatore modenese Antonio Begarelli (1527); poi il monumento a Francesco Molza, opera di Bartolomeo Spani (1516). Nella navata sinistra, di fianco all’ingresso, monumento e busto del vescovo Roberto Fontana (m. 1652) di Ercole Ferrata; quindi, entro un’edicola, la statua di S. Geminiano, in legno, del secolo XIV, malamente ridipinta.

    Al 1° altare (di S. Caterina, detto l’altare delle statuine), grande ancona in terracotta a forma di polittico gotico, suddivisa in numerosi scomparti con figure a rilievo, attribuita a Michele da Firenze (prima metà del ’400). Sull’altare è posto il riquadro con l’affresco attribuito a Cristoforo da Modena, recante l’immagine della cosiddetta Madonna della Piazza. Avanti, sotto arcata rinascimentale (1480), S. Sebastiano fra i Ss. Girolamo e Giovanni Battista, tavola di Dosso Dossi (1522).

    Al termine delle navate sorge il bel pontile, poggiante su sei colonne (le quattro centrali sostenute da leoni) adorne di magnifici capitelli istoriati. Il parapetto è formato da cinque plutei marmorei, sui quali sono visibili ampie tracce di policromia evidenziate dai restauri del 1988; i rilievi, eseguiti da Anselmo da Campione e aiuti tra il 1160 e il 1180 circa, con influenze provenzali, rappresentano scene della Passione; da sinistra: la Lavanda dei piedi, la Cena, il Bacio di Giuda, Gesù davanti a Pilato e la Flagellazione, il Cireneo.

    Al pontile si appoggia, a sinistra, un ambone, su due snelle colonnine di marmo rosso portate da telamoni; nei sei plutei che lo costituiscono sono rappresentati (da sinistra): i Dottori della Chiesa occidentale, il Redentore benedicente in cattedra fra i simboli degli Evangelisti, Cristo che desta S. Pietro, opera di maestri campionesi, ai tempi del massaro Bozzalino (1208-1225).

    Al disopra del pontile pende dall’arco trionfale un Crocifisso ligneo trecentesco. La cripta si svolge per tutta l’ampiezza del presbiterio; è a tre navate sostenute da 60 colonnine, con capitelli d’arte lombarda della fine del secolo XI (1099-1100). Nell’abside mediana, la tomba di S. Geminiano, morto, si crede, nel 397; il sarcofago è stato rimesso in luce e liberato dalle sovrastrutture che lo celavano alla vista.

    Nell’abside destro, il gruppo della Madonna della pappa, cinque statue in terracotta policroma di Guido Mazzoni (1480). A destra, murata, la celebre epigrafe di Gundeberga (570). Nell’abside sinistro, fonte battesimale in marmo veronese, del 1587. Per la scala in fondo alla navata destra si sale nell’area presbiteriale soprelevata.

    Alla parete, frammenti di affreschi votivi, S. Cristoforo, S. Luigi e S. Margherita, Annunciazione etc., dal secolo XIII al XV. Nell’abside destro, l’altare in marmo, ornato di pietre dure, è del 1694. Un recinto, formato da due ordini sovrapposti di colonnine binate architravate, delimita il presbiterio.

    Nel mezzo sorge l’altare, sostenuto da sei coppie di colonnine e una centrale, con eleganti capitelli, opera di maestri campionesi. Notevole coro intarsiato (vedute di paesi, frutta, strumenti ecc.) di Cristoforo e Lorenzo Canozzi da Lendinara (1465).

    Al centro del coro, statua di S. Geminiano, in rame, di Geminiano Paruolo (1376). Nell’abside sinistro, all’altare Incoronazione della Vergine e santi, bel polittico di Serafino Serafini (1384); ai lati della finestra, a sinistra, Madonna col Bambino, bassorilievo di scuola toscana del ’400, a destra, statua di S. Geminiano, in marmo, di Agostino di Duccio.

    Sotto l’organo, moderno, 4 pannelli intarsiati con gli Evangelisti di Cristoforo da Lendinara (1477), forse su disegno di Piero della Francesca; sopra la scala che scende alla navata, monumento a Claudio Rangoni di Nicolò Cavallerino (1537), forse su disegno di Giulio Romano.

    Dall’abside sinistro si passa nella sagrestia, edificata nel 1471. Nella volta, agnello pasquale, S. Geminiano e Madonna col Bambino, affreschi di Francesco Bianchi Ferrari (1507). Lungo le pareti, pancali e, al centro, cassone in noce, intarsiati da Bernardino da Lendinara (1474).

    Bel lavabo in marmo di Giacomo Varagnana e Manfredino di Cadirogio (1476). Alle pareti, quadri di Bernardino Cervi, Francesco Vellani e Francesco Stringa. Sopra l’altare, statua della Madonna col Bambino di Pelle Honoré (secolo XVII).

  • Musei del Duomo-Museo lapidario Modena (MO)

    Il nucleo museale con ingresso lungo il fianco sinistro della Cattedrale comprende il Lapidario e il Museo del Duomo, che conserva reliquiari, parati liturgici, la croce e i candelieri del solenne apparato in argento dell’altare maggiore, opera dei Merlini (1655), quattro dipinti del modenese Bernardino Cervi con Apparizioni del Cristo risorto, la statua in rame di S. Geminiano del 1374, l’Evangeliario romanico con coperta in argento e avorio.

