Bologna: il centro antico entro la cerchia di selenite

In collaborazione con Touring Club

L'itinerario si svolge all’interno del nucleo più centrale della città, dove l’eredità degli allineamenti stradali romani ha continuato a guidare i caratteri delle pur vivaci trasformazioni urbanistiche successive.

La città romana, la cui griglia stradale era ritmata da 8 decumani e 6 cardini, copriva un’area di circa 50 ettari. L’impianto originario è ancora percepibile nella maglia viaria della città contemporanea, nonostante i frazionamenti e gli accorpamenti delle diverse insulae.

È stato accertato come Bononia presentasse delle differenze qualitative al suo interno, tra un’area nord-occidentale, presumibilmente di primo impianto, e una fascia mediana disposta tra i due cardini centrali (vie dell’Indipendenza-d’Azeglio e via Galliera-piazza Galileo-via Val d’Aposa, dei quali non è certo quale fosse il cardo maximus), di servizi collettivi.

Gli studi hanno infatti individuato un grande tempio, un macellum, il foro (tutti identificati da pochi resti), e infine il teatro, scavato di recente. Fin dal tardo impero la porzione sud-orientale della città ospitò buona parte della popolazione superstite dell’insediamento precedente.

Capisaldi di questa ‘contrazione’ cittadina alto-medievale, furono con ogni probabilità le quattro croci (oggi in S. Petronio) fatte deporre in posizioni significative per la difesa del nucleo abitato. All’interno di questo margine ideale si alzava una cinta muraria in blocchi di selenite (gesso nativo estratto da cave in località Monte Donato), e perciò comunemente detta cerchia di selenite, databile dal III-IV al VII secolo, che individuava un quadrilatero dal perimetro di 1850 m, pari a un terzo circa della città di età imperiale.

In conseguenza della vivace dinamica demografica successiva all’XI secolo, la città conobbe rapide trasformazioni, inizialmente attraverso la progressiva saturazione del centro murato (dove si ebbe una massima concentrazione di torri gentilizie), quindi con la rioccupazione della zona abbandonata verso nord e ovest (definita nei documenti dell’epoca civitas rupta antiqua), che ricalca e infittisce la trama viaria già familiare ai Romani, e infine sulla traccia dell’insediamento dei nuovi centri di attrazione della cristianità.

L’evoluzione delle istituzioni cittadine e la nascita del Comune (1116) comportarono l’accelerazione di questa dinamica e il ridisegno di molte funzioni urbane, a partire dal luogo che, da allora, è rimasto il più rappresentativo dell’amministrazione del potere locale.


  • Lunghezza
    n.d.
  • Bologna Bologna (BO)

    Capoluogo della regione Emilia-Romagna e centro generatore di un’area metropolitana, Bologna (m 54) è una delle città più animate d’Italia grazie sia al carattere dei suoi abitanti, sia all’incredibile numero di giovani che frequentano la sua Università.

    Il suo assetto antico, ottimamente conservato, permette un’agevole lettura delle fasi della sua storia. L’ellisse dei viali di circonvallazione interna perpetua il disegno delle mura trecentesche, al di là delle quali si allargano i quartieri sviluppatisi dalla fine del sec. XIX.

    Entro le mura l’impianto urbanistico radiocentrico resta prettamente medievale, ma il volto urbano è in più larga parte sei-settecentesco, con rilevanti inserzioni dello scorso secolo; fuori delle mura si ripropongono – con qualche significativa attenuazione – i paesaggi e i problemi delle grandi concentrazioni urbane italiane.

    Bologna è la maggiore fra le città che non furono capitali di stati preunitari e, nonostante la precocissima solida vocazione universitaria, per secoli viaggiatori ed eruditi la collocarono nella gerarchia urbana italiana in posizioni contraddittorie.

    Ma la città ha guadagnato posizioni dopo l’unità nazionale, via via che le infrastrutture di comunicazione (ferroviarie prima, autostradali poi) la qualificavano come nodo essenziale fra Nord e Italia peninsulare.

    Oggi l’importanza di Bologna – valutata su parametri economici, culturali, direzionali – è maggiore di quanto non indichi il suo peso demografico (394.463 abitanti secondo la stima Istat nel 2021; erano 490.528 nel 1971).

    Bologna nel 2006 è stata dichiarata dall’Unesco «Città creativa della musica» – prima in Italia e seconda in Europa dopo Siviglia – per la tradizione musicale in continua evoluzione e l’impegno a promuovere la musica come mezzo di sviluppo economico e di inclusione sociale e culturale.

    Inoltre a luglio 2021, dei 62 km totali di portici bolognesi (fra centro e periferia), 12 tratti sono stati iscritti nel sito seriale del Patrimonio mondiale dell’Umanità, in quanto sono «espressione ed elemento dell’identità urbana» della città: via S. Caterina, piazza S. Stefano, il monumentale complesso del Baraccano, la nobile via Galliera, il portico del Pavaglione e piazza Maggiore, via Zamboni, il portico della Certosa, il portico di S. Luca che sale in collina, piazza Cavour e via Farini con i soffitti decorati, i portici di Strada Maggiore, quelli del Mambo (Museo di Arte Moderna di Bologna), nel quartiere Barca, i portici dell’edificio chiamato il Treno.

  • Piazza Maggiore Bologna (BO)

    Centro del rinnovamento comunale, la platea communis, ovvero la piazza Maggiore, è uno degli interventi urbanistici più significativi della Bologna medievale, coerente con la necessità di ridefinire la collocazione della sede del governo cittadino in seguito alla rivolta contro l’autorità imperiale e alla nascita del Comune.

    L’attuale conformazione dell’invaso è il prodotto di successive trasformazioni avviate a partire dall’inizio del XIII secolo, che fissarono un’immagine di centralità non solo fisica ma anche simbolica, tuttora conservata nella città contemporanea.

  • Basilica di S. Petronio Bologna (BO)

    Sul lato meridionale della piazza Maggiore è dominante la facciata incompiuta della basilica di S. Petronio, costruita su di un sagrato gradinato che, a mo’ di podio, ne accentua il distacco dall’invaso della piazza, esaltando insieme l’immagine prospettica e quella simbolica.

    La costruzione segue l’allineamento degli assi romani, contraddicendo così i ricorrenti criteri liturgici di orientamento. Il tempio venne costruito per volontà dell’autorità civile, che desiderava manifestare la propria rinnovata forza politica attraverso un atto di devozione verso il vescovo bolognese Petronio (vissuto nella prima metà del V secolo), il cui culto era sempre stato promosso dal governo cittadino.

