Modena: la via Emilia

In collaborazione con Touring Club

L’asse romano generatore della struttura urbanistica delle città, appunto, emiliane, per Modena rappresenta, in più, una sintesi dello sviluppo della città storica e, in molti casi, il riflesso delle sue vicende politiche, sociali e culturali. 

Numerosi e ancora percepibili sono gli episodi edilizi e urbanistici che testimoniano la centralità di questa strada nella vita di Modena. Definito ai margini dell’urbanizzazione medievale dagli insediamenti conventuali dei Carmelitani e degli Agostiniani, il suo tracciato lambisce tangenzialmente il nucleo di piazza Grande, del quale ripropone, in un breve segmento centrale, la bipolarità, con gli affacci della cattedrale con la torre Ghirlandina e del Palazzo comunale; e sempre al suo tracciato, per il tramite della via Ganaceto, si innesta la cosiddetta «addizione Erculea», il maggior intervento urbanistico modenese di età rinascimentale, così come da esso si dipartono le prospettive a cannocchiale della via Farini e del tratto superiore del corso Canal Grande, orientate sugli edifici ducali barocchi. 

Nel Seicento vi si incentrano i saggi episodici dell’edilizia a macchia di leopardo – il portico del collegio S. Carlo, la chiesa del Voto – e nel Settecento il piano progettuale che, riconoscendone il ruolo prioritario, ne regolarizza l’andamento, in quel programma di riforme governative che determinerà il sorgere, verso la porta S. Agostino, dell’Ospedale civile e dell’Albergo dei Poveri. 

Un ruolo nuovamente riconfermato in età post-unitaria con l’apertura del ghetto ebraico, la riconversione dell’Albergo in palazzo dei Musei, l’edificazione del teatro Storchi, e, ormai nel Novecento, nel ventennio fascista, la sistemazione celebrativa della piazza Impero (ora Matteotti). 

Articolato in due tronchi, rispettivamente verso est e verso ovest, l’itinerario impegna complessivamente circa mezza giornata, tempo non sufficiente tuttavia a effettuare anche una visita sistematica delle raccolte dei Musei civici e della Galleria Estense, prestigioso complesso che merita attenzione particolare.

  • Lunghezza
    n.d.
  • Modena Modena (MO)

    Modena m 34, ab. 189.013, ubicata lungo la Via Emilia, su una lieve altura a circa 30 km dalle montagne appenniniche, è città di grande vivacità civile e culturale, e, dal secondo dopoguerra, in costante rapida fase di espansione economica che, oltre ai prosperi comparti produttivi tradizionali (agricolo, zootecnico, tessile), vede fiorire soprattutto nuove aziende metalmeccaniche e le attività terziarie cosiddette avanzate. Prescindendo dai poli monumentali di fama più consolidata, a un’indagine superficiale Modena può apparire città dal volto dimesso, quasi sottotono rispetto ad altri centri padani dal prestigio indiscusso. In realtà, se la bellezza di Modena possiede timbri meno appariscenti, è pur viva, intensa, talora sontuosa; soltanto, essa si manifesta al di là degli austeri involucri delle sue chiese e dei riservati prospetti dei numerosi palazzi, al cui interno fantasiose scenografie decorative e architettoniche sorprendono frequentemente per l’acuto contrasto con gli esterni, essenziali eppure euritmici per qualità di moduli e profili.

  • Palazzo Rossi Barattini Modena (MO)

    Già dei conti Marchisio, dietro la facciata dal sobrio barocchetto, conserva una suggestiva scala elicoidale, su progetto e con decorazioni pittoriche di Andrea Becchi (1880 c.), esempio di fusione tra eclettismo accademico e istanze modernistiche.

  • S. Biagio Modena (MO)

    Già S. Maria del Carmine, officiata dai Carmelitani, assunse il titolo attuale dalla parrocchiale soppressa nel 1768. Del tempio originario, fondato nel 1319, rimangono deboli tracce di ogive nel fianco verso la Via Emilia. Tra il 1649 e il ’65, su progetto di Cristoforo Malagola, fu impresso al vetusto edificio un volto sobriamente barocco, nei modi classicistici bolognesi. Celati i contrafforti gotici entro pilastri in stucco, l’interno fu trasformato in uno spazio a navata unica con cappelle laterali, e si realizzò l’attacco di valenza scenografica tra l’aula e il presbiterio mediante coppie di colonne libere accostate a lesene. La nuova fisionomia fu integrata con l’affrescatura di angeli musicanti nel coro, il Paradiso con santi Carmelitani nella cupola e gli Evangelisti nei pennacchi, ciclo tra i più alti della Modena seicentesca (1650 circa), a opera di Mattia Preti. Tra le altre opere, a destra: nella 3a cappella, S. Alberto carmelitano, tavola di Gian Gherardo dalle Catene; fra la 3a e la 4a, pregevole pulpito in marmo rosso veronese compiuto nel 1481, variamente trasformato e quindi ricomposto. I rilievi rappresentano, sul lato anteriore, Cristo nel sepolcro tra i Ss. Domenico e Paolo; sui fianchi, i Ss. Girolamo e Antonio da Padova. Dietro l’altare maggiore, buon lavoro in legno intagliato e dorato del secolo XVII, alla parete dell’abside, entro fastosa cornice barocca, Annunciazione di G.B. Codebue. Si passa nella sagrestia: la volta reca un grande affresco, Elia sul carro di fuoco, attribuibile come gli affreschi alle pareti ad Angelo Michele Colonna e Agostino Mitelli (1632 circa); lungo le pareti, pregevoli armadi in noce del secolo XVII. Nuovamente in chiesa, a sinistra: nella 7a cappella, S. Giuseppe e S. Teresa di Giambettino Cignaroli; nella 4a, Madonna del Carmine attribuita a Niccolò dell’Abate; tra la 2a e la 1a, lapide funeraria di Orazio Vecchi, musicista modenese (1550-1605) che con L’Amfiparnaso offrì uno dei primi e più illustri esempi di madrigale dialogico. Sul fianco sinistro del tempio si apre il chiostro quattrocentesco dell’antico convento, con preesistenze gotiche. La chiesa è ancora chiusa per le conseguenze del terremoto.

  • Largo Giuseppe Garibaldi Modena (MO)

    Costituisce il maggior episodio di progettazione urbanistica della cultura accademica tardo-ottocentesca locale, dovuto a Vincenzo Maestri, con intento di simmetria rispetto al settecentesco largo di Porta S. Agostino che sigla l’ingresso occidentale; ne contraddistingue l’arredo una fontana con i fiumi Secchia e Panaro di Giuseppe Graziosi (1920 circa). Accanto a dignitosi palazzi residenziali spicca sulla destra il teatro Storchi.

  • Teatro Storchi Modena (MO)

    Costruito dal 1886 su disegno del Maestri. Simbolo della cultura della borghesia in ascesa, ha un notevole prospetto con pronao dorico e loggiato superiore a colonne ioniche tra due avancorpi frontonati; la sala ha la volta affrescata in modi liberty da Fermo Forti con le allegorie della Danza, Musica, Commedia e Tragedia.

  • Palazzo della Provincia Modena (MO)

    Il palazzo (sede dell’Amministrazione Provinciale e della Prefettura) fu progettato nel 1844 come Ministero ducale delle Finanze da Cesare Costa in nobili linee neorinascimentali, dominate dalla loggia a colonnato. All’interno è la Raccolta d’Arte della Provincia che annovera opere di artisti dei secoli XIX e XX, quali Adeodato Malatesta, Giovanni Muzzioli, Giuseppe Graziosi e Casimiro Jodi.

  • S. Lazzaro Modena (MO)

    Lungo la via Emilia Est, nel quartiere di San Lazzaro, località ospedaliera medievale, è raggiungibile la chiesa di S. Lazzaro, edificio dei primi del Cinquecento costruito su progetto di Pietro Barabani, recante nella struttura e nelle decorazioni in laterizio dell’unico portale retaggi tardo-gotici. La chiesa, a una sola navata, è inagibile e non visitabile. Il suo patrimonio consisteva in affreschi (strappati) dei fratelli Agostino e Adamo Setti e di Giovan Antonio Scaccieri, con storie di S. Lazzaro e della Maddalena e i Ss. Geminiano e Giovanni Battista (1523), che recano invece un’impronta rinascimentale, con rimandi a modelli dell’Italia centrale; all’altare sinistro, Madonna e santi di Francesco Vellani. La nuova parrocchiale di S. Lazzaro è stata costruita (2015) in via Livio Borri 90.