    Notevoli i 13 arazzi con storie della Genesi, prodotti a Bruxelles nel 1560-70. Nel ricco tesoro della Cattedrale paliotti e lavori di oreficeria, fra i quali è notevole l’altarolo portatile di S. Geminiano, d’argento, con figure a sbalzo (XI o XII secolo).

    Spiccano il braccio di S. Geminiano (1667) e la settecentesca statuetta in argento di S. Giovanni. Tra i parati, sontuosa pianeta del vescovo Fogliani, di fine ’700. Nella sala 6 sono esposti a rotazione i codici dell’Archivio capitolare.

    Il Museo lapidario del Duomo comprende 125 pezzi, in parte provenienti dalla Cattedrale e asportati nel corso dei restauri a cavallo tra Ottocento e Novecento. Vi figurano materiali d’età romana reimpiegati e frammenti d’arredo della precedente chiesa (secoli VIII-X) con motivi aniconici altomedievali, tra cui lastre, parti di ambone e di ciborio, plutei, epigrafi; tra queste ultime, quella del vescovo Lopiceno (VIII secolo).

    Notevoli le 8 metope (formelle a rilievo con figure mostruose) staccate dai contrafforti esterni della navata centrale, di un anonimo scultore, attivo nel 1125-30, memore di Wiligelmo, che si suole identificare come Maestro delle Metope.

  • Torre della Ghirlandina Modena (MO)

    Accanto alla zona absidale della cattedrale si slancia la torre campanaria, già d’avvistamento e difesa, detta Ghirlandina, dalla ghirlanda marmorea che ne recinge la cuspide (alta 88 m), tutelata dall’Unesco come Patrimonio artistico dell’Umanità.

    È opera di Lanfranco fino al penultimo piano, dei Campionesi per l’ultimo piano e per la guglia ottagonale; nel 1580 circa fu soprelevata di 14 metri. All’interno, la stanza dei Torresani ha capitelli dei Campionesi.

  • Palazzo dell'Arcivescovado Modena (MO)

    Di fronte alla Cattedrale, al di là del corso Duomo sorge il palazzo dell’Arcivescovado, primitivo nucleo medievale attorno al quale si sviluppò l’agglomerato urbano.

    Un secondo corpo di fabbrica, collegato al precedente da un voltone, si protende sulla piazza Grande, a ribadire la presenza episcopale anche nel cuore civile della città. Dell’edificio odierno è rinascimentale solo lo spigolo a bugnato, di tipologia ferrarese, tra il corso Duomo e la via S. Eufemia, con il busto del vescovo Gian Andrea Bociaci (1489), mentre il resto della facies dell’edificio, in sobrio laterizio, dichiara il riassetto del 1776; pressoché coevo è, all’interno, il salone, con tele quadraturistiche ascritte ad Andrea Crespi, utilizzato per mostre.

    Nel palazzo è raccolto l’Archivio storico Diocesano di Mantova Nonantola, che include anche l’Archivio capitolare della Cattedrale, che conserva i più preziosi tesori della chiesa modenese: un fondo di oltre 3.000 pergamene (che datano a partire dall’872), la ricca collezione di codici manoscritti e miniati (dal VII-VIII secolo), il cui pezzo storicamente più importante è la Relatio del canonico Aimone, le serie documentarie riguardanti la vita del capitolo, della fabbrica della cattedrale, della cappella musicale e altri fondi.

  • Piazza Grande Modena (MO)

    Piazza Grande (Patrimonio Unesco), spazio civico per eccellenza, su cui affaccia, come un secondo prospetto, la mirabile architettura del fianco destro della Cattedrale. Accanto alla sua zona absidale si slancia la torre campanaria, Torre Ghirlandina.

    Il Palazzo Comunale, attestato a L sui lati settentrionale e orientale della piazza, reca al centro la torre dell’Orologio e ingloba una serie di edifici medievali ‘incamiciati’ a partire dal secolo XVII in un paramento unitario.

    All’estremità destra del palazzo, sull’angolo di via Castellaro, è posta una statua, la cosiddetta Bonissima, opera forse del Maestro delle Metope (1125- 30), il cui nome è derivazione deformata di bona estima, l’ufficio comunale che controllava le bilance e le misure e del quale costituiva l’insegna.

    Nello spazio compreso tra i due bracci del palazzo si trova la pietra ringadora, così detta per la funzione di arengario oltre che di pietra del vituperio, presso la quale nel Medioevo si ponevano alla berlina i responsabili di fallimenti.

    Sulla piazza si affaccia inoltre il palazzo dell’Arcivescovado, primitivo nucleo medievale attorno al quale si sviluppò l’agglomerato urbano.

  • Palazzo comunale-Sale storiche Modena (MO)

    Attestato a L sui lati settentrionale e orientale della piazza, ingloba una serie di edifici medievali ‘incamiciati’ a partire dal secolo XVII in un paramento unitario.

    Il primo nucleo, detto palacium urbis, è citato dalla metà dell’XI secolo e corrisponde a un settore parzialmente superstite, visibile dal cortile interno.