    La decisione di avviare la costruzione prese le mosse alla fine del XIV secolo, in un clima di tardiva quanto effervescente ripresa edilizia nel rinato libero Comune. Scavi all’interno della basilica (1976), nel sagrato e nella piazza (1985-88) hanno confermato l’esistenza di edifici medievali demoliti per l’apertura della piazza stessa, e di un quartiere medievale raso al suolo alla fine del XIV secolo per far posto alla chiesa.

    Chiamato ad architettare la fabbrica da parte del Consiglio dei Seicento fu Antonio di Vincenzo con la collaborazione del servita Andrea da Faenza. La prima pietra fu posta il 7 giugno 1390. Dopo la morte di Antonio i lavori rallentarono e furono probabilmente sospesi alle prime due campate con relative cappelle laterali.

    Il basamento marmoreo della facciata con figure di santi a rilievo poteva dirsi compiuto fin dal 1393-94, ma l’inserimento del portale mediano interruppe per un certo periodo la prosecuzione della fabbrica verso sud. Segni di ripresa si manifestarono nel 1437, e poco più di vent’anni dopo erano realizzate le dieci cappelle su ogni lato.

    Nel 1514 Arduino degli Arriguzzi ricevette l’incarico di condurre a compimento la parte meridionale della fabbrica e presentò un progetto che avrebbe dovuto ampliare fuori misura l’impianto originario. L’irrealizzabilità di un simile disegno ebbe l’effetto di concentrare ogni concreto sforzo costruttivo verso la facciata. Proposte per il suo completamento, avanzate fin dalla seconda metà del XV secolo, si susseguirono a più riprese negli anni seguenti.

    Furono interpellati, tra gli altri, Michelangelo, Baldassarre Peruzzi, Giulio Romano, il Vignola, Andrea Palladio, Francesco Terribilia e Domenico Tibaldi, ma nessuno dei loro progetti venne realizzato. Nel frattempo si procedeva all’applicazione (1538) del rivestimento marmoreo su disegno di Domenico Aimo detto Varignana (1518).

    Nel 1587 venne affrontato il problema della copertura della navata centrale, cui dette soluzione nel 1625 Girolamo Rainaldi e piena realizzazione Francesco Martini vent’anni più tardi. Dal 1646 al 1659 i lavori ricominciarono con impegno e la basilica giunse all’aspetto che tuttora conserva. Il problema della sistemazione della facciata continuò tuttavia a porsi a più riprese, anche in seguito: nel 1752 fu presentata una proposta di Carlo Francesco Dotti; nel 1887 venne bandito un concorso per il completamento in stile della parte cinquecentesca, cui ne seguì un ultimo nel 1933.

    La facciata (larga 60 m e alta 51) presenta immorsature in laterizio per tutta la parte superiore, incompiuta, e rivestimento in pietra d’Istria con specchiature in marmo rosso di Verona in quella inferiore (restaurata tra 1972 e ’79), dove si aprono tre portali. Il portale mediano, la porta Magna, è capolavoro di Jacopo della Quercia; fu iniziato nel 1425 e rimase incompleto per la morte dell’artista (1438); nel 1510 venne spostato in avanti da Arduino degli Arriguzzi. Sono opera possente di Jacopo i bassorilievi dei pilastri (dieci storie bibliche), della strombatura (diciotto profeti), dell’architrave (cinque storie del Nuovo Testamento) e, nella lunetta, la Madonna col Bambino, S. Ambrogio e S. Petronio (completato dal Varignana); i profeti nell’arco della lunetta sono invece di Antonio Minello e Antonio da Ostiglia, eccetto il Mosè al centro, che è di Amico Aspertini.

    I portali minori furono disegnati da Ercole Seccadenari (1524-30) e decorati con le formelle scolpite dal Tribolo, Alfonso Lombardi, Girolamo da Treviso, Amico Aspertini, Zaccaria da Volterra, dallo stesso Seccadenari e da altri: nei pilastri, storie bibliche e negli architravi, storie del Nuovo Testamento; nella lunetta del portale sinistro la Risurrezione è opera del Lombardi; in quella del portale destro il Cristo deposto è dell’Aspertini, mentre la Vergine e il S. Giovanni sono rispettivamente del Tribolo e del Seccadenari.

    Due piloni angolari per lato imprimono maggior dinamicità alle estremità del fronte della basilica. Le fiancate sono ritmate da una successione di contrafforti e da grandi finestroni in marmo traforato in cui sono inserite le vetrate policrome delle cappelle, che risaltano sulla tessitura dei mattoni finemente «sagramati» (cioè a vista, sebbene intonacati). L’interruzione del transetto, per la non prosecuzione del progetto dell’Arriguzzi, è denunciata da una bifora a libro.

    Lungo il fianco destro, impostato sui muri perimetrali dell’undicesima cappella si eleva il campanile, opera di Giovanni da Brensa (1481-92), di 65 m d’altezza. L’interno, di struttura gotica, mirabile per l’espressione di semplicità e insieme di grandiosità, è a pianta basilicale, a tre navate divise da 10 piloni di cotto polistili reggenti slanciati archi ogivali.

    È lungo 132 m, largo 57.68; ogni campata di mezzo è larga e profonda m 19.20; la navata mediana è alta m 44.27. In ogni navata minore si aprono 11 cappelle, chiuse da belle cancellate e balaustrate. Importanti avvenimenti storici si svolsero nell’interno della chiesa; tra gli altri, l’incoronazione di Carlo V da parte di Clemente VII (24 febbraio 1530) e le sessioni IX e X del Concilio di Trento, qui trasferitosi nel 1547 da Trento a causa della peste che infieriva in quella città.

    Controfacciata. Le sculture del portale interno della navata sinistra (Adamo, Eva, il serpente e, nel medaglione, il Miracolo di S. Pietro) sono di Alfonso Lombardi (1529); gli ornamenti e le statue del portale mediano si debbono a Francesco e Petronio Tadolini (1783). Navata destra. 1a cappella (della Madonna della Pace): all’altare, Madonna della Pace, formella policroma di Giovanni Ferrabech (1394), tolta dal basamento esterno, incorniciata da un bel frontale di Giacomo Francia.