  • Sinagoga Modena (MO)

    In piazza Mazzini, ricavata nel 1860 circa dall’abbattimento di un isolato dell’antico ghetto ebraico. Di forma ellittica, edificata in stile eclettico, con il concorso di tutta la Comunità ebraica modenese, su progetto di Ludovico Maglietta e internamente affrescata da Ferdinando Manzini, fu inaugurata nel 1873; uno degli elementi più interessanti sono le dodici colonne che sorreggono il matroneo, a ricordo delle dodici tribù di Israele.

  • Chiesa della Madonna del Voto Modena (MO)

    Detta chiesa Nuova, fu innalzata nel 1634-36 – ultima delle grandi commissioni della Comunità – in ringraziamento alla Madonna della Ghiara per la cessazione della peste del 1630. Progettista fu Cristoforo Malagola che ne plasmò la struttura su quella del S. Salvatore di Bologna, prototipo del barocco scenografico emiliano. Il ruolo di fulcro prospettico del tempio, con facciata a due ordini sovrapposti conclusa da timpano triangolare, è ribadito dalla cupola – unica nel panorama urbano – che rammenta quella del santuario della Ghiara a Reggio nell’Emilia. L’interno, a navata unica, con sei cappelle laterali, vasto transetto e coro semicircolare, si configura a croce latina in pianta, mentre nell’alzato tende a un effetto centralizzante per l’elevarsi a tutt’altezza delle cappelle mediane. A destra: nella 1a cappella, Madonna col Bambino e S. Antonio da Padova di Francesco Stringa; nella 2a, ricco altare in marmo di Carrara con statue di Andrea Baratta e Crocifissione di Ludovico Lana; nella 3a, S. Filomena di Adeodato Malatesta. Nel presbiterio, ai lati della pala centrale, Morte di S. Giuseppe e Transito della Vergine di Francesco Stringa. A sinistra: nella 3a cappella, Presentazione di Gesù al tempio attribuita ad Antonio Giarola; nella 2a, entro ancona dorata, Madonna col Bambino e santi (nella parte inferiore, scene della peste del 1630 a Modena di Lodovico Lana); nella 1a, S. Cecilia di Antonio Simonazzi.

  • S. Giovanni Battista Modena (MO)

    Sorge isolata nel 1723-30 nell’area della medievale S. Michele, su disegno del padovano Girolamo Frigimelica-Roberti che ne fece un’edizione aggiornata del repertorio tardo-manieristico veneto, come suggerisce il procedimento ‘addizionale’ dei volumi, nel sovrapporsi degli involucri circolari dell’aula, del tiburio e della lanterna. L’interno ha pianta ellittica, più sviluppata in larghezza, preceduta da un atrio cui un tempo corrispondeva specularmente il presbiterio, alterato ai primi dell’Ottocento da un prolungamento; due cappelle sul diametro maggiore e quattro cappelline radiali completano l’insieme di nitido equilibrio classicistico, inedito in ambito locale. Sulla cantoria, organo settecentesco di Agostino Traeri; agli altari laterali, dipinti di Antonio Consetti; dietro l’altare maggiore, Decollazione del Battista di Francesco Vellani; a sinistra, entro nicchia, *Deposizione dalla Croce, gruppo di 8 grandi statue in terracotta di Guido Mazzoni. La chiesa è generalmente chiusa; le visite sono a richiesta via mail.

  • Palazzo Solmi Modena (MO)

    Già Rangoni, con veste architettonica di poco precedente al 1760, è ascrivibile a Pietro Termanini, i cui modi neo-manieristici si appalesano nel nodo portale-balconata che cifra il settore mediano, più elevato. Il palazzo, dal 2021 di proprietà comunale, ospita istituzioni culturali. Pure settecenteschi gli ambienti di rappresentanza, tra i quali la sala degli Specchi, dal rococò francesizzante, e il salone già adibito a teatro. L’interno contiene molteplici testimonianze del preesistente assetto: nel cortile, una balaustrata marmorea eretta da Lucrezia Pico Rangoni nel 1540, su presunto disegno di Giulio Roma- no; una quattrocentesca scala a rampa unica.

  • Via Ganaceto Modena (MO)

    Lungo asse che connette l’intricata maglia della città medievale alla cosiddetta «addizione Erculea», blocco urbano omogeneo creato nel 1546 a seguito di una operazione progettuale voluta da Ercole II d’Este. Il quartiere, strutturato, oltre che sulla stessa via Ganaceto, sul perpendicolare corso Cavour e su una griglia stradale a sviluppo ortogonale, fu occasione per un’edificazione residenziale aristocratica e religiosa. Della prima sono significativi esempi: in angolo con la medievale via della Cerca, il palazzo già Giacobazzi, ora delle suore Orsoline, del secolo XVIII; presso l’incrocio con il corso Cavour, il palazzo già Molza, ora della Camera di Commercio; e il palazzo Campori, riconfigurato ai primi dell’Ottocento dall’architetto neoclassico Giuseppe Maria Soli. Attiguo è l’ex convento dei Cappuccini, fondato nel 1576, preceduto dalla chiesa della Croce. A breve distanza l’area dell’ex Manifattura Tabacchi, vasto complesso in cui avveniva la lavorazione del tabacco.

  • Palazzo Molza Modena (MO)

    Il palazzo già Molza, ora della Camera di Commercio, è cinquecentesco ma con interventi settecenteschi nell’atrio, nell’ampio giardino e nel salone d’ingresso. All’interno, tele con vedute architettoniche, in parte di Giuseppe Pelacani, del 1770.

  • Ex Manifattura Tabacchi Modena (MO)

    Vasto complesso in cui avveniva la lavorazione del tabacco. Sottoposto a un impegnativo progetto di riqualificazione, firmato dagli architetti Portoghesi e Lugli. I vecchi magazzini e gli edifici già adibiti alla manifattura sono stati trasformati in uffici, abitazioni e attività commerciali, mentre l’alta ciminiera è diventata il simbolo di un moderno polo cittadino, caratterizzato da una rete di percorsi pedonali e dal MaTa, sede espositiva di Fondazione Modena Arti Visive.

  • Chiesa della Croce Modena (MO)

    Officiata con il rito ortodosso. Di linee essenziali nello spirito dell’ordine, è a una sola navata con abside rettangolare e quattro cappelle sul lato sinistro, una delle quali, la 3a, contiene una Madonna e santi di Girolamo Vannulli; tra questa e la 2a, presepe in terracotta di fra’ Stefano da Carpi.

  • Casa-Museo di Ludovico Antonio Muratori Modena (MO)

    L'Aedes Muratoriana è la casa dove per 34 anni abitò Ludovico Antonio Muratori (1672-1750). In un edificio in mattoni a vista, anticamente canonica della chiesa di S. Maria Pomposa, restaurato e sistemato, hanno sede la Deputazione di storia patria per le antiche province modenesi, con fornitissima biblioteca, il Centro studi muratoriani e il museo muratoriano, con autografi e opere a stampa di Ludovico Antonio Muratori, oltre a cimeli, stampe e ritratti.

  • S. Maria Pomposa Modena (MO)

    In un pittoresco angolo della città settecentesca, alle spalle dell’Aedes Muratoriana, è la chiesa di S. Maria Pomposa, ricostruita nel 1719 per volontà di Ludovico Muratori, che ne era prevosto e vi è sepolto dal 1922. Ha semplice facciata in laterizio e struttura a croce latina, con unica navata e sei cappelle. Lungo le pareti fra cappella e cappella, storie della vita di S. Sebastiano, tele di Bernardino Cervi; all’altare maggiore, Madonna in gloria e i Ss. Geminiano, Sebastiano e Rocco, copia di Jean Boulanger dal celebre quadro di Correggio, oggi alla Gemäldegalerie di Dresda; nella 1a cappella sinistra, monumento funerario a L.A. Muratori di Lodovico Pogliaghi (1931); nella 2a, Vergine del Suffragio di Bernardino Cervi.

  • Palazzo Montecuccoli degli Erri Modena (MO)

    Sulla via Emilia, contiguo al palazzo Solmi, si staglia il palazzo Montecuccoli degli Erri, la cui facciata neocinquecentesca spetta a Vincenzo Maestri (1890 circa). Il piano nobile è occupato dalla Fondazione della Cassa di Risparmio di Modena che utilizza parte degli spazi per esposizioni temporanee.