    Il prospetto principale, con i tipici porticati, è dovuto a interventi del 1614 (Raffaele Menia, nel lato nord) e del 1820 circa (lato est); quelli sulle vie Castellaro, Scudari ed Emilia, dai moderati accenti barocchetti, furono costruiti attorno al 1770 da G.B. Massari, mentre l’ala tra piazza Torre e piazzetta delle Ova venne ristrutturata da Pietro Termanini (1765 c.).

    Nel sottotetto del Palazzo comunale sono ospitate tre ‘batterie’ di botticelle per la conservazione dell’aceto balsamico tradizionale, amato dalla corte estense. L’acetaia è visitabile su prenotazione.

    Al centro del palazzo domina la torre dell’Orologio, duecentesco arengario del popolo riqualificato dal 1520 con raffinati fregi marmorei e cornicioni marcapiano di Ambrogio Tagliapietra, sormontata da cupolino d’impianto ottagonale su progetto di Bartolomeo Bonascia.

    Cospicuo saggio del Rinascimento locale e topos dell’iconografia urbana, reca un orologio costruito da Ludovico Gavioli nel 1868; sottostante è una statua dell’Immacolata, collocata nel 1805, di Giuseppe Mazza.

    Un’altra statua è posta all’estremità destra del palazzo, sull’angolo di via Castellaro: si tratta della cosiddetta Bonissima, opera forse del Maestro delle Metope (1125-30), il cui nome è derivazione deformata di bona estima, l’ufficio comunale che controllava le bilance e le misure e del quale costituiva l’insegna. Nello spazio compreso tra i due bracci del palazzo si trova la pietra ringadora, così detta per la funzione di arengario oltre che di pietra del vituperio, presso la quale nel Medioevo si ponevano alla berlina i responsabili di fallimenti.

    Dal porticato si accede allo scalone a rampa unica di Pellegrino Menia (1563), raggiungendo il loggiato rinascimentale affacciato sul cortile; sul lato destro di questo sono visibili tracce medievali, già del palacium vetus: una bifora, una serie di arcatelle e una scala coperta.

    Al centro del sottostante portico, statua neoclassica di Perseo di Filippo Aureli. Sulla sinistra si accede alle sale monumentali, restaurate tra il 1980 e il 1985. Dall’atrio, con ritratti di modenesi illustri di Girolamo Vannulli (1770 circa) e allegoria della Giustizia di Camillo Gavasseti, su idea di Bartolomeo Schedoni (1620), si passa nella loggetta, o camerino dei Confirmati, piccola sala affrescata a monocromo dal Vannulli nel 1770.

    Vi è esposta una vecchia secchia di legno che si ritiene sia la stessa che i Modenesi tolsero ai Bolognesi nel 1325, dopo la battaglia di Zappolino; l’episodio, storicamente accaduto, diede argomento ad Alessandro Tassoni per il suo poema eroicomico La secchia rapita.

    Sulla destra la loggetta comunica con la sala del fuoco, già sala del Consiglio, magnificamente decorata ad affresco da Niccolò dell’Abate nel 1546. Gli affreschi, staccati, raffigurano alcuni episodi del secondo triumvirato che coinvolsero Mùtina (44-43 a.C.): Decimo Bruto prepara le provviste per l’assedio di Mutina e La battaglia tra Antonio e Ottaviano nei dintorni della città (parete di fronte all’ingresso); Incontro di Decimo Bruto e Ottaviano nei dintorni della città (parete d’ingresso); Incontro dei triumviri Antonio, Ottaviano e Lepido su un isolotto del Lavino a conclusione delle guerre civili (parete di destra).

    Capolavoro dell’arte manieristica, in cui Niccolò reinterpreta le istanze figurative dominanti a Ferrara, Parma e Bologna, il ciclo riflette nel tema romano, dettato dall’umanista Lodovico Castelvetro, l’interesse per la civiltà classica che coinvolgeva la cultura coeva modenese; così pure il fregio ligneo sotto il cornicione, di gusto antiquario, composto di elementi antichi alternati alle trivelle, simbolo municipale.

    Il soffitto a lacunari, eseguito da Giovanni Cavazza, fu dipinto da Alberto Fontana e Ludovico Brancolino. Sul camino Niccolò affrescò Ercole e il leone nemeo, con allusione celebrativa al duca Ercole II d’Este. Notevoli gli arredi (secolo XVI).

    Contrapposta è la sala del Vecchio Consiglio, in cui sono stati sistemati gli stalli dei Conservatori (secolo XVI) dalla sala del Fuoco; sopra, il gonfalone comunale con la Madonna del Rosario, S. Geminiano e la città di Modena, dipinto su seta da Ludovico Lana (1633).

    La volta, nei quattro riquadri principali, reca soggetti ispirati all’amor patrio: Coriolano e Le sette Armonie greche di Bartolomeo Schedoni; Menecio Tebano ed Ercole Gallico di Ercole dell’Abate, del quale è pure l’ovale al centro con Putto recante gli emblemi estensi e della Comunità (1606 circa); il fregio, già compiuto dai due artisti con storie di S. Geminiano tra allegorie del Buon Governo, aquile estensi e telamoni, fu ridipinto, con lo stesso dettato, da Francesco Vellani (1766).