    Tra la 1a e la 2a cappella, la croce dei Santi Martiri, una delle quattro croci che delimitavano la città altomedievale, qui trasferite nel 1798 (le altre sono collocate simmetricamente nella stessa navata centrale).

    2a cappella (di S. Brigida): alle pareti laterali, Madonna col Bambino in trono e santi, affreschi di Luca da Perugia (1417), Francesco Lola (1419-31), Michele di Matteo (1430) e altri; sull’altare, Madonna col Bambino e 15 santi, polittico attribuito a Tommaso Garelli.

    3a cappella (di S. Ambrogio): sull’altare, S. Ambrogio tra gli arcangeli, Pietà e Annunciazione, affresco a scomparti di un artista lombardo della seconda metà del Quattrocento (forse Jacopo di Cristoforo Moretti).

    4a cappella (della Santa Croce): elegante transenna marmorea, finemente decorata, di Albertino Rusconi (1483); alle pareti, affreschi di Francesco Lola, Giovanni da Modena, Pietro di Giovanni Lianori e di altri pittori, pure del ’400; sull’altare, Cristo crocifisso di scuola emiliana dell’inizio del secolo XVI (forse di Ercole Banci); belle vetrate di Giacomo da Ulma (1464-66), su disegno di Michele di Matteo, restaurate (1950).

    5a cappella (di S. Lorenzo): sull’altare, entro ancona dorata, Pietà di Amico Aspertini (1519); alla parete sinistra, Crocifisso ligneo del 1462.

    6a cappella (di S. Girolamo): la transenna di pietra è del 1485; sull’altare, S. Girolamo, tavola di Lorenzo Costa; alla parete sinistra, entro nicchia, una bella Madonna col Bambino di terracotta (1543); nel pavimento, pietra tombale di Baldassarre Castelli, con finissimi ornati (1500).

    La 7a cappella (dell’Immacolata), con elegante cancellata di ferro battuto (1929), è stata decorata da Achille Casanova (1914-48) e compiuta da Renato Pasqui (1951) utilizzando i disegni lasciati dal maestro; la statua della Vergine, in stucco, è di Agostino Corsini (1725).

    8a cappella (del Santissimo): solenne transenna marmorea del 1525; sull’altare, frontale di marmo su disegno del Vignola (1550), con ricco tabernacolo di pietre dure di Vincenzo Franceschini (1636), e ai lati le statue di S. Francesco di Nicolò da Milano, e di S. Domenico di Zaccaria da Volterra. Alle pareti laterali, due tele, a sinistra del Mastelletta, a destra di Lorenzo Pasinelli. Bellissimi stalli intarsiati da fra’ Raffaele da Brescia (1513- 21), qui trasportati da S. Michele in Bosco dopo la soppressione del monastero olivetano nel 1797.

    9a cappella (di S. Antonio da Padova): sul ricco altare, statua di S. Antonio da Padova, attribuita a Girolamo da Treviso; tutt’intorno alle pareti, Miracoli del santo, a monocromo, firmati da Girolamo da Treviso (1526); gli affreschi nella parte alta delle pareti e nella volta sono opera di Giacomo Alboresi e Fulgenzio Mondini, 1662). Il disegno delle vetrate è attribuito a Pellegrino Tibaldi.

    Tra la 9a e la 10a cappella, la Croce di tutti i Santi, un’altra delle quattro croci sopra dette, questa già posta nel trivio di S. Paolo; sopra, nel pilastro, busto di Giovanni dei duchi di Baviera, opera del Varignana (1537).

    10a cappella (di S. Pietro Martire): transenna della fine del ’400, con delicati rilievi che ricordano l’arte di Niccolò dell’Arca; sull’altare, Madonna col Bambino, i Ss. Petronio, Domenico e Pietro martire, di Bartolomeo Passarotti. Alla parete sinistra, Incoronazione della Madonna, grande quadro di Francesco Brizio (1617); alla parete destra, Memoria della processione della Madonna del Borgo, dello stesso.

    11a cappella (delle Reliquie): sull’altare, numerosi reliquiari; nella parete destra, Annunciazione del Brusasorci, tra due statue attribuite a Properzia de’ Rossi; nella sinistra, Assunzione della Vergine, altorilievo del Tribolo (1537).

    Segue la sagrestia: molti quadri alle pareti (alcuni, ispirati alla vita di S. Petronio) di pittori bolognesi del ’700; banchi e armadi intagliati nella residenza capitolare. Nell’area della sagrestia è compreso uno dei piloni fondati nel 1515 come contrafforti per la progettata grande cupola ideata dall’Arriguzzi; nel mezzo delle fondamenta di questo pilone è scavato un pozzo (visibile per una porticina) e al disopra si svolge una scala a chiocciola. Nel fondo della navata, un portale, ornato da Francesco e Petronio Tadolini, e un lungo corridoio conducono nella corte de’ Galluzzi. Nella parete a sinistra della navata destra, di fronte alla 11a cappella e sotto l’organo di destra, è una nicchia contenente un Compianto su Cristo morto, gruppo di 6 figure in terracotta dipinta di Vincenzo Onofri (fine secolo XV).

    Presbiterio e abside. Sopra l’altare maggiore, grandiosa tribuna progettata dal Vignola (1547-48) e riadattata, con una nuova cupola, da Giovanni Giacomo Monti (1673) nel corso dei seicenteschi lavori di sistemazione della zona absidale della basilica. La ricca decorazione è dello stesso Monti (stucchi), di Giovan Battista Barberini (figure) e di Paolo Griffoni (ornati). A destra, l’organo in cornu Epistolae venne costruito, tra il 1471 e il 1475, da Lorenzo di Giacomo da Prato. L’organo di sinistra, in cornu Evangelii, è di Baldassarre Malamini (1596).

    Le ante dipinte, disperse, che li ricoprivano erano state eseguite, rispettivamente, da Amico Aspertini (1531) e dal giovane Guido Reni (1596). La collocazione attuale degli organi risale al 1659, allorché vennero incorniciati da due fastosi involucri disegnati dal Monti e decorati dal Barberini e dal Griffoni (1674-75). L’imponente coro ligneo intarsiato è opera di Agostino de’ Marchi (1467-79) che, per le figure di S. Petronio e S. Ambrogio, utilizzò due cartoni di Francesco del Cossa (1473). La disposizione attuale degli stalli risale al 1661. Un intervento di restauro e integrazione è stato eseguito nel 1911-14.
    Nel mezzo dell’abside, notevole leggio di Francesco Casalgrande (1772), con una statua di Davide di Silvestro Giannotti. Nel fondo dell’abside, Madonna col Bambino e S. Petronio, affresco di Marcantonio Franceschini su cartone di Carlo Cignani, con ornato di Giacomo Alboresi.