  • Rua Muro Modena (MO)

    Via medievale riqualificata da interventi posteriori e ancora caratterizzata dai portici. Questa strada è occasione per una diversione in un ambiente urbano forte- mente condizionato nell’impianto dall’andamento curvilineo dell’antica cinta muraria. Il suo interesse, quindi, più che nelle emergenze architettoniche, certamente di tono minore, è legato ai caratteri urbanistici dell’area, dei quali, oltre che nella stessa rua Muro, rimane traccia anche nella parallela via S. Agostino. Meritano menzione nella rua Muro: al N. 60 il cinquecentesco palazzo Ferrari Moreni, con fronte porticato a colonne e cortile pure a portici e loggiato; al N. 62 il palazzo già Montecuccoli Laderchi, con neoclassica sala di Psiche dipinta da Felice Giani (1815); quindi, sul lato opposto, l’imponente ex caserma di S. Chiara, eretta sull’area di un convento nel 1839 nello stile della Restaurazione da Giovanni Lotti, dal 1980 ristrutturata per uso residenziale e di servizio; di fronte, N. 76, il palazzo Sacerdoti, originariamente rinascimentale ma trasformato alla fine dell’Ottocento, adorno nell’angolo esterno di un busto di Lodovico Castelvetro di Ciro Bisi, e, N. 78, il cinquecentesco palazzo Buoi Ghisellini ispirato ai modi di Biagio Rossetti, con fregio dipinto e cortile porticato.

  • S. Maria delle Grazie Modena (MO)

    Già annessa al convento del Terzo Ordine francescano, compiuta nel 1711 da Gian Antonio Franchini su disegno di un ignoto architetto francese di quell’ordine. La facciata si uniforma alla tradizionale austerità, come l’interno, a unica navata, abside semicircolare e quattro cappelle, precedute da due cappelline; in queste sono conservate: nella 1a a destra, una Madonna di Loreto e santi di Lucio Massari; in quella di fronte, un’altra Madonna e santi di G.B. Codebue; nell’abside, Madonna delle Grazie e santi di Francesco Vellani; nella 1a cappella sinistra, S. Geminiano del Codebue e sopra la porta d’ingresso, Maddalena in casa del Fariseo di Carlo Rizzi.

  • Largo di Porta S. Agostino Modena (MO)

    Spazio di respiro urbanistico concepito attorno al 1750-60 all’ingresso occidentale e armonicamente concluso dalla porta innalzata nel 1790 da Giuseppe Maria Soli in eleganti linee neoclassiche. In coerenza con il criterio di funzionalità della piazza, ma non senza attenzione per un conciso decoro formale, furono concepite le fabbriche di servizio che formano le quinte laterali, costituite dal Grande Albergo dei Poveri (ora palazzo dei Musei) e dall’Ospedale civile.

  • ex-Ospedale Sant'Agostino Modena (MO)

    L'Ospedale civile fu voluto da Francesco III e realizzato, in base a un progetto di Giuseppe Socci rivisto da Alfonso Torreggiani, tra il 1753 e il ’56. L’elegante lineare facciata principale si adorna di ferri battuti di G.B. Malagoli, del quale è pure la lunga cancellata nell’atrio. L’edificio, notevole per la razionalità dell’impianto, si protende anche lungo il viale Berengario.

  • S. Agostino Modena (MO)

    Chiesa fondata nel 1338 ma trasformata nel 1664 in pantheon atestinum, cioè luogo delle esequie ducali, da Giovanni Giacomo Monti che si ispirò al barocco apparato allestito nel 1659 per i funerali di Francesco I da Gaspare Vigarani. La facciata, di linee sobrie, è movimentata dagli inserti di un ricco portale e di un elegante coronamento a timpano ricurvo. Prevedibilmente fastoso è l’interno, enorme aula con otto altari laterali, ampio transetto e coro, il cui programma iconografico mira a celebrare, attraverso la gloria ultraterrena, la dinastia ducale. L’esito formale è una sontuosa ‘sala da spettacolo’, una sorta di allestimento effimero pietrificato, con la vastissima zona presbiteriale sopraelevata in guisa di palcoscenico ove ergere le macchine funerarie. Nella soffittatura a riquadri, eseguita con inizio dal 1662 circa da Giovanni Giacomo Monti, Baldassarre Bianchi, Francesco Stringa, Sigismondo Caula e altri, sono raffigurati santi estensi. La struttura gotica (riaffiorante all’esterno lungo il fianco sinistro) è celata da una cortina architettonica in stucco, nel cui ordine inferiore alloggiano statue di sante regine e imperatrici legate da parentela con la casa d’Este, mentre nell’ordine superiore, tra allegorie assise, campeggiano busti dinastici. Il ciclo celebrativo, dovuto a Lattanzio Maschio, Antonio Contraversi, Antonio Costa e Pietro Piazza, si completa, presso l’attacco del presbiterio con le statue di S. Azzo martire (leggendario antenato degli Este) e di Matilde di Canossa, e nell’abside con quelle di S. Contardo d’Este, della beata Beatrice d’Este, figlia di Azzo IV, e di una seconda beata Beatrice d’Este, figlia di Azzo VII. Tra le altre opere presenti nella chiesa: al 1° altare destro, *Deposizione dalla Croce, grande gruppo in stucco di Antonio Begarelli; al 4° altare destro, sotto la cantoria, *Madonna col Bambino, affresco staccato di Tommaso da Modena, restaurato; nel transetto destro, all’altare, tela dello Stringa; in quello sinistro, Natività di Maria di Ercole Setti; al 1° altare sinistro, S. Antonio da Padova di Adeodato Malatesta.

  • Musei civici-Museo d'Arte Modena (MO)