    Il ciclo, notevole episodio del tardo manierismo locale, su temi scelti dall’erudito Giacomo Castelvetro, si integra con le due tele alle pareti: S. Francesco e l’angelo del dell’Abate e S. Giovanni Battista dello Schedoni.

    La successiva sala è detta degli arazzi (dalla serie di tele a imitazione di arazzi), con storie della pace di Costanza dipinte da Girolamo Vannulli (1769); il tema della pace stilata tra i Comuni lombardi (tra cui Modena) e il Barbarossa è indicativo del fiorire nel XVIII secolo degli studi storici medievali in ambito locale.

    Tra gli arredi, coevi, spicca la scrivania multipla di Giacomo Manzini, a quattro ribalte (1766). Nella volta, la Carità del Vannulli fra quadrature prospettiche di Francesco Vaccari. Segue la sala dei Matrimoni, con volta dipinta da Francesco Vaccari e Giuseppe Carbonari (1770 circa); alle pareti dipinti del modenese Adeodato Malatesta.

  • Palazzo Fiocchi Modena (MO)

    Originariamente e sino al 1827 sede del Seminario. Ristrutturato nel 1760 con la supervisione di Pietro Termanini, è un tipico esempio di architettura locale settecentesca, con fronte porticato, tenui modanature, cornicione a sguscio e, all’interno, scaloncino dal moderato barocchetto.

    Vi ha sede l’Archivio notarile, uno dei più antichi d’Italia (i memoriali notarili iniziano dal 1271); tra i codici miniati, pregevole quello con gli statuti dell’Arte dei Notai (1336); importante la raccolta dei sigilli notarili (secolo XVII-XVIII).

  • Chiesa di S. Eufemia Modena (MO)

    Già annessa a un convento femminile, ritenuto il più antico di Modena e documentato dal 1070. Eretta nel 1650 su disegno di Cristoforo Malagola detto Galaverna e ristrutturata nel 1832, la chiesa ha impianto ottagonale, con volta cupolata; nella cappella destra, S. Liberata e altri santi di Bernardino Cervi.

  • Chiesa di S. Barnaba Modena (MO)

    In un raccolto piazzale che restituisce uno scorcio della città sei-settecentesca, concresciuta sul tessuto medievale, si innalza, affiancata dall’ex convento dei Minimi (con prospetto del primo Settecento), la chiesa di S. Barnaba, ricostruita con attenzione alla prospettiva stradale dal 1660 circa; la settecentesca facciata a due ordini presenta statue in macigno di Diomiro Cignaroli (1760).

    L’interno, ad aula unica con otto cappelle laterali, è cospicuo per arredi (prevalentemente di metà Settecento, alcuni di donazione ducale).

    Nella volta, affreschi con storie di S. Francesco di Paola di Sigismondo Caula (1710 c.); nella 3a cappella destra, Crocifissione di Francesco Vellani; nella cappella maggiore, Predica di S. Barnaba sempre del Vellani; nella 3a sinistra, Martirio di S. Bartolomeo di Pietro Paolo Abbate; nella 2a sinistra, bell’altare di marmi e lamine d’argento lavorato, opera di Tommaso Loraghi (1670). Alle pareti, Miracoli di S. Francesco di Paola di Francesco Vellani e Carlo Rizzi.

  • Corso Canalchiaro Modena (MO)

    Da Piazza Grande il corso Canal Chiaro corre sull’alveo di un antico canale coperto nei secoli XV e XVI, di cui conserva il sinuoso tracciato.

    Superata una schiera di case di origine medievale ai numeri 13-25, riattate ‘in stile’ nel secolo XIX, si procede tra edifici dalle stratificate testimonianze architettoniche, come il palazzo già dei Bentivoglio, al N. 26 (secolo XVI).

    Affacciandosi nella trasversale via dei Bonacorsa si può osservare la prominenza di medievali case porticate (numeri 13-15), presunte dimore di quella famiglia.

    Nuovamente sul corso, al N. 62 è il palazzo già dei Levizzani, con prospetto porticato di tenue barocchetto, spettante ad Alfonso Torreggiani (1741); dello stesso è anche il cortile, poi profondamente modificato, che in un settore superstite conserva una statua di Ercole. Segue al N. 70 il palazzo già dei Bellincini (secolo XVI).

    All'altezza del N. 91 si trova un edificio ottocentesco in stile che ingloba le medievali case Morano.

    Ai lati del corso Canal Chiaro si susseguono numerose trasversali che immettono nel retrostante reticolo dei percorsi medievali dall’andamento tortuoso, anticamente definito dal corso dei canali che alimentavano le manifatture lì assai concentrate.

  • Seminario metropolitano Modena (MO)

    L'edificio alla destra della chiesa di S. Francesco, del secolo XVII, già convento dei Frati Minori, è oggi sede del Seminario metropolitano.

    Ristrutturato nel 1827 da Gusmano Soli, ha di interessante un chiostro rettangolare con colonne binate e un grandioso scalone neoclassico. Vi si conservano una bella tavola con S. Vincenzo Ferreri di Bartolomeo degli Erri, una ricca raccolta di dipinti dei secoli XVII-XIX, tra cui opere di Bartolomeo Passarotti, Antonio Consetti, Francesco Vellani, Adeodato Malatesta, e sculture di Giuseppe Pisani e Giuseppe Obici.