    Navata sinistra. Nel fondo, un portale, ornato da Alessandro Barbieri nel ’700, mette in piazza Galvani.

    La 11a cappella (di S. Bernardino) fu restaurata nel 1909; la transenna è opera di Achille Casanova; la statua lignea di S. Bernardino è del secolo XV, l’ancona dorata del XVIII. 10a cappella (di S. Barbara): sull’altare, S. Barbara, opera giovanile di Alessandro Tiarini; a destra, la statua di S. Rosalia è di Gabriello Brunelli. Gli affreschi delle pareti e della volta sono opera di Gioacchino Pizzoli.

    Fra la 10a e la 9a cappella, la croce delle Sante Vergini, alto-medievale, già collocata nel trivio di via Castiglione.

    9a cappella (di S. Michele Arcangelo): elegantissima cancellata di ferro battuto del 1482; sull’altare, S. Michele arcangelo di Denijs Calvaert; alla parete sinistra, sopra un’epigrafe, busto di Andrea Barbazzi, in terracotta, attribuito a Vincenzo Onofri; molto interessante è la presenza del pendolo di Foucault appeso a fianco dell’altare, replica dell’originale che si trova nel Pantheon di Parigi, realizzata in collaborazione tra l’università di Bologna (Dipartimento di Fisica e Astronomia) e il Museo del Cielo e della Terra di San Giovanni in Persiceto.

    8a cappella (di S. Rocco): sull’altare, S. Rocco del Parmigianino; a sinistra, l’alto piedestallo della statua di S. Petronio di Gabriello Brunelli, trasferita in piazza di Porta Ravegnana. Nel pilastro che segue, monumento di Cesare Nacci, vescovo di Amelia, in terracotta, di Vincenzo Onofri. Sotto, la lapide illustrativa della meridiana, tracciata sul pavimento (in sostituzione di una precedente del 1575) da Gian Domenico Cassini nel 1655, restaurata nel 1695 dallo stesso Cassini e da Domenico Guglielmini, verificata nel 1776 da Eustachio Zanotti e nel 1904 e 1925 da F. Guarducci.

    Essa si stende fino alla facciata; com’è detto nell’iscrizione, è lunga 206 piedi e 8 pollici di Parigi, cioè 2 secondi e 10 terzi di arco, vale a dire la seicentomillesima parte della circonferenza terrestre. Sopra, nella volta della navata sinistra è il foro da cui entra il raggio solare.

    7a cappella (di S. Giacomo): ricca transenna marmorea del ’400, attribuita a Pagno di Lapo (i 4 bellissimi putti sono copie da originali forse di Francesco di Simone); sull’altare, entro ancona dorata del ’500, Madonna col Bambino e i Ss. Giacomo, Girolamo, Sebastiano e Giorgio, tavola di Lorenzo Costa (1492); allo stesso sono attribuiti i disegni della vetrata.

    Alla parete destra, monumento del principe Felice Baciocchi con la moglie Elisa Bonaparte di Cincinnato Baruzzi (1845), e in alto, due putti reggistemma di Lorenzo Bartolini; alla parete sinistra, monumento funebre a tre figli dei Baciocchi di Carlo ed Emanuele Franzoni e Baldassarre Casoni (1813).

    6a cappella (di S. Vincenzo Ferreri): sull’altare, Assunta dello Scarsellino; alla parete destra, entro nicchia, busti di Francesco e Andrea Cospi, di ignoto (XVI secolo); alla parete sinistra, S. Vincenzo Ferreri, grande tela a tempera di Vittorio Bigari, entro vistosa quadratura di Stefano Orlandi. Inoltre, statua raffigurante il cardinale Giacomo Lercaro di Giacomo Manzù. Sotto la 3a arcata di fronte sta il pulpito ligneo (H), di semplici forme, costruito da Agostino de’ Marchi (circa 1470).

    5a cappella (di S. Sebastiano): sull’altare, Martirio di S. Sebastiano (il personaggio inginocchiato è l’offerente Donato Vaselli), di scuola emiliana della seconda metà del ’400; ai lati, Annunciazione: l’angelo è del Francia, la Vergine del Costa, a cui sono attribuiti pure, alle pareti, gli apostoli, in altrettanti pannelli. Le vetrate sono del 1497; gli stalli lignei, ricchi d’intarsi e rilievi, sono del 1495. Notare il bellissimo pavimento a piastrelle esagonali di maiolica faentina, con figurazioni ornamentali intramezzate dall’impresa dei Vaselli e dalla firma del ceramista Pietro Andrea da Faenza, che lo eseguì nel 1487.

    Tra la 5a e la 4a cappella è abitualmente presente una statua di S. Petronio, in legno, del secolo XV, ridecorata nel 1517 da Bartolomeo Bagnacavallo il Vecchio, e collocata nel 1708 in un’edicola con lo stemma della famiglia Bolognini. Gli affreschi di Giovanni da Modena.

    La 4a cappella (dei Re Magi), decorata all’inizio del ’400 e restaurata nel 1879, ha una ricca transenna marmorea di stile gotico, forse su disegno di Antonio di Vincenzo; sull’altare, ricchissimo polittico ligneo gotico, dorato e policromato, con 27 figure intagliate e altre dipinte, del primo ’400, e nella predella, otto storiette dei Magi dipinte da Jacopo di Paolo, a cui si attribuisce il progetto generale della grandiosa ancona. Il paliotto e i fianchi dell’altare con figure di ottimo intaglio sono un avanzo degli stalli della distrutta chiesa di S. Maria del Carrobbio, qui portati nel 1819 e dovuti a Giovanni da Baiso (1374). Le pareti sono interamente coperte di affreschi dovuti a Giovanni da Modena, con intervento di aiuti (1410-15): nella parete destra, Viaggio dei Magi; in quella di fronte, episodi della vita di S. Petronio; nella sinistra, in alto il Paradiso con l’Incoronazione della Madonna, in basso l’arcangelo Michele e l’Inferno diviso in bolge, con gigantesca figura di Lucifero. Vetrate del ’400, restaurate. Nel pavimento, pietra tombale di Bartolomeo Bolognini, fondatore della cappella (1400).