    Il Museo civico è il depositario dell’identità culturale di Modena e della sua comunità attraverso le sue sale espositive e il patrimonio diffuso che ad esso afferisce. Fondato nel 1871 e inizialmente ospitato in due sale del Palazzo comunale, ha trovato la sua sede definitiva in palazzo dei Musei nel 1886, dopo avere definito in soli quindici anni il suo multiforme profilo, a partire dalla volontà di preservare ed esporre i reperti delle terramare, gli abitati dell’età del Bronzo tipici della zona, che contribuirono alla definizione della preistoria quale nuova scienza nell’ambito della cultura positivista e del dibattito sull’evoluzionismo allora dominante. Affiancarono ben presto le raccolte archeologiche collezioni etnologiche di manufatti provenienti da viaggi in terre lontane, accolti in museo in un’ottica comparativista. Precoce è anche la vocazione industriale, definitasi ben presto come più propriamente artistico-industriale, in dialogo con l’ambiente delle grandi esposizioni, che vide nascere tanti importanti musei europei, quali il londinese Victoria & Albert Museum. Determinanti furono in tal senso alcune prestigiose donazioni nobiliari, la più importante delle quali è la collezione tessile Gandini. Nel frattempo si precisò anche l’interesse più propriamente artistico, per rispondere al quale il Museo acquisì ed espose importanti testimonianze artistiche della città e del territorio, del passato e del presente, queste ultime legate al concorso istituito per volontà testamentaria dell’architetto modenese Luigi Poletti (1792-1869). Nel corso del tempo le sue raccolte si sono incessantemente arricchite, sia sul fronte artistico che su quello archeologico, settore che documenta oggi l’intero territorio provinciale. Riordinato nel 1990 grazie a un’operazione museografica che ha preservato e valorizzato gli arredi ottocenteschi e l’impostazione seriale tipica della museografia ottocentesca, negli anni seguenti ha ampliato i propri spazi espositivi all’interno del palazzo dei Musei, con il Lapidario romano e la Gipsoteca Graziosi, collocati al piano terra. Nel 2021, in occasione del centocinquantesimo della fondazione, il Museo civico ha rinnovato il percorso espositivo, che risulta ora più chiaro e suggestivo. Arte e artigianato – Anima e corpo. Arte sacra. La visita inizia dal vasto ambiente dominato dalla Madonna col Bambino e S. Giovannino (1528) di Antonio Begarelli, proveniente dalla facciata del Palazzo comunale. Destinato all’Arte sacra agli inizi del Novecento, presenta oggi pitture, sculture, oreficerie e arredi di uso liturgico che documentano le vicende della produzione figurativa e artigianale a Modena e nel suo territorio dal Medioevo al Settecento. Tra le testimonianze più antiche figurano le oreficerie liturgiche provenienti dall’abbazia di Frassinoro, fondata da Beatrice di Canossa, madre di Matilde, un’acquasantiera della scuola di Wiligelmo e un capitello di epoca campionese del XII secolo, frammenti di affreschi dei secoli XIII e XIV provenienti dalla Cattedrale e una cimasa di trittico di Tomaso da Modena (1345 circa). La sala documenta anche lo sviluppo della pittura nel ducato estense tra XVII e XVIII secolo, con opere di Francesco Stringa, Jan Boulanger, Sigismondo Caula, Antonio Consetti e Giacomo Zoboli. Le forme del suono. Strumenti musicali. La sala presenta una raccolta di antichi strumenti musicali, il cui nucleo principale proviene dalla collezione depositata nel 1892 dal conte Luigi Francesco Valdrighi, costituita allo scopo di favorire la rinascita della tradizione di alto artigianato fiorita tra Sette e Ottocento intorno alla corte estense. Tra gli strumenti degni di maggiore nota si segnalano le campane cittadine, i salteri settecenteschi di Giovanni Battista dall’Olio, alcuni esemplari di flauti dovuti a noti costruttori europei, il pregevole cembalo di Pietro Termanini (1741) e strumenti a fiato prodotti nella prima metà del XIX secolo da Antonio Apparuti. Modelli esemplari. Terrecotte, cuoi e carte fiorite. Il piccolo ambiente ospita raccolte eterogenee che evidenziano la funzione di repertorio di modelli per l’industria e l’artigianato svolta dal museo nei primi decenni della sua vita: elementi architettonici in cotto (secoli XV, XVI e XIX), tavolette dipinte anticamente poste a decoro di travi e soffitti, carte decorate, cuoi impressi e dorati, pesi e misure. Gli strumenti dello scibile. Strumenti scientifici. Il percorso espositivo è articolato per grandi settori disciplinari: astronomia, elettromagnetismo, idraulica, termologia, ottica e meccanica. Da segnalare sono le sfere armillari di Giovanni Maccari, l’accendilume di Alessandro Volta, il microscopio a riflessione di Giovan Battista Amici, l’orologio perpetuo progettato da Giuseppe Zamboni, i globi terrestre e celeste di Matteo Greuter, le macchine costruite nel laboratorio del Gabinetto universitario da fra’ Agostino Arleri e una selezione di modelli di macchine provenienti dall’Istituto dei Cadetti Matematici Pionieri fondato dal duca Francesco IV nel 1823. L’arte di mettere in tavola. Ceramiche e vetri. La sala espone ceramiche provenienti dal territorio ed emerse durante scavi e ristrutturazioni o acquisite grazie a donazioni. Un gruppo di ceramiche graffite (scodelle, piattelli, fiasche, boccali) documenta la produzione delle botteghe locali tra fine Quattrocento e Settecento; a queste si affianca una discreta campionatura di maioliche italiane dei secoli XV-XVIII. Forme e motivi decorativi della produzione ceramica nel ducato estense sono rappresentati da un gruppo di maioliche e terraglie uscite dalle manifatture di Sassuolo. Tra i vetri soffiati e i cristalli molati si segnala un nucleo di esemplari veneziani e muranesi databile tra la fine del XVI e gli inizi del XVIII secolo. Ferro e fuoco. Armi, morsi e sproni. La donazione del marchese Paolo Coccapani Imperiali (1898) costituisce quasi per intero la raccolta di armi esposta in questo ambiente e comprendente armi databili tra il XV e il XIX secolo, con esemplari che testimoniano la perizia degli artigiani attivi nel ducato estense. La singolare raccolta di morsi, staffe e sproni dei secoli XV-XIX, appartenuta a Francesco Petermayer maestro di equitazione presenta una ricca varietà di tipologie e di varianti. Al centro della sala si trova il sediolo dell’intagliatore Antonio Luigi Del Buttero, caratterizzato da una ricca decorazione a intaglio con motivi di ispirazione neoclassica. Trame d’incanto. La collezione tessile Gandini. Nel grande ambiente che conserva il suggestivo allestimento ottocentesco è esposta un’ampia selezione della raccolta tessile donata dal conte Luigi Alberto Gandini nel 1881-82. Tra le più importanti a livello europeo, essa offre un ricchissimo e variegato campionario di filati, tecniche e ornati dell’arte tessile, prevalentemente italiana ed europea, dal Medioevo all’Ottocento. L’idea del museo. Dalla dimensione civica alla prospettiva europea. Punto di snodo tra le raccolte artistiche, etnologiche e archeologiche, la sala delinea lo sviluppo del museo dalla fondazione nel 1871 fino ai primi del Novecento, periodo in cui il Museo assunse quella fisionomia che è ancora oggi leggibile nel percorso e negli arredi. Archeologia – 300.000 anni di storia. Il percorso antiorario delle vetrine racconta attraverso migliaia di reperti 300.000 anni di storia della città e del territorio: dai manufatti in pietra del Paleolitico alle prime ceramiche del Neolitico, dai raffinati reperti in bronzo delle terramare alle tombe villanoviane, dalla necropoli etrusca della Galassina alle preziose suppellettili delle domus di Mutina, fino ai corredi delle tombe longobarde. L’esposizione attuale è il risultato di un progetto che ha recuperato l’ordinamento cronologico e topografico seguito dai primi direttori, aggiornato sulla base degli sviluppi delle ricerche archeologiche. Alle raccolte ottocentesche si sono aggiunti in seguito numerosi reperti, frutto delle ricerche sul Neolitico e l’Eneolitico e le più recenti testimonianze di scavi in città e nel territorio. Etnologia – Viaggio ai confini del mondo. Nuova Guinea. La sala accoglie materiali di straordinaria fattura che documentano aspetti della vita quotidiana delle popolazioni della Nuova Guinea raccolti dall’etnologo Lamberto Loria tra il 1889 e il 1890, durante uno dei primi viaggi scientifici condotti in queste zone. Le puntuali informazioni da lui fornite hanno consentito di riproporre nell’esposizione l’itinerario della spedizione. Dalle terre degli Incas. Perù precolombiano. La maggior parte dei materiali esposti in questa sezione sono stati raccolti e donati al Museo da due modenesi, Antonio Boccolari e Paolo Parenti, durante un viaggio di circumnavigazione del globo a bordo della corvetta Vettor Pisani (1882-85). La raccolta illustra aspetti delle culture preincaiche e incaiche della costa peruviana in epoca precolombiana e comprende importanti testimonianze tessili e ceramiche. Storie di popoli lontani: America del Sud, Africa, Asia. Le collezioni degli Indios dell’America del Sud testimoniano la cultura materiale sia di gruppi umani ormai estinti da tempo, a causa delle epidemie e delle persecuzioni dei colonizzatori europei del XVI secolo, sia di popolazioni che sono riuscite ad adattarsi per sopravvivere. Comprende nuclei ottocenteschi, con ornamenti plumari prodotti dai Mundurucù e dagli Indios del bacino dell’alto Rio Negro e un nucleo di recente acquisizione degli indios Yanomami. I materiali africani provengono dal bacino del Congo e sono legati alle spedizioni esplorative nelle regioni equatoriali africane della seconda metà del XIX secolo, ma anche dalla regione del Corno d’Africa. Si collegano a questi ultimi i dipinti del modenese Augusto Valli che, alla vigilia dell’occupazione italiana di Massaua, partì giovanissimo per il suo primo viaggio in Africa, tornandovi in seguito più volte. La raccolta di oggetti provenienti dall’Asia è frutto di acquisizioni sporadiche e di donazioni da parte di modenesi che per motivi commerciali o politici visitarono il continente alla fine del XIX secolo e riflette, più che uno specifico interesse etnografico, la curiosità per gli oggetti rari ed esotici. Arte e artigianato – Collezionisti si nasce. la galleria del marchese Mmatteo Campori. La sala accoglie i dipinti provenienti dalla Galleria del marchese Matteo Campori, originariamente collocata nel palazzo di famiglia di via Ganaceto, donato insieme alle opere e agli arredi al Comune nel 1929. Pitture di soggetto sacro e profano, nature morte, vedute e scene di genere rivelano il gusto del collezionista e una predilezione per la pittura del Sei-Settecento di scuola emiliana, lombarda, veneta, ligure e piemontese. Tra le opere più significative figurano il Ritratto del figlio del generale Pàllfly di Giuseppe Maria Crespi, il Portarolo di Giacomo Ceruti, il Domine quo vadis? di Ludovico Lana e la Testa di fanciulla con turbante di Francesco Stringa, ma anche il nucleo di vedute e capricci architettonici con opere di Marco Ricci, Michele Marieschi e Antonio Jolli. Collezionisti si diventa. Dipinti e argenti del commercialista Carlo Sernicoli. La sala ospita dipinti e argenti appartenuti al modenese Carlo Sernicoli, amatore d’arte e collezionista. Una trentina di importanti dipinti antichi documenta ampiamente il panorama artistico emiliano in un arco temporale compreso tra il XV e il XVIII secolo con opere di Giovanni da Modena, Bartolomeo Passarotti, Elisabetta Sirani, Guercino, Giuseppe Maria Crespi e Donato Creti. A questi si affianca un nucleo di dipinti del Novecento, con opere di Pompeo Borra, Virgilio Guidi e Ubaldo Oppi. Gli argenti sono riferibili alla produzione degli artigiani modenesi attivi tra il XVII e XIX secolo e costituiscono una preziosa testimonianza dell’attività delle botteghe orafe cittadine.