  • Chiesa di S. Francesco Modena (MO)

    Fronteggiata da una fontana con bronzo di Giuseppe Graziosi (1920 circa), la chiesa di S. Francesco fu fondata nel 1244, con notevole campanile d’impianto ottagonale; ampie modificazioni intervennero all’inizio dell’Ottocento, conferendo all’involucro una facies revivalistica.

    Anche all’interno è palese la sovrapposizione alla struttura gotica dei rifacimenti curati da Gusmano Soli attorno al 1830.

    L’impianto si articola in tre ampie navate, divise da nove arcate ogivali su pilastri, con volte a crociera e ampio coro. Al 2° altare destro, S. Rocco di Domenico Baroni; dopo il 3°, monumento votivo all’Immacolata, eretto nel 1840 per la liberazione dal colera, opera di Luigi Mainoni.

    All’altare maggiore, S. Francesco di Adeodato Malatesta. In fondo alla navata sinistra, Deposizione dalla croce, complesso gruppo in terracotta, fra le opere più notevoli di Antonio Begarelli, forse del 1523; al 4° altare sinistro, S. Anna di Bernardino Rossi; al 2°, S. Carlo Borromeo di Giovanni Nigetti (1615).

  • Convento di S. Paolo Modena (MO)

    In via Francesco Selmi, nel tratto verso i viali, si trova la chiesa esterna del convento di S. Paolo, di impianto medievale, ricostruita nel 1650 circa da Cristoforo Malagola detto il Galaverna con facciata ridotta dall’ing. Parenti nel 1890.

    Restaurata tra il ’97 e il ’98 dalla Provincia di Modena è ora sede espositiva. Adiacente un vasto complesso edilizio, all’origine monastero femminile poi Educatorio Provinciale S. Paolo, ora sede di Istituti scolastici, di Uffici pubblici e del CUBEC Accademia di Belcanto di Mirella Freni.

    All’interno, nella cappella, statue di G. Codebue e affreschi di fine Cinquecento.

  • Chiesa di S. Bartolomeo Modena (MO)

    Innalzata per i Gesuiti da Giorgio Soldati a partire dal 1606 sull’area di un’antica parrocchiale, la chiesa di S. Bartolomeo ebbe aggiunta nel 1727 la monumentale facciata da Andrea Galluzzi.

    Nell’interno, a croce latina, le navate laterali sono divise dalla mediana da due vaste arcate, e comunicano con il breve transetto mediante un’altra arcata: un sistema di diaframmi di singolare trasparenza, che sottolinea il concetto gesuitico di spazio unitario, consono a un tempio ideato come ‘auditorium’ per la predicazione.

    Unico, da qualunque visuale, è il fulcro prospettico: un monumentale tabernacolo in marmo e bronzi decorativi di G.B. Censore, sovrastato da ciborio.

    Nelle volte, gli affreschi di Giuseppe Barbieri (1692-98) dilatano con enfasi barocca il testo architettonico: oltre gli sfondati prospettici si spalancano l’Empireo (navata centrale), le apoteosi di S. Ignazio di S. Francesco Saverio (transetti destro e sinistro) e di S. Bartolomeo (volta absidale), in un programma iconografico celebrativo e didascalico, secondo l’estetica della Compagnia di Gesù.

    Nella controfacciata sopra il portale mediano, Martirio di S. Bartolomeo di Girolamo Negri; di lato alla porta maggiore, Martirio di S. Paolo di Girolamo Bonesi e Predica di S. Paolo di Francesco Romanelli; alle pareti, storie di S. Ignazio di Giuseppe Romani e storie di S. Francesco Saverio di Ludovico Lana; nella cappella a destra del presbiterio, S. Francesco Saverio che predica agli Indiani di Francesco Cairo.

    Nel presbiterio, alla parete sinistra, Ss. Stanislao, Francesco Borgia e Luigi di Giuseppe Maria Crespi, alla parete destra, Martirio di S. Orsola di Sante Peranda; nell’abside, a sinistra Deposizione dalla croce di Antonio Pomarancio.

    Nella cappella a sinistra del presbiterio, all’altare, S. Ignazio di Loyola di Giacinto Brandi. Navata sinistra: nella 2a cappella, all’altare Annunciazione di Jacopo Ligozzi, ai lati e nella volta storie della vita della Vergine di Lorenzo Garbieri; nella 1a, all’altare, Morte di S. Giuseppe di Jean Boulanger.

  • Via dei Servi Modena (MO)

    All'altezza del N. 91 di corso Canalchiaro, dove affacciano le medievali case Morano, ha inizio la via dei Servi.

    Al N. 44 il palazzo Cuoghi, dietro la facciata in stile Restarazione, rivela origini medievali nella torre del cortile. Di fronte, N. 35, il palazzo della Valle, trecentesca dimora dei nobili Grassoni; tra gli elementi di diversa epoca che lo compongono, la torre è forse il più antico, mentre i portali e la scala a elica sono rinascimentali e lo scaloncino barocchetto.

    Al N. 31 la casa Righi, sorta nel 1876 su progetto di Vincenzo Maestri nell’area del convento servita che vi sorgeva dal 1383, è un saggio di revival architettonico rinascimentale, come le pitture a grottesche nel porticato interno di Andrea Becchi (1880 circa).