    Nel pilastro tra la 4a e la 3a cappella, orologio gemino (uno segna il tempo medio, l’altro il tempo solare) del 1758, uno dei primi provvisti della correzione del pendolo. Al disopra, colossale S. Cristoforo, affresco attribuito a Giovanni da Modena.

    3a cappella (di S. Ivo): all’altare, Madonna di S. Luca e i Ss. Ivo ed Emidio, tela di Gaetano Gandolfi (1781).

    Nel pilastro tra la 3a e la 2a cappella, S. Brigida di Svezia in abito da guerriero, affresco del ’400; nel pilastro corrispondente, tra navata centrale e navata sinistra, è un Cristo in trono di Lippo di Dalmasio.

    La 2a cappella (di S. Petronio) è un magnifico esempio di arte settecentesca, architettata e decorata su disegno di Alfonso Torreggiani (1743-50) e chiusa da una mirabile cancellata di ferro e ottone del fabbro Francesco Tibaldi. Alla parete destra, monumento del cardinale Pompeo Aldrovandi di Camillo Rusconi e Angelo Piò; alla sinistra, memoria a Benedetto XIV di Ottavio e Nicola Toselli. L’affresco della volta è opera di Vittorio Bigari e Stefano Orlandi. Intagli e bronzi arricchiscono la cappella, che nel frontale ha una teca d’argento, su disegno dell’orafo romano Francesco Giardoni (1743), contenente il capo di S. Petronio (all’esterno della cappella, in via dell’Archiginnasio è l’iscrizione: Pone lapidem Felsinae thesaurus = dietro questa pietra è il tesoro di Fèlsina), qui collocato per concessione di Benedetto XIV. Dal 2000 la cappella contiene le rimanenti reliquie del santo fino ad allora conservate presso la chiesa dei Ss. Vitale e Agricola nel complesso di S. Stefano.

    Fra la 2a e la 1a cappella, croce dei Ss. Apostoli ed Evangelisti scolpita nel 1159, già a porta Ravegnana. Sulla parete, affresco con una scena allegorica e la Madonna col Bambino e i Ss. Benedetto e Scolastica, attribuito a Giovanni da Modena.

    La 1a cappella (di S. Abbondio) fu anche la prima a essere murata e vi si celebrò la prima messa il 4 ottobre 1392. Davanti a essa (iscrizione nella transenna) Carlo V vestì le insegne imperiali prima della sacra unzione, recandosi poi alla cappella maggiore, ove l’attendeva il papa Clemente VII. Nella parete destra, Redenzione del peccato originale, nella sinistra, Trionfo della Chiesa sulla Sinagoga, affreschi di Giovanni da Modena (1420), restaurati. Vetrata di Giuseppe Bertini (1867). In fondo alla navata sinistra si trova l’ingresso al Museo.

  • Museo di S. Petronio Bologna (BO)

    Il museo si trova in fondo alla navata sinistra della basilica di S. Petronio ed è disposto in due sale.

    Sala I: disegni e progetti per la facciata della chiesa, di Baldassarre Peruzzi, Giulio Romano, Cristoforo Lombardo, Vignola, Domenico Tibaldi, Francesco Terribilia, Palladio e di altri; tra i moderni, di Giuseppe Ceri ed Edoardo Collamarini. Inoltre, sul lato sinistro, gli strumenti che servirono a Gian Domenico Cassini per tracciare la meridiana della chiesa e per verificarla nel secondo Settecento. Entro l’area della sala è un altro pilone con pozzo e scala, simile a quello della sagrestia. Notare, nella parete di fronte all’entrata, 4 bassorilievi: due (Castità di Giuseppe e La moglie di Putifarre che accusa Giuseppe) si devono a Properzia de’ Rossi (1525 c.); il terzo, La costruzione dell’arca, di anonimo toscano della prima metà del ’500; l’ultimo, il Seppellimento di Abramo, è attribuito a Zaccaria Zacchi.

    Nel mezzo della sala, modello della chiesa, a croce latina, probabilmente di Arduino degli Arriguzzi (1515 c.); ai lati della porta della Sala II, due modelli in legno e stucco relativi alla controversia per la costruzione della volta della navata centrale, eseguiti da Floriano Ambrosini verso il 1592, statua marmorea di S. Procolo, dovuta per la parte superiore ad Alfonso Lombardi, che la lasciò incompiuta alla sua morte, e completata da altra mano.

    Sala II: entro un grande armadio del ’600, paramenti dal ’500 al ’700, sia tessuti che a ricamo, reliquiari, calici, ostensori e altre oreficerie dal sec. XIII in poi, e lavori in legno, avorio e pietre dure, una pace d’argento sbalzato, del secolo XV; due cofani intarsiati, della bottega degli Embriachi, pure quattrocenteschi; una croce astile in argento sbalzato, del 1547, opera del bolognese Battista dal Gambaro; magnifici corali miniati dei secoli XV-XVI (tra cui eccelle quello con tre miniature di Taddeo Crivelli), dovuti in gran parte all’opera dei miniatori Martino da Modena e G.B. Cavalletti; un candelabro del cero pasquale, in ottone fuso, della prima metà del secolo XV.

  • Portico del Pavaglione Bologna (BO)

    Frequentatissimo portico dal nome derivato dal padiglione, o tenda, che copriva il mercato dei bozzoli, la cui denominazione si è oggi estesa all’intero portico prospiciente il fianco di S. Petronio.

  • Palazzo dei Notai Bologna (BO)

    La sistemazione del lato meridionale della piazza Maggiore venne completata sempre in età tardo-gotica con l’edificazione del palazzo dei Notai, che risultò dalla fusione di due corpi di fabbrica appartenenti alla corporazione dei Notai fin dalla seconda metà del XIII secolo.

    Tra il 1384 e il 1388, venne demolita la Domus merlata (equivalente alla parte sulla sinistra, verso S. Petronio) e ricostruita sotto la direzione di Berto Cavalletto e Lorenzo di Bagnomarino.

    Ad Antonio di Vincenzo è dovuto il disegno delle finestre prospicienti la piazza. Analoghe trasformazioni toccarono alla attigua Domus magna nei primi decenni del XV secolo. Il palazzo fu poi radicalmente restaurato da Alfonso Rubbiani nel 1908.

  • Palazzo dei Banchi Bologna (BO)

    A est la piazza Maggiore è definita nel fondale dal fronte del palazzo dei Banchi, operazione di ‘placcatura’ del precedente loggiato (1412), impostata su disegno del Vignola e realizzata tra 1565 e ’68.