  • Archivio storico comunale Modena (MO)

    All'interno del palazzo dei Musei, conserva un’ampia e quasi completa documentazione dell’attività politico-amministrativa di Modena: prima come libero Comune, poi come comunità dello Stato estense e poi ancora come Comune dello Stato italiano. Tra i documenti più antichi vanno segnalati: i codici statutari della Comunità; gli statuti delle Arti e mestieri; la serie quasi ininterrotta dei Registri delle deliberazioni consiliari a partire dal 1300. Conserva inoltre gli archivi delle Opere Pie soppresse e alcune rarità di grande valore: opere autografe di Alessandro Tassoni, componimenti poetici di Tarquinia Molza, testi autografi delle commedie di Paolo Ferrari, lettere di personaggi illustri come Borso e Lionello d’Este, Lucrezia Borgia, Francesco Guicciardini, autografi di alcuni protagonisti del Risorgimento italiano come Ciro Menotti, Garibaldi e Tommaseo. Il patrimonio della biblioteca dell’archivio storico del Comune è di circa seimila volumi: incunaboli, cinquecentine e testi rari dei secoli XVII e XVIII costituiscono la parte più antica della biblioteca.

  • Palazzo dei Musei Modena (MO)

    Vasto edificio nato come Grande Albergo dei Poveri per volontà del duca Francesco III d’Este, a partire dal 1764, nell’ottica di una politica sociale e di risanamento della città ispirata a principî illuministici. Progettato dall’architetto Pietro Termanini inglobando i locali dell’Arsenale ducale e del convento degli Agostiniani, fu trasformato nel 1788 in Albergo delle Arti, fin quando dopo l’Unità d’Italia assunse l’attuale destinazione. È sede principale delle Gallerie Estensi (ospitando la Galleria Estense, il Museo Lapidario Estense e la Biblioteca Estense Universitaria), del Museo Civico, della Biblioteca Civica d’Arte e Architettura «Luigi Poletti», e dell’Archivio Storico Comunale. Entrando nell’atrio, si ammira l’ampio quadriportico del lapidario con al centro la statua in marmo di Borso d’Este, opera di Ferdinando Pelliccia (1830). Sulla destra si accede alla sala mostre temporanee delle Gallerie Estensi, e proseguendo, il monumentale scalone conduce ai piani superiori.

  • Galleria Estense Modena (MO)