    All’angolo con la piazzetta dei Servi, creatasi a seguito della distruzione della chiesa servita di S. Salvatore, bombardata nel 1944, si innalza il superstite campanile del secolo XVIII, contenente all’interno una terracotta dipinta dell’Addolorata, pure settecentesca.

    Sul fondo, il palazzo Fontana, edificio cinquecentesco con impianto a U, concluso nel prospetto da una balaustrata neoclassica di Giuseppe Maria Soli. Subito dopo la piazzetta, in via dei Servi, l’ex convento della Compagnia di Gesù è oggi sede della Presidenza e di aule dell’Istituto d’Arte Adolfo Venturi.

    Dall’atrio a destra si accede alla settecentesca sala delle Dame, già oratorio, ora spazio espositivo. Accanto all’edificio la chiesa di S. Bartolomeo. Ai numeri 1-5 è il palazzo Carandini.

    Della superstite maglia medievale sulla sinistra della via dei Servi, la via Mondatora è una delle strade più interessanti; vi sorgono, al N. 14 il rinascimentale palazzo Pavarotti, ora sede del Banco di S. Geminiano e S. Prospero, e di fronte, N. 19, il neoclassico palazzo Tacoli. Nella via si apre uno dei tre ingressi dello storico Mercato Albinelli, coperto, inaugurato nel 1931.

  • Palazzo Carandini Modena (MO)

    Il prospetto, su disegno di Giuseppe Maria Soli realizzato dal figlio Gusmano (1825), è qualificato in senso monumentale da un colonnato sostenente timpano in stile neogreco.

    Dal cortile, con portico neorinascimentale e prospettiva dipinta da Andrea Becchi (1880 circa), è l’accesso allo scalone, opera di Giuseppe Palmieri (1790 circa), adattato al gusto della Restaurazione nel 1825 da Gusmano Soli.

    L’appartamento nobile, affrescato da Geminiano Vincenzi e Giuseppe Zoni (1795-1825), è importante esempio della cultura figurativa modenese del primo Ottocento.

  • Ex monastero di S. Geminiano Modena (MO)

    È caratterizzato da un cinquecentesco campanile e, nell’interno, da un grande chiostro con loggia, ristrutturato nel XVII secolo, che dà accesso all’oratorio dove è conservato un dipinto, Riposo dalla fuga in Egitto, da taluni attribuito a Francesco Gessi.

    L’Istituto S. Geminiano è ora utilizzato dall’Università degli Studi come sede della facoltà di Giurisprudenza.

  • Chiesa di S. Pietro Modena (MO)

    In un piazzale di alta suggestione, dove si innalza una colonna detta croce di S. Pietro, dal capitello con protomi leonine (secolo XIII) e soprastante croce con le effigi di Cristo e S. Pietro (secolo XIV), sorge la chiesa di S. Pietro, in antico annessa a un’abbazia benedettina fondata nel 996 e dotata di ampi possedimenti di donazione vescovile.

    L’attuale tempio, ricostruito tra il 1476 e il 1518 su disegno di Pietro Barabani, rappresentava all’epoca l’edificio religioso più rilevante dopo la Cattedrale per qualità progettuale e decorativa.

    Il profilo della facciata, in laterizi, è a cuspide nel settore mediano, con due ali corrispondenti alle navate laterali, cui si accostano due ali minori che coincidono con le navatelle.

    Una bella cornice in cotto con satiri e cavalli marini, dei fratelli Bisogni (1530), separa l’ordine inferiore, aperto da tre portali fra lesene, dal superiore, traforato da un rosone e due oculi. Il retrostante campanile a vela, di Bernardo Bartolomasi (1629), si può scorgere dal viale delle Rimembranze, aggirando l’isolato.

    L’interno, originariamente a tre navate, fu riconfigurato a cinque, divise da pilastri cruciformi, mediante l’abbattimento delle pareti tra le cappelle (1629). Il dettato architettonico testimonia la fase di passaggio allo stile rinascimentale dal persistente clima gotico che informa il sistema di copertura a crociere e la zona absidale. La decorazione dell’occhio nella facciata interna è probabilmente opera di Antonio Begarelli e aiuti (1555).

    Sopra il portale centrale, Nozze di Cana, grande tela di Ercole Setti (1589). Agli altari lungo le navate, paliotti in scagliola di buona fattura. Navata mediana. Acquasantiere del 1586; addossate ai pilastri, sei statue in cotto (da sinistra, S. Francesco, Madonna col Bambino, S. Pietro, S. Benedetto, S. Giustina, S. Bonaventura) di Antonio Begarelli. A sinistra, l’organo di G.B. Facchetti costruito nel 1524, ricostruito con materiali antichi nel 1963-64, restaurato nel 2019 (nelle ante e nel parapetto, dipinti di Giovanni e Giulio Taraschi, 1546).