    Il prospetto entra in colloquio con quello del palazzo del Podestà, anche se la soluzione architettonica adottata si distingue per l’uso di elementi più serrati, che risultano ancora più animati dalla folla che vi scorre quotidianamente.

  • Palazzo Comunale Bologna (BO)

    Il lato ovest di piazza Maggiore è interamente occupato dalla parte più antica del Palazzo comunale (detto anche pubblico o d’Accursio), sede storica del Comune, oggi con funzioni di rappresentanza, i cui edifici si stendono complessivamente su una vasta area compresa tra le piazze Maggiore e del Nettuno a est, via IV Novembre a sud, piazza Roosevelt e via Venezian a ovest, e via Ugo Bassi a nord.

    Il nucleo di più antica formazione (in cui presero dimora gli anziani consoli, ossia i membri della più alta magistratura esecutiva della città fin dal 1336) può essere identificato nel corpo di fabbrica sulla sinistra, corrispondente al palatium bladi, o meglio a quanto di esso è stato ‘rivelato’ in seguito all’opera di restauro effettuata da Antonio Zannoni (1885-87), che, attraverso un intervento combinato di rimozioni e ripristini, condusse alla riapertura del portico con le sei arcate a sesto acuto su pilastri cruciformi, e alla ricomposizione delle finestre ogivali ai due piani superiori.

    La torre, elemento superstite delle preesistenti case di Accursio, venne sopralzata nel 1444; il lanternino è opera di Giovanni da Brensa (1492); l’orologio (Rinaldo Gandolfi, 1773) ha la mostra realizzata da Francesco Tadolini. A destra dell’ingresso principale si distingue un corpo di fabbrica dal massiccio basamento a scarpa sormontato da lapidi commemorative, realizzato con ogni probabilità da Fioravante Fioravanti (1425-28) e restaurato da Antonio Zannoni (1876).

    Le otto grandi finestre dalle cornici in cotto, riaperte in occasione dei restauri ottocenteschi, furono poi completate in forma di bifora nel 1935. I massicci interventi alle masse murarie perimetrali circostanti (innalzamento di piani, ridefinizione e ampliamento degli spazi interni ecc.) vennero condotti nel XVI secolo allo scopo di rendere l’intero palazzo più adeguato alle esigenze residenziali del cardinale legato e dell’amministrazione pontificia.

    Il portale d’ingresso, sottolineato da due coppie di colonne in arenaria, fu disegnato da Galeazzo Alessi (1550-55) e completato poco più tardi, nella parte superiore, da Domenico Tibaldi che realizzò il dossale dal timpano curvilineo destinato a ospitare la statua del pontefice bolognese Gregorio XIII, modellata da Alessandro Menganti e fusa da Achille Censori (1576-80). A sinistra in alto, riparata da un baldacchino, la Madonna col Bambino, pregevole terracotta di Niccolò dell’Arca (1478).

    A destra del portale nel 2018 sono stati ricollocate due sculture in bronzo di Giuseppe Romagnoli, raffiguranti l’Amor Patrio e il Valore Militare, che facevano parte del monumento commemorativo al re Umberto I, inaugurato nel 1909, di cui è stata ricostruita la lapide commemorativa.

    Sullo stesso lato, oltre ad altre lapidi, vi è una grande finestra a balcone dell’Alessi, che risale al 1553. Sotto il davanzale spiccano le statue di due piccole aquile, una delle quali (quella di sinistra) pare sia stata scolpita da Michelangelo. Accanto alla finestra, sulla scarpata del palazzo, è murato un campionario di antiche misure (piede, braccio, pertica) e dimensioni standard (mattone e tegola), a ricordare l’antica funzione di mercato della piazza. Il successivo corpo di fabbrica, più arretrato, è caratterizzato dal Sacrario delle vittime del fascismo.

    Nel 1365 il cardinale legato Anglic de Grimoard realizzò a scopo difensivo una fortificazione che inglobò, oltre alle costruzioni all’epoca esistenti, l’intera area sopra descritta. Aggirandone il perimetro in senso orario, si possono cogliere lungo tutti e quattro i lati tracce delle merlature trecentesche; lungo il fianco sin. si nota inoltre la preesistente torre dei Lapi (coincidente con l’attuale entrata in asse alla piazza Galileo) e, all’angolo tra le vie Venezian e Ugo Bassi, il cosiddetto Torrone (1352); del 1565 è la fontana Vecchia (aderente alla cortina affacciata sulla via Bassi), su disegno di Tommaso Laureti; subito dopo è l’ingresso al cortile in cui nel 1568 Ulisse Aldrovandi aveva organizzato l’orto dei Semplici (intendendosi per «princìpi semplici» i farmaci tratti dalle piante), coperto nel corso dell’Ottocento e trasformato prima in borsa valori (Edoardo Collamarini, 1922-25), poi in spazio per uffici comunali e mostre temporanee.

    L’interno è attualmente adibito a residenza comunale e a sede di diversi servizi pubblici. Dalla piazza Maggiore, si entra direttamente nel primo cortile (restaurato nel 1933), porticato per tre lati, di cui quelli a est e a nord fanno parte della costruzione quattrocentesca, mentre quello a ovest che imita i primi due risale al 1508; il lato meridionale fu realizzato da Paolo Canali (1661). Sotto il portico, due portali in arenaria; quello a nord è stato recentemente attribuito a Galeazzo Alessi, quello sul lato ovest è probabilmente stato realizzato su disegno del Vignola.

    Si sale al primo piano attraverso uno scalone a cordonata attribuito a Bramante. Per la porta di fronte si entra nella sala Renzo Imbeni, intitolata all’ex sindaco di Bologna, che guidò la città dal 1983 al 1993 (ex sala del Consiglio provinciale), con ornati a chiaroscuro di Luigi Samoggia; la porta a sin. mette nell’ampia sala d’ercole: nel fondo, grande statua di Ercole, terracotta di Alfonso Lombardi (1519); nella parete destra, la Madonna del terremoto, affresco di Francesco Francia (1505).