    È una delle più importanti collezioni dinastiche d’Europa, la cui origine ed evoluzione è legata alla storia dei duchi d’Este a partire da Ferrara, dal pieno Quattrocento, e poi nella nuova capitale Modena, dal 1598 fino all’unificazione italiana. Le raccolte si articolano in pressoché ogni tipologia artistica, non solo dipinti e sculture, ma anche arti applicate, grafica, strumenti musicali, archeologia, glittica e numismatica. Particolarmente significativo il percorso nell’arte emiliana dal XV al XVII secolo, oltre a capolavori di Bernini, Velázquez, El Greco, Tintoretto, Veronese. Le collezioni della Galleria. A partire dalle collezioni che gli Este riuscirono a trasferire a Modena dopo la devoluzione di Ferrara allo Stato Pontificio (1598), la raccolta conobbe una nuova stagione di splendore nell’età barocca, soprattutto grazie al duca Francesco I (1610-58), capace di acquisire e commissionare opere di eccezionale importanza per quella che a lungo fu annoverata fra le più belle gallerie d’Italia. Nel 1746, tuttavia, il dissesto economico spinse il duca Francesco III a una vendita che non ha paragoni nella storia, cedendo a Federico Augusto II di Sassonia oltre cento dipinti fra i più preziosi (ancora oggi alla Gemäldegalerie Alte Meister di Dresda). Si cercò allora di risarcire le collezioni incamerando importanti opere dal territorio modenese e reggiano, e più tardi, dopo la difficile epoca napoleonica che costò ulteriori perdite, si ebbe una nuova stagione di crescita sotto gli ultimi due duchi, ormai esponenti della casa d’Austria. Di particolare rilievo fu il lascito Obizzi (1803) ricco di dipinti di ‘primitivi’, bronzetti e materiali archeologici. L’ultimo duca, Francesco V, nel 1854 aprì la Galleria al pubblico nella sede storica di Palazzo Ducale. Col Regno d’Italia quest’ultimo fu destinato a Scuola militare di fanteria, spingendo le collezioni verso sistemazioni provvisorie, fino all’inaugurazione della Galleria Estense nella sede attuale (1894). L’aspetto interno del museo si deve all’architetto Leone Pancaldi (1968-75), e funge ancora da base per un costante lavoro di aggiornamento museografico. Nel corso del Novecento le collezioni hanno continuato a incrementarsi con opere di importanti autori, da Cosmè Tura ad Antonio Raggi, fino alle acquisizioni più recenti (il trittico attribuito a Francesco Maineri, due nature morte del Maestro di Hartford). La visita. Sala 1, il Mondo antico. Nelle tre vetrine a destra: un frammento di statua naofora in basalto con Osiride (VI-V secolo a.C.), già nel Cinquecento nella collezione di Alfonso II d’Este, e una serie di ushabti egizi di Psamtek-sa-Neit in maiolica arcaica (faïence); seguono tre importanti bronzetti etruschi, la Menerva (V secolo a.C.), la *figura femminile offerente al dio Tlenasie (prima metà III secolo a.C.), da botteghe dell’Etruria meridionale, e il Fufluns (V secolo a.C.); infine un kouros di manifattura corinzia o magno-greca (V secolo a.C.), il prezioso piccolo busto di Omero in bronzo e una coppa in vetro di Ennion (I secolo d.C.). Di fronte, corredo funerario etrusco della Tomba I della Galassina (VI-V sec. a.C.) dove risalta il prezioso specchio in bronzo inciso, e accanto il sarcofago in calcare da una bottega di Saqqara (II secolo a.C.), come molti altri reperti egizi acquisto ottocentesco di Francesco IV d’Austria-Este. Fra i marmi in fondo alla sala risalta il celebre *rilievo mitriaco con Aion/Phanes all’interno dello zodiaco, di bottega romana del II secolo d.C. Sala 2, Bernini. La sala è dedicata a uno dei massimi esiti della ritrattistica barocca, il *busto in marmo del duca Francesco I d’Este scolpito a Roma da Gian Lorenzo Bernini nel 1650-51, supremo esempio di virtuosismo tecnico e interpretazione idealizzata della sovranità. L’opera poggia in sospensione su una sofisticata pedana antisismica realizzata nel 2015. Sala 3, primitivi e fondi oro. Dipinti su tavola del XIV secolo, fra cui due altaroli portatili del Maestro di Torre di Palme e di Tommaso da Modena, quest’ultimo autore anche della Madonna col Bambino, santi, Crocifissione e Annunciazione; Madonna in trono fra angeli di Simone dei Crocifissi, e altra di Francesco Neri da Volterra. Sono presenti anche due sculture (Telamone e Madonna col Bambino) di Wiligelmo e bottega (inizio XII secolo). Sala 4, il secondo Quattrocento a Modena e Ferrara. Vi sono alcuni dei dipinti più importanti della Galleria, come la Pietà di Bartolomeo Bonascia, il grande polittico dell’Ospedale della Morte dei fratelli Angelo e Bartolomeo degli Erri, e soprattutto il *S. Antonio da Padova di Cosmè Tura (1484-88), un manifesto dello stile aspro e monumentale in voga a Ferrara nel tardo Quattrocento. Sul lato opposto, il Compianto su Cristo morto in terracotta policroma di Michele da Firenze (1443 c.). Sala 5, la cultura cortese. Il gotico internazionale tra la fine del Tre e l’inizio del Quattrocento accomunò le corti europee, fra cui quella di Ferrara, nel gusto per oggetti preziosi e dalla ricercata eleganza aperta a influssi esotici. Si segnalano: importante *sella da parata in legno e cuoio con rilievi decorativi in osso con scene cortesi, riferibile ad Ercole I d’Este (1475-80); fronti di cassoni nuziali dipinti con la Novella di Griselda e la Leggenda di S. Giovanni Boccadoro, e un cofanetto nuziale in avorio intagliato; vasellame islamico in bronzo sbalzato, inciso e ageminato, fra cui un *acquamanile persiano (Khorasan) del 1190-1210, di antica provenienza estense. Serie di zuppiere, piatto e fiasche in rame smaltato e dorato di produzione veneziana del pieno XV secolo. Sala 6, il Rinascimento e l’Antico. Nel Quattrocento la riscoperta dell’arte romana attraverso monete, sculture, iscrizioni e testi, influenzò una produzione direttamente ispirata al mondo classico. Nacque in Nord Italia il genere della medaglia, a opera di Pisanello, e fiorirono scuole e artisti specializzati nel riproporre e interpretare temi dell’antichità. Qui risaltano alcuni bronzetti di grande importanza come *Ercole a cavallo di Bertoldo di Giovanni (1470-80) e il vaso Gonzaga di Jacopo Bonacolsi detto l’Antico (1480-85). Al centro il celebre Spinario, forse la prima derivazione rinascimentale in marmo del prototipo antico che si trova ai Musei Capitolini di Roma. Dalle collezioni ferraresi provengono il rilievo con Marte in riposo, attribuito ad Aurelio Lombardo, e i busti in marmo di Marco Aurelio e di Lucio Vero. Sala 7, Francesco Bianchi Ferrari. Protagonista della fine del Quattro e primo Cinquecento modenese, qui è rappresentato soprattutto dalle grandi pale della Crocifissione e dell’Annunciazione, quest’ultima completata da Giovanni Antonio Scacceri. Alla stessa epoca appartengono due importanti sculture coeve in terracotta policroma, la testa di vecchio di Guido Mazzoni (frammento di un Compianto a più figure) e il busto di monaca di ignoto maestro emiliano. Sale 8-9, episodi di pittura italiana e nordica. Serie di dipinti dal pieno Quattro al primo Cinquecento di diversa scuola, a partire da opere di maestri d’Oltralpe come Albrecht Bouts (S. Cristoforo, 1485 circa) o Joos Van Cleve (Madonna col Bambino e S. Anna, 1516 circa); proseguendo con maestri toscani, come Francesco Botticini (Adorazione del Bambino, 1470-80) e Giuliano Bugiardini (Nascita del Battista, 1517-18); e con maestri veneti, come Lazzaro Bastiani (Redentore, 1480-1500), Bernardo Parentino (Cristo portacroce con i Ss. Girolamo e Agostino, circa 1492-96) e Cima da Conegliano (*Compianto, 1502-5). Sala 10, Correggio. Fra Sei e Settecento la Galleria ducale era celebre per la serie di quattro meravigliose pale d’altare di Antonio Allegri, il Correggio, uno dei massimi pittori del Rinascimento maturo. Poi vendute e oggi a Dresda, resta qui la copia settecentesca della più famosa di tutte, la cosiddetta Notte, riprodotta dal veneziano Giuseppe Nogari. A fine Ottocento, grazie all’eredità del marchese Giuseppe Campori, la Galleria ha acquisito la piccola *Madonna col Bambino, prezioso autografo di Correggio, che qui dialoga con la commovente Madonna del Latte, terracotta di Antonio Begarelli (1532-35 circa). Sala 11, il primo Cinquecento modenese. Si segnalano i dipinti di Marco Meloni, in particolare la pala con la Madonna in trono col Bambino e santi (1504), e la relativa predella con storie di Abramo, provenienti dalla chiesa di S. Bernardino a Carpi. Di fronte, importanti sculture di Antonio Begarelli: la testa del Redentore e il busto di Lionello Beliardi, frammento del distrutto monumento funebre un tempo nella chiesa di S. Francesco. Sala 12, Antonio Begarelli. Iniziata nelle sale precedenti, qui culmina la serie di opere di uno dei grandi scultori emiliani del Cinquecento, il modenese Begarelli, specializzato nella modellazione della terracotta che in genere poi dipingeva di bianco a imitazione del marmo. Si segnalano l’imponente Madonna col Bambino, e il Battesimo di Cristo provenienti dalla chiesa di S. Salvatore a Modena (1534-40 circa). Sala 13, i resti delle collezioni ferraresi. Vi sono alcune delle opere più preziose che gli Este riuscirono a portare a Modena dopo l’abbandono di Ferrara. Al centro della sala è l’*Arpa estense, celebre esemplare di arpa doppia, interamente decorata, utilizzata alla corte di Ferrara nel tardo Cinquecento. Alle pareti lunghe si fronteggiano dipinti di Dosso Dossi, con la peculiare serie di tavole, oggi di forma romboidale, provenienti dal soffitto della camera di Alfonso I d’Este, e il busto marmoreo di Ercole II d’Este, col basamento allegorico della Pazienza, opera del reggiano Prospero Clemente (1554). Lo stesso tema allegorico ispira l’adiacente dipinto di Camillo e Sebastiano Filippi. Alle estremità, i ritratti di Laura Dianti (copia da Tiziano), amante e compagna di Alfonso I, qui effigiato da Battista Dossi in armatura. Fra le altre opere si segnala la *Madonna col Bambino, S. Giorgio e S. Michele Arcangelo, capolavoro di Dosso Dossi dipinto nel 1518-19 per la chiesa di S. Agostino a Modena. Sala 14, Wunderkammer. Nel tardo Seicento Francesco II d’Este promosse l’allestimento in Palazzo Ducale di una camera delle meraviglie (Wunderkammer, nella prevalente terminologia tedesca) dove erano ordinati entro armadi e scrigni, su tavoli e a parete, una fitta serie di manufatti preziosi, oggetti esotici e rarità naturali, insieme a disegni incorniciati e raccolte di ceramiche, sculture, monete e medaglie. Ciò che ne resta oggi testimonia questo filone di gusto assai diffuso nelle corti europee del Sei e Settecento. Si segnalano: coppa di cocco delle Seychelles, ottone e argento, del XVI secolo; saliera in avorio di manifattura della Sierra Leone del XV-XVI secolo; lastra in cristallo e oro con ritratto di Francesco II d’Este, di Federico Enrico Vidman (1674-94); busti reliquiario di S. Romolo come Virgilio, e S. Eustachio come Antinoo, in alabastro e ottone dorato, di bottega romana del 1725-50 circa. Sala 15, pittura a Modena Nel Cinquecento. Serie di pale d’altare dei bolognesi Giacomo e Giulio Francia (Assunzione, 1513), del raffaellesco Pellegrino Munari (Natività, 1523), del ferrarese Garofalo (Madonna e santi, 1533), presupposti per la cultura del principale pittore locale del pieno Cinquecento, Nicolò dell’Abate, di cui si segnalano le importanti tavole con Madonna e santi (1530-35) e con la Crocifissione (1535-40), acquisite nell’Ottocento dal duca Francesco IV d’Austria-Este. Al centro, sontuoso scrittoio portatile a ribalta del XVI secolo, con gli scomparti interni modellati in forme architettoniche decorate da microsculture. Sala 16, i ritratti. Questo ambiente è dominato dal *ritratto di Francesco I d’Este dipinto da Diego Velázquez durante una visita a Madrid del giovane duca nel 1638. Rara opera presente in Italia di uno dei più grandi pittori di ogni tempo, fortemente influenzato dal colorismo della pittura veneziana del Cinquecento. Notevoli sono anche il Vecchio con un libro, preziosa testimonianza ritrattistica di Guercino (1623-24 circa), e il grande ritratto a figura intera di Giovan Battista da Modena, ovvero il duca Alfonso III d’Este che nel 1629 abdicò per farsi frate cappuccino, qui immortalato da Matteo Loves, un seguace nordico di Guercino. Dopo la sala 17, dedicata a piccole mostre dossier e presentazioni di opere acquisite o restaurate, si giunge nella sala 18 dedicata a Lelio Orsi e al manierismo reggiano, peculiare capitolo che interessò le arti nel secondo Cinquecento. Ne sono esempi emblematici il Martirio di S. Caterina, di Orsi (1565), e i due busti in marmo di Diana e di Minerva dell’ambito del Clemente (1570 c.), opere di disegno ricercato ed esuberante decorativismo. Sala 19, i Veneti. Il ruolo cardine dei grandi pittori del Cinquecento veneziano era testimoniato nelle collezioni estensi da diversi capolavori di Tiziano e Veronese, poi finiti a Dresda nel Settecento. Sopravvive però qui lo strabiliante ciclo di *Metamorfosi dipinte su tavole ottagonali dal giovane Tintoretto (1541-42), che in origine decoravano un soffitto di Ca’ Pisani a Venezia, a cui in seguito si è aggiunto il grande trittico di Veronese (1558-61), già ante d’organo della distrutta chiesa veneziana di S. Geminiano. Oltre a due importanti pale d’altare dello stesso Tintoretto e di Jacopo Bassano, la sala ospita anche il celebre *altarolo portatile di Domìnikos Theotokòpoulos, detto El Greco (1567-68), e una serie di pale d’altare di pittori veneti del Seicento: Palma il Giovane, Padovanino, Domenico Tintoretto, Pietro Liberi. Sala 20, pittura e musica nel Seicento emiliano. Alle pareti una serie di dipinti di maestri emiliani attivi tra la fine del Cinque e l’inizio del Seicento, da Scarsellino, a Carlo Bononi, ai Carracci: risalta la serie di ovali provenienti dai soffitti di palazzo dei Diamanti a Ferrara, su tutti la *Venere e la Flora di Annibale Carracci (1590-93). Fra le numerose pale d’altare si segnalano la *Crocifissione di S. Pietro, impetuoso capolavoro giovanile di Guercino (1618), accanto a un vertice di pittura idealizzante come il *Crocifisso di Guido Reni proveniente da Reggio Emilia (1639). Il centro della sala ospita una raccolta di importanti strumenti musicali decorati che appartengono al tempo del duca Francesco II d’Este (1674-94), appassionato mecenate musicale: in marmo, come la chitarra e il clavicembalo, o in legno virtuosisticamente intagliato, come il violino e il violoncello di Domenico Galli. Sala 21, il Seicento a Roma e in Emilia. Prosegue la serie di pale d’altare in buona parte acquisite nel tardo Settecento a discapito di chiese del territorio ducale. Si segnala la Visione di S. Francesco d’Assisi (1617-18), di Lionello Spada, che come altre opere in Galleria proviene dal santuario della Beata Vergine della Ghiara a Reggio Emilia, eccezionale contesto artistico di primo Seicento. Sono presenti molti dipinti “da stanza”, fra i quali notevoli testimonianze della cultura caravaggesca irradiatasi da Roma, come i due *Bevitori del francese Nicolas Tournier (1619-24), o le due Nature morte del cosiddetto Maestro di Hartford (1600-1602 circa); e dipinti di scuola locale come l’iconica tela con *Venere, Marte e Amore, dipinta da Guercino per il duca Francesco I d’Este (1633). Fra le sculture esposte si segnala l’importante bozzetto in terracotta di una Divinità marina con delfino (1652-53), eseguito da Antonio Raggi, allievo di Bernini, come modello per la fontana ancora oggi nel Palazzo Ducale di Sassuolo. Sala 22, diversi indirizzi nel Seicento. La collezione di pale d’altare culmina con la colossale Circoncisione di Gesù, di Giulio Cesare Procaccini (1616), già sull’altare della chiesa gesuitica di S. Bartolomeo, fiancheggiata da importanti esempi dell’arte del fratello maggiore Camillo Procaccini, entrambi attivi tra l’Emilia e la Lombardia. Si segnalano anche le due storie di Mosè di Charles Le Brun (1687), provenienti dall’appartamento di Luigi XIV alla reggia di Versailles, e la *Flora di Carlo Cignani (1680 circa), di delicata sensualità, con magnifica cornice emiliana coeva. Fra gli oggetti, un raro e scenografico intaglio ligneo dello specialista Grinling Gibbons, legato al momento in cui Maria Beatrice d’Este sposò Giacomo II Stuart e fu per un breve periodo regina d’Inghilterra (1685-88); oltre a un prezioso stipo rivestito in ambra e con sculture in avorio (XVII secolo), e a un presepe in argento e corallo di manifattura trapanese (XVIII secolo).