    Navata destra. Sopra il portale, monumento a Nicolò Morano (1505). Nella 1a cappella, vasca battesimale in marmo veronese del 1532; di fronte S. Prospero e S. Maria Maddalena di Carlo Ricci (secolo XVIII); alla parete destra Sacra famiglia con S. Giustina della bottega di Gian Gherardo dalle Catene. Nella 2a, Compianto di Pellegrino Munari. Nella 3a, Vergine in gloria con S. Gregorio Magno del Maestro di Celano Pelumi (prima metà del secolo XVI). Nella 4a, Maddalena, ambito dello Scarsellino (secolo XVI). Nella 5a, Martirio di San Giovanni Evangelista, scuola del Tintoretto.

    Nella 6a, Vergine con i Ss. Giovanni Battista e Luca Evangelista di Gian Gherardo dalle Catene (secolo XVI). Nella 7a, Assunzione, Predella di Gian Gherardo dalle Catene (1520). Nell’8a, Vergine del Giglio, bottega del Sassoferrato (1640).

    Nel transetto destro, il cosiddetto altare delle statue, ornato a stucchi e rilievi, con Assunta tra angeli e santi, iniziato dal Begarelli e finito dal nipote Lodovico. Nell’abside destra, sopra l’altare, Pietà, gruppo in terracotta del Begarelli; alla parete destra, Martirio dei Ss. Gervasio e Protasio attribuito a Lodovico Lana; in quella sinistra, Passaggio del mar Rosso di Giulio Taraschi. Presbiterio. Alla parete destra, Conversione di S. Paolo di Domenico Carnevali (1564), in quella sinistra, Vocazione di S. Pietro di Girolamo Romanino (1557).

    In basso corre un bel coro intarsiato da G.F. Testi (1537-43). Nell’abside sinistro, all’altare, Annunciazione di Ercole dell’Abate. Nel transetto sinistro, sopra due confessionali barocchi, S. Orsola e le compagne di Ercole Setti (1568); sotto, una lapide indica la sepoltura di Alessandro Tassoni.

    Per una porta a destra si va nella sagrestia, sulle cui pareti corre un bel fregio con medaglioni dipinti da Girolamo da Vignola (1578); notevoli banchi intagliati e intarsiati a prospettive varie (quelli alla parete sinistra sono di Francesco da Cremona, 1548). Navata sinistra.

    Nell’8a cappella, Crocifisso ligneo di ambito emiliano (sec. XV). Nella 7a La Vergine coi Ss. Geminiano e Martino di Filippo da Verona. Nella 6a Orazione nell’orto di Giovanni e Giulio Taraschi. Nella 5a S. Orsola con le compagne martiri di Ercole Setti (1568). Nella 3a Vergine in trono con i Ss. Sebastiano e Girolamo di Francesco Bianchi Ferrari (1506). Nella 1a, Annunciazione di Ercole dell’Abate (prima metà del secolo XVI). Nella volta affreschi di Ercole dell’Abate, fregi e putti di A. Begarelli.

    All’interno dell’attiguo monastero benedettino è racchiuso un chiostro rinascimentale (1510), con colonnato ionico e un ordine di finestre binate, su progetto di Ambrogio Tagliapietra forse derivato da Biagio Rossetti. In alcune sale è visitabile su prenotazione il museo dell’abbazia che espone dipinti, stampe, codici miniati, reperti archeologici.

  • Chiesa di S. Maria delle Assi Modena (MO)

    La chiesa, già conventuale, di S. Maria delle Assi o della Trinità fu eretta nel 1596 su disegno di Giovanni Guerra, con rifacimenti in facciata del 1827.

    A unica navata con sei cappelle laterali e abside semicircolare, provvista di cupola all’incrocio del transetto, è tra i più precoci esempi di architettura controriformata modenese, sul modello della romana chiesa del Gesù.

    Nella 1a cappella destra, S. Guglielmo di Geminiano Mundici; nella cappella maggiore, ai lati dell’altare, S. Pasquale Baylon di Giuseppe Zattera e S. Carlo Borromeo di Sigismondo Caula.

  • Palazzo del principe Foresto Modena (MO)

    Imponente palazzo, ora della Prefettura; già dei Fogliani, poi dei Rangoni, e dal 1640 dei principi d’Este, tra i quali appunto Foresto, ha facciata con portale colonnato dalle inflessioni neomanieristiche (Pietro Termanini, 1773- 75), mentre l’interno reca influssi del barocco romano.

  • Corso Canal Grande Modena (MO)

    Ampia elegante strada perpendicolare alla via Emilia, definita da quinte di palazzi dalla facies prevalentemente sei-settecentesca; aperta a seguito della copertura (secolo XVI) del canale che ne costituisce ancora il tracciato, rappresentò un’arteria di urbanizzazione residenziale elitaria, come è testimoniato dal carattere colto che contraddistingue gran parte del suo tessuto edilizio.

    Ne è saggio il palazzo Schedoni, ora hotel Canalgrande (N. 6), ex convento dei Rocchettini adattato, nel 1790, da Giuseppe Maria Soli. Contigua è la chiesa di S. Maria delle Assi o della Trinità.

    Altri cospicui episodi residenziali sono, al N. 21, il neo-rinascimentale palazzo Valenti di Vincenzo Maestri, al N. 20 la casa Seghizzi (secolo XVI), infondatamente ascritta al Vignola, al N. 27 il palazzo Bortolani, dal suggestivo giardino ottocentesco, e al N. 30 l’imponente palazzo del principe Foresto.