    Percorso il corridoio, per una porta in fondo si può andare nella Galleria del senato che oggi ospita il Consiglio comunale, con volta affrescata da Angelo Michele Colonna e Gioacchino Pizzoli (1676). Un corridoio, in cui spicca la grande tempera raffigurante Irnerio che glossa le antiche leggi di Luigi Serra (1886), porta allo scalone cordonato che conduce al secondo piano, nella sala Farnese, con nel fondo il monumento ad Alessandro VII, di Dorastante d’Osio (1660), e alle pareti episodi della storia di Bologna, affrescati da Francesco Quaini, Carlo Cignani, Luigi Scaramuccia, Girolamo Bonini, Lorenzo Pasinelli, Giovanni M. Bibiena.

    Sul lato destro un grandioso portale marmoreo dell’Alessi (1555), rimaneggiato a metà dell’Ottocento, immette nella cappella Farnese, un tempo cappella degli Anziani, utilizzata per le cerimonie del Legato pontificio, ove Carlo V cinse la corona ferrea, portata da Monza, prima di ricevere la corona imperiale in S. Petronio. Il grandioso fregio in stucco è dell’Alessi.

    Alle pareti, affreschi di Prospero Fontana con storie della vita della Vergine (1562). Ospita le Collezioni comunali d’Arte e la Biblioteca Salaborsa.

  • Palazzo Comunale-Collezioni comunali d'Arte Bologna (BO)

    All’interno del Palazzo comunale, un portale marmoreo scolpito dai battenti intagliati (stemmi e decorazioni araldiche di Giulio II della Rovere, inizi secolo XVI) dà accesso alle Collezioni comunali d’Arte, ordinate in 25 sale, già occupate dal legato pontificio (fino al 1859), poi dalla Prefettura (fino al 1933). Fondate nel 1935-36 e private nel secondo dopoguerra di numerose sale, conservano ancora come peculiare tratto distintivo il gusto per la ricostruzione d’ambiente (sale I-IV, XI-XVI).

    Pareti, soffitti e volte di alcune sale sono decorati con pitture dal secolo XVI alla prima metà del XIX, restaurate nel 1934-35. Si tratta della più recente realizzazione museografica ‘storica’ della città, in cui trovarono sistemazione soprattutto opere pervenute al Comune in epoca post-unitaria (eredità Palagi e Baruzzi, 1860 e 1878) e nei primi decenni del Novecento (lasciti Pepoli, Verzaglia Rusconi, Pizzardi, Rusconi).

    Vi è compreso anche un nucleo di opere settecentesche originariamente conservate nel Palazzo comunale. L’ex appartamento del cardinal legato è stato oggetto di interventi di ristrutturazione e di valorizzazione: sono state riaperte, dopo un lungo lavoro di riallestimento, alcune sale (dalla V alla X) che espongono in ordine cronologico, con consistenti integrazioni, opere dalla seconda metà del Duecento alla fine del Settecento.

    Sono raccolti un importante nucleo di opere medievali e rinascimentali (Vitale da Bologna, Simone dei Crocifissi, Jacopo di Paolo, Cristoforo di Benedetto, Benedetto Bonfigli, Francesco Francia, Amico Aspertini, Luca Signorelli), rare opere del Seicento (Ludovico Carracci, Guido Cagnacci, Alessandro Tiarini, Benedetto Gennari, Lorenzo Pasinelli, Aureliano Milani) e del Settecento (Giacomo Boni, Giuseppe Maria e Luigi Crespi, Angelo Crescimbeni, i Gandolfi, Felice Giani).

    Una sala, accessibile dalla cappella Farnese, espone affreschi di epoca medievale, provenienti dal chiostro della Madonna del complesso monumentale della Certosa, e dipinti murali cinque-seicenteschi recuperati da edifici religiosi e civili.

    Le sale: Sala I (degli Svizzeri): fregio di Luigi Valesio (1611); importante serie di ritratti, fra cui Ritratto di dama di Carlo Francesco Nuvolone, Ritratto di condottiero di Artemisia Gentileschi (1622); Ratto delle Sabine attribuito al Bertoja; Venere e Amore attribuito a Sebastiano Ricci; Ritratto di nobildonna di Carlo Ceresa. Fra i mobili, coppia di cassoni intagliati e intarsiati, parzialmente dorati (fine XV sec.) appartenuti alla famiglia Bentivoglio.

    Sala II: fregio seicentesco (molto restaurato), con stemmi (c. 1611). Parete sinistra: quattro dipinti originariamente in Palazzo comunale (Andromeda e Perseo, Diana ed Endimione di Ubaldo Gandolfi, Il Gonfaloniere degli anziani si congratula con Carlo V dopo la sua incoronazione, di Ercole Graziani, e Clemente VII riconsegna le chiavi della città agli anziani di Giuseppe Marchesi detto Sansone).

    La Sala III riunisce i progetti di restauro stesi dal Comitato per Bologna storico-artistica (inizi secolo XX), opere connesse al Palazzo comunale e a piazza Maggiore (disegni, bozzetti e sculture lignee quattrocentesche provenienti dal coevo orologio del palazzo) e un ricco campionario di merletti e ricami realizzati all’inizio del sec. XX dalla Aemilia Ars. Sala IV (galleria Vidoniana, dal nome del cardinale legato Pietro Vidoni che la commissionò nel 1665): volta dipinta dal Mengazzino e da Giuseppe Antonio Caccioli; alle pareti, statue entro nicchie, bassorilievi e decorazioni in stucco risalenti all’epoca napoleonica e dovuti a Giacomo Rossi e Giacomo De Maria. La sala ospita un importante nucleo di dipinti di Donato Creti, donati al Senato cittadino nel 1744, fra i quali: quattro tondi su rame con figure di Virtù, otto sovrapporte monocromi con figure maschili e femminili, quattro storie di Achille, Mercurio, Paride e Giunone. Inoltre, quattro tele ovali di Mauro Gandolfi con fatti di storia bolognese, sculture ottocentesche (alcune di Cincinnato Baruzzi).

    Il braccio occidentale (Sale V-IX) cui si accede dalla galleria Vidoviana (Sala IV), a destra, è allestito come una piccola pinacoteca a sé stante, con opere dal Due all’Ottocento disposte in ordine cronologico.

    Sala V: serie di croci dipinte e crocifissi scolpiti in legno, di seguace di Giunta Pisano, di Jacopo di Paolo, di Simone dei Crocifissi; fra le tavole di altro soggetto: S. Pietro e un pellegrino e Ss. Antonio abate e Giacomo di Vitale da Bologna (c. 1340), S. Genesio con santi e offerenti di Cristoforo Moretti, Annunciazione di Jacopo di Paolo, Ss. Stefano e Vincenzo martiri di Alvaro Pirez, Sibilla di Benedetto Bonfigli.