  • Biblioteca estense universitaria Modena (MO)

    Dal 2015 facente parte delle Gallerie Estensi, il cui nucleo più prezioso risale alla biblioteca ducale di Ferrara, formatasi alla fine del XIV secolo, arricchitasi sotto Nicolò III, Lionello, Borso ed Ercole I, e incrementata nel secondo Cinquecento da Alfonso II. A seguito del trasferimento della capitale del ducato da Ferrara a Modena nel 1598, prima sede stabile della biblioteca fu, nel pieno XVII secolo, il palazzo ducale di Modena. Aperta al pubblico nel 1764 per l’illuminata decisione di Francesco III, in seguito al riordino ad opera del gesuita Francesco Antonio Zaccaria (di quest’epoca rimangono ancora le scaffalature di P. Termanini con ringhiere di G.B. Malagoli), ebbe tra i suoi bibliotecari eruditi come Ludovico Antonio Muratori e Girolamo Tiraboschi. La biblioteca, il cui materiale era già stato oggetto delle spoliazioni napoleoniche del 1796, con la partenza da Modena dei duchi d’Este nel 1859 fu privata dagli stessi di importanti cimeli, in parte poi restituiti nel 1868 a seguito della Convenzione di Firenze. Dai primi anni ’80 dell’Ottocento occupa la sede attuale, presso il primo piano del palazzo dei Musei. Tra le più ricche d’Italia, la Biblioteca Estense Universitaria annovera tra le sue collezioni una preziosa raccolta di manoscritti nota come Antico Fondo Estense, una raccolta musicale di importanza mondiale e l’archivio Muratoriano. Nel 1893 la biblioteca si arricchì della Raccolta Campori, frutto del raffinato interesse collezionistico e librario del marchese modenese Giuseppe Campori, che per disposizione testamentaria del 1885 lasciò al Comune di Modena la sua collezione (5.082 manoscritti, 100.000 autografi) con obbligo di deposito permanente presso la Biblioteca Estense. Tra i numerosi fondi bibliografici e documentari giunti per donazione, particolarmente significativi sono i fondi Amici, Bertoni, Ferrari Moreni, Formiggini, Muzzarelli, Sorbelli. La biblioteca conserva 11.025 manoscritti, 1.662 incunaboli, 15.966 cinquecentine e oltre 600.000 volumi a stampa. Particolarmente cospicua è la raccolta dei codici miniati, che annovera esemplari bizantini, bolognesi, fiorentini (questi provenienti dalla raccolta di Mattia Corvino, re d’Ungheria), francesi, tedeschi e soprattutto ferraresi, di committenza estense. Allestita dal 1455 al 1461, su commissione di Borso d’Este, che volle dotare la libreria ducale di un codice di eccezione, la Bibbia rappresenta il più alto prodotto della miniatura ferrarese e a un tempo il capolavoro assoluto della miniatura italiana del Rinascimento. Miniata sul recto e sul verso di ogni carta, per un totale di 1.202 pagine, per realizzarla fu creata un’intera squadra di artisti, guidata dai miniatori Taddeo Crivelli e Franco de’ Russi. Per l’epoca il codice più costoso al mondo, tanto che Borso dovette versare 5.610 lire marchesane, tra pergamena, scrittura, miniature, cucitura, doratura dei fascicoli, la cassa in legno per la sua conservazione, la sovracoperta di panno ricamato con fili d’oro e i fermagli in argento. Fu trasferita a Vienna nel 1859 da Francesco V e non venne restituita alla Biblioteca neppure in seguito alla Convenzione di Firenze del 1868, in quanto considerato tesoro privato degli Estensi. Finita sul mercato antiquario, la Bibbia venne acquistata nel 1923 dall’industriale bresciano Giovanni Treccani e donata da questi allo Stato italiano. Re Vittorio Emanuele III l’assegnò allora alla Biblioteca Estense, a decoro della quale era stata prodotta. Altri codici miniati di scuola ferrarese sono il Libro del Salvatore, il Messale Romano di Borso d’Este e il Breviario di Ercole I. Esemplari della miniatura lombarda sono il Messale di Anna Sforza e il De Sphaera, con le sue splendide raffigurazioni degli astri (secolo XV). Tra i più antichi manoscritti si ricordano due Evangeliari greci del X secolo e il famoso Canzoniere Provenzale D, riscoperto da Giulio Bertoni. Tra le carte geografiche è notevole la Carta del Cantino (1501-1505), inviata a Ercole I dal suo ambasciatore in Portogallo Alberto Cantino; pregevole anche il Mappamondo Catalano Estense del secolo XV e la Carta Castiglioni del XVI secolo. La Biblioteca conserva altresì due libri xilografici, l’Apocalisse di Giovanni e una Biblia Pauperum, oltre a numerose edizioni a stampa del Quattrocento corredate da xilografie come il Polifilo (per i tipi di Aldo Manuzio, 1499), il Valturio (edizione a stampa con xilografie sulla base dei disegni di Matteo de’ Pasti, 1472) e il notevole volume di Domenico Gamberti Idea di un Prencipe et Heroe Christiano (per i tipi di Bartolomeo Soliani, Modena 1660), dedicato alla vita di Francesco I d’Este. Tra le preziose legature, si segnalano quelle veneziane e francesi del secolo XVI e quelle estensi del XVII. Dal 2020 il patrimonio digitalizzato della Biblioteca Estense Universitaria viene pubblicato sulla piattaforma *Estense Digital Library, consultabile all’indirizzo edl.beniculturali.it.

  • Civica Biblioteca di Storia dell’Arte «Luigi Poletti» Modena (MO)

    Istituzione nata nel 1869 per lascito testamentario dell’architetto modenese – autore della ricostruzione della basilica romana di S. Paolo fuori le Mura – al quale è intitolata. A questo lascito se ne aggiunsero poi altri, tra i quali quello del marchese Matteo Campori, particolarmente importante per i libri antichi, i disegni e le stampe. Al centro dell’atrio, statua di Luigi Poletti di Carlo Baraldi su modello di Pietro Tenerani (1904); alle pareti, affreschi di gusto accademico raffiguranti allegorie delle città di Modena e Roma accomunate da Poletti, di Umberto Ruini (1904). Lungo lo scalone, copie da dipinti rinascimentali eseguite dai pensionati del premio Poletti (fine Ottocento-primi Novecento). La biblioteca, specializzata nei temi di architettura e storia dell’arte, si compone oggi di oltre 70.000 volumi del Novecento, 16.000 dal Cinquecento all’Ottocento. Inoltre conserva fondi speciali: stampe (circa 4.000), disegni di figura e di architettura (circa 4.000), mappe e carte geografiche (circa 1.000), fotografie (circa 20.000), libri d’artista (circa 900), archivi privati e di enti riguardanti la storia dell’arte e dell’architettura.