    Lungo il tratto settentrionale del corso Canal Grande, che arriva fino ai Giardini pubblici, si fronteggiano la neoclassica ala orientale del Palazzo ducale, dovuta a Giuseppe Maria Soli, e le scuderie dell’Accademia militare, già ducali, progettate da Bartolomeo Avanzini (1650 c.), con abbellimenti di fine Settecento.

    Lungo il lato destro del corso, si alza poi il classicistico prospetto del palazzo di S. Margherita, eretto su disegno di Francesco Vandelli (1830) nelle forme della Restaurazione.

    Altro edificio classicistico di Vandelli è il vicino Teatro comunale «Luciano Pavarotti», di fronte al quale si allinea una bella sequenza di palazzi nobiliari, tra i quali al N. 90 la casa di Ciro Menotti, al N. 88 il palazzo già dei conti Calori Cesi, al N. 84, il palazzo Boschetti, fronteggiato dal palazzo Sabbatini.

    A poca distanza, il palazzo del Tribunale e la chiesa di S. Vincenzo.

  • Palazzo dell’Università degli Studi Modena (MO)

    Vi hanno sede uffici e la Biblioteca. Progettato da Andrea Tarabusi per volontà di Francesco III (1774), con modifiche di Gian Francesco Zannini (1776), possiede un maestoso scalone con stucchi rococò, connesso all’atrio da una loggia passante tra due piccoli cortili.

    L’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia risale allo Studio documentato nel XII secolo, sospeso dal 1330 e sostituito con «letture» di carattere universitario; riaperta nel 1632 e affidata ai Gesuiti, fu statalizzata, secondo i principi del laicismo illuminato, nel 1774, e tale rimase fino al 1859. Parificata nel 1887, fu annoverata tra le università statali nel 1923. Comprende numerosi Istituti universitari.

    Al terzo piano sono sistemati il Museo di Zoologia e Anatomia comparata, il Museo di Paleontologia, il Lapidario-Galleria dei Busti.

  • Chiesa di S. Carlo Modena (MO)

    Appartenente all’omonimo collegio, la chiesa è visitabile su richiesta.

    Iniziata da Bartolomeo Avanzini e compiuta da Gaspare Vigarani (1664), presenta prospetto in laterizio a doppio ordine di lesene, con portale in pietra; la cupola racchiusa da tiburio all’incrocio dei bracci fu ricostruita da Pietro Termanini nel 1771.

    Nell’interno riecheggia lo schema della romana S. Carlo ai Catinari: tre navate con sei cappelle laterali e profondo presbiterio scenograficamente allestito dall’apparato in stucco a guisa di baldacchino, adorno delle statue delle Virtù teologali di Antonio Traeri, su disegno di Marcantonio Franceschini, e di un grande affresco con la Peste di Milano, dello stesso Franceschini (1699).

    Tra i dipinti, prevalentemente di artisti modenesi del Seicento: sopra il portale, Carlo Borromeo che comunica gli appestati di Sigismondo Caula; nella 1a cappella destra, S. Vincenzo e altri santi di Olivier Dauphin; nella 2a, Assunzione di Francesco Stringa; nella corrispondente di sinistra, Sposalizio della Vergine di Francesco Vellani; nella 1a, sempre a sinistra, S. Caterina di Adeodato Malatesta.

  • Collegio di S. Carlo Modena (MO)

    Lungo la via S. Carlo la fronte della chiesa è collegata al collegio S. Carlo o dei Nobili, istituito dal conte Paolo Boschetti nel 1626 per l’istruzione dei giovani di ceto elevato, ora sede dell’omonima fondazione.

    Come la chiesa, anche l’edificio del collegio fu eretto, a partire dal 1664, su disegno di Bartolomeo Avanzini, che progettò anche il portico, tradizionale ‘salotto’ della città, ultimato da Pietro Termanini nel 1765.

    Notevoli l’imponente scalone a forbice, affine a quello del Palazzo ducale di Sassuolo, che dà accesso alla galleria d’Onore (alle pareti stemmi in legno e ritratti dei convittori) e di qui alla sala dei Cardinali (dai ritratti settecenteschi di prelati benefattori), decorata da quadrature prospettiche e allegorie di Antonio Consetti e Pellegrino Spaggiari. Seguendo il corridoio si giunge al settecentesco teatro.

    Cospicua la dotazione di dipinti sacri di Francesco Vellani, Antonio Consetti e Lucio Massari (Cena in Emmaus); interessante storicamente e iconograficamente la galleria di ritratti di allievi e benefattori (secoli XVII-XIX).

  • Galleria BPER Modena (MO)

    La Banca Popolare dell’Emilia Romagna che ha costituito un’importante raccolta d’arte emiliana dal XIV al XVIII secolo. Tra le opere di scuola bolognese spiccano i dipinti di Simone dei Crocifissi, Annibale e Ludovico Carracci, Guercino, Desubleo, Marcantonio Franceschini.

    Capolavori di artisti modenesi quali Cristoforo da Lendinara, Francesco Bianchi Ferrari, Ludovico Lana e Francesco Vellani. Anche per l’ambito regionale compaiono nomi di grande prestigio quali Correggio, Ortolano e Girolamo da Carpi.

Ultimo aggiornamento 11/11/2022
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