  • Museo Lapidario Estense Modena (MO)

    Nel cortile porticato del Palazzo dei Musei è collocato il Museo Lapidario Estense, fondato dal duca Francesco IV d’Austria-Este nel 1828 quale primo museo pubblico di Modena e luogo di memoria e conservazione delle antiche vestigia cittadine. È visitabile liberamente, e presso la biglietteria delle Gallerie Estensi, di cui il museo è parte, sono disponibili gratuitamente device per una visita guidata interattiva. Ecco una selezione dei monumenti principali della Sezione Romana – Campata B: tre basi onorarie dedicate agli imperatori Adriano, Numeriano e C. Flavio Valerio Costanzo, rinvenute nel 1856 in rua Pioppa all’angolo con via Gallucci. Campata Z: la stele del I secolo d.C. del liberto M. Paccius Orinus, magister del collegio degli Apollinares, la cui carica è sottolineata dalla raffigurazione di una sedia curule e due fasci littori senza scuri. Campata E: sarcofago del cavaliere Vettius Sabinus, dedicato dalla moglie Cornelia Maximina, riferibile alla seconda metà del III secolo, reimpiegato dalla famiglia Cortesi in epoca moderna; sul fianco destro è il defunto come cavaliere vittorioso, su quello sinistro è l’immagine dei due coniugi nell’atto di stringersi la mano destra. Campata E: la fronte di un sarcofago della seconda metà del III d.C., nel quale l’iscrizione antica è stata erasa per far posto a un’altra che menziona la sepoltura di Giovan Battista Pizzaccheri, massaro ducale (1567). Campata F: iscrizioni provenienti dalla colonia romana di Brixellum (Brescello), sarcofagi di Sosia Herennia e, di fronte, di Appeiena Philumene. Campate G e H: lungo la parete è la stele degli Statii, del I secolo d.C. rinvenuta intorno alla metà del secolo XVI presso il baluardo di S. Pietro. Da notare anche la stele del veterano dei pretoriani C. Maternius Quintianus, del III secolo, già murata lungo il fianco meridionale della Cattedrale, nella quale sono raffigurate le insegne militari e una scena di banchetto. Dopo il sarcofago di Clodia Plautilla, reimpiegato dalla famiglia Balugola, e il sarcofago già riutilizzato dal console Azzo, reimpiegato successivamente dalla famiglia Boschetti, si procede lungo il porticato meridionale, dove si nota il sarcofago di Bruttia Aureliana, riferibile alla seconda metà del III secolo, reimpiegato nel IV come sepoltura. Sulla fronte i ritratti dei defunti con i corrispondenti sugli acroteri del coperchio, sul fianco sinistro una scena di caccia al cinghiale e su quello destro i due coniugi raffigurati a banchetto. Lungo la parete, la stele a tabernacolo dei Salvii, del I secolo d.C., con quattro nicchie recanti le raffigurazioni dei defunti; proviene dal paramento del lato occidentale della Ghirlandina, dove a tutt’oggi è rimasto in vista il frontone. Di seguito, la stele del decurione Novius, del I secolo d.C.: nella nicchia centrale rettangolare, una coppia di coniugi con al di sotto una bambina; nel frontone, un busto maschile; da notare gli oggetti raffigurati nella parte inferiore legati alla carica del defunto: i fasci senza scure, il seggio, la cista e il volumen. Sezione medievale-moderna – Campata P: monumento a Ludovico Castelvetro, illustre erudito modenese del XVI secolo. Campata Q: lungo la parete si nota l’imponente monumento sepolcrale del giureconsulto modenese Giovanni Sadoleto, vissuto nel secolo XVI; in origine appoggiato alla parete meridionale della Cattedrale, è costituito da due colonne decorate che sostengono un architrave con lo stemma di famiglia e l’epigrafe dedicatoria; nella parte superiore è un’edicola con l’arca sepolcrale e lastre marmoree. Campata R: iscrizione sepolcrale del cronista modenese del secolo XVI Tommasino Lancellotti, proveniente dall’antica chiesa di S. Lorenzo in via dell’Università, oggi distrutta. Proseguendo verso l’atrio d’ingresso, sono i monumenti sepolcrali, riferibili al XIV secolo, di due medici modenesi: Pietro della Rocca e Jacopino de’ Cagnoli, entrambi rappresentati in cattedra mentre impartiscono una lezione.

  • Gipsoteca Graziosi Modena (MO)

    Frutto dell’importante donazione da parte degli eredi di opere plastiche, pittoriche e grafiche dell’artista Giuseppe Graziosi (1879- 1942), di origini modenesi ma a lungo attivo a Firenze. Le opere esposte consentono di ripercorrere le fasi salienti della sua multiforme vicenda artistica, dall’iniziale adesione alle tematiche del verismo sociale alle ricerche espressive stimolate dalla visione diretta delle opere di Rodin, all’interesse per la vita e i personaggi del mondo contadino dal quale proveniva. La Gipsoteca è il punto di partenza ideale per un itinerario attraverso le numerose opere dell’artista presenti in città.

  • Lapidario Romano Modena (MO)

    Al piano terra del Palazzo dei Musei si trova il Lapidario romano, che presenta testimonianze monumentali delle necropoli di Mutina venute in luce a partire dal secondo dopoguerra. Esse attestano la ricchezza raggiunta dalla città e, attraverso le epigrafi, forniscono un quadro del variegato tessuto sociale della città. L’esposizione è organizzata per nuclei topografici riferibili alle necropoli di età tardo-repubblicana e imperiale che si svilupparono lungo le principali strade di accesso alla città, in particolare lungo la Via Emilia a est della città. Da qui provengono la monumentale ara funeraria di Vetilia Egloge del I secolo d.C. e il fregio con corteo di divinità e mostri marini (metà I secolo a.C.), che faceva parte di un monumento a edicola.

  • Museo di Anatomia umana Modena (MO)

    Nell'edificio dell'Ospedale civile, in un’ala appartenente all’Università di Modena, sono allogati il Teatro anatomico, costruito su dettami del medico Antonio Scarpa (1773-75), e il Museo anatomico (in restauro dopo il terremoto del 2012), aperto nel 1854, i cui pezzi più pregevoli sono alcune cere anatomiche risalenti al periodo di Scarpa e la collezione etnografico-antropologica dell’anatomista Paolo Gaddi. Il Teatro non è attualmente visitabile.

  • Foro Boario Modena (MO)

    L’ex Foro Boario (ora sede del dipartimento di Economia «Marco Biagi»), grandioso edificio ‘a stecca’ fatto erigere da Francesco IV su disegno di Francesco Vandelli (1830). Al di là del neoclassico atrio passante, dove oggi si estende il vasto parco pubblico Novi Sad, un tempo si stendeva la piazza d’Armi, trasformata poco oltre la metà dell’Ottocento in ippodromo, su progetto di Luigi Alberto Gandini (smantellato nel 1978 c.). A un capo dell’area, in corrispondenza dello sbocco del corso Cavour, sorgeva la scomparsa Cittadella, le cui strutture difensive, volute da Francesco I e costruite su idee di Carlo di Castellamonte dal 1630, rappresentavano nell’antica mappa della città una specie di pendant rispetto al complesso del Palazzo ducale.

  • Novi Ark Modena (MO)

    Nel corso degli scavi per la realizzazione del parcheggio sotterraneo Novi- Park, è venuto alla luce un settore periferico della città romana, attraversato da una grande strada in ciottoli, consistente in una necropoli con numerose tombe e monumenti funerari, due edifici rurali e impianti produttivi, databili tra il I secolo a.C. e il V d.C. La realizzazione del parco archeologico Novi Ark ha comportato lo smontaggio di tutti i rinvenimenti e il loro rimontaggio in superficie, dove costituiscono un percorso di visita corredato da pannelli.

  • Cimitero di San Cataldo «Aldo Rossi» Modena (MO)

    Cimitero monumentale che esprime tutti gli elementi stilistici del grande architetto: chiarezza, razionalità, ordine, fredda pulizia. Ampi spazi verdi scanditi dai percorsi pedonali che si raccordano nel cubo centrale dell’Ossario.

Ultimo aggiornamento 11/11/2022
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