    Sala VI: opere dei secoli XVI-XVII, fra cui Sposalizio di S. Caterina (inizi XVI secolo), Madonna col Bambino di Amico Aspertini, S. Francesco riceve le stigmate di Filippo da Verona, Ritratto di vecchio di Jacopo Tintoretto, Donna piangente e Testa di Cristo dalla Pala di Matelica di Luca Signorelli, Crocifissione di Francesco Francia.

    Sala VII: Crocifissione di Bartolomeo Passerotti, S. Sebastiano curato da S. Irene attribuito a Trophime Bigot, Ercole di Pietro Faccini, S. Caterina in carcere di Ludovico Carracci.

    Sala VIII: Ritratto di gentiluomo del Baciccio, Ritratto di giovane donna di Benedetto Gennari, Cleopatra di Guido Cagnacci, Apollo e Diana di Michele Desubleo.

    Sala IX: opere dei secoli XVIII-XIX, fra cui S. Antonio e S. Pietro d’Alcantara e Ritratto del cardinal Lambertini di Giuseppe Maria Crespi, tele di Gaetano Gandolfi, Filippo e Domenico Pedrini e Pietro Fancelli; inoltre collezione di miniature dei secoli XVIII e XIX.

    Sala X: raccolta di disegni dal XVI al XX secolo, tra cui Adorazione dei pastori di Giovan Battista Ramenghi detto Bagnacavallo jr. (1535 c.) e due Telamoni di Adolfo de Carolis (1912). Si ritorna nella galleria Vidoniana per accedere, dal fondo, alle sale Rusconi, allestite a guisa di appartamento arredato con esemplari di mobilia soprattutto bolognese ed emiliana.

    Sala XI (soffitto del 1544): serie di ventole (Venezia, secolo XVIII), cassettone con ribalta (Emilia, secolo XVIII), tavolo da centro intarsiato (1750-60), La toilette della dama di Alessandro Longhi.

    Sala XII (soffitto c. 1580): mobile a due corpi intarsiato (Bologna, secoli XVI-XVII), stipo con smalti di Limoges (Suzanne Court, XVII secolo); due cassoni con stemma gentilizio.

    Sala XIII (soffitto del 1570): Autunno e Inverno di Pier Francesco Cittadini e Jean Boulanger; armadio-credenza (prima metà XVII secolo). Sala XIV (volta del secolo XIX): dal 2006, per donazione, sono entrate a far parte del patrimonio museale, ed esposte in questa stanza sei opere di Gaetano Gandolfi e di Giovanni Antonio Burrini.

    Sala XV: dal 2004 sono esposte sette tempere su tela con paesaggi e rovine con figure, dipinte da Vittorio Maria Bigari e Pietro Paltronieri detto il Mirandolese (secolo XVIII), provenienti da palazzo Aldrovandi poi Montanari; scultura in terracotta del cane Tago di Luigi Acquisti (1777).

    Sala XVI: stanza affrescata ‘a paese’ da Vincenzo Martinelli e Giuseppe Valliani (inizi secolo XIX); statua in marmo raffigurante un Apollino di Antonio Canova.

    Dalla galleria Vidoniana verso sinistra rispetto all’ingresso, si accede alla Sala URBANA (XVII), dedicata nel 1630 a papa Urbano VIII su commissione del cardinale Bernardino Spada e restaurata nel 1852. Dalla sala Urbana è possibile accedere a due sale (XIX e XX) interamente dedicate ai dipinti di Pelagio Palagi, artista e collezionista (gli affreschi con la Glorificazione della Repubblica cispadana sono di Mauro Gandolfi).

    Nella Sala XX (il soffitto è di Filippo Pedrini, 1763-1856) sono esposti alcuni arredi della fine del sec. XVIII-inizio XIX e Busto di vecchio, in terracotta, di Antonio Canova. Nelle ultime tre sale del percorso, che riportano in sala Farnese, pitture di paesaggio e ritratti del XVIII e XIX secolo.

  • Palazzo Comunale-Biblioteca Salaborsa Bologna (BO)

    In una zona del Palazzo comunale, è una moderna e ricca mediateca divenuta importante centro culturale per la città. Oltre ai 255 mila volumi, possiede materiale audiovisivo (e-book, audiolibri, videocassette, CD, DVD) e mette a disposizione numerose postazioni internet.

    Nell’area denominata Piazza coperta si possono osservare i reperti, venuti alla luce in occasione degli scavi archeologici intrapresi durante il restauro edilizio (sotto il pavimento di cristallo sono a vista le antiche strutture architettoniche).

    Il luogo attualmente occupato dalla biblioteca faceva infatti parte, in epoca romana, di un più vasto edificio con funzioni pubbliche, sul quale si attestarono stratificazioni edilizie successive (secoli XIII, XIV e XVI).

  • Fontana del Nettuno Bologna (BO)

    Allineata con il braccio est-ovest del palazzo del Podestà è la fontana del Nettuno, fulcro della piazza omonima, aperta nel 1564 atterrando «un’isola di case».

    L’intervento rappresentò uno dei più significativi atti di politica urbanistica promossi dal vice-legato Pier Donato Cesi per la riorganizzazione del centro cittadino secondo le rinnovate funzioni imposte dall’amministrazione pontificia.

    La fontana (detta anche del Gigante) venne realizzata da Giambologna (1563-66) su una base architettonica progettata da Tommaso Laureti. La statua rappresenta il dio, armato di tridente, in atto di placare le onde; sotto stanno quattro putti con delfini; in basso, quattro sirene che spremono i seni.

    Agli stemmi, raschiati nel 1796, è stata ridata l’originaria araldica; il restauro del monumento è terminato nel 2017. Nel sottopassaggio tra la piazza del Nettuno e la via dell’Indipendenza sono conservati avanzi romani di Bononia; in situ, tratti di lastricati stradali di cardo e del decumanus maximus, con le antiche cloache coperte a spiovente; a parete, un ampio tratto di mosaico pavimentale di domus augustea, già ricadente nell’area del sottopassaggio.

  • Palazzo del Podestà Bologna (BO)

    Sul lato nord della piazza Maggiore prospetta il cosiddetto palazzo del Podestà, fabbricato sul medesimo sito del palatium vetus, antica sede del governo cittadino fatta atterrare da Giovanni II Bentivoglio nel 1484.

    Fu avviato nel 1485 sulla base di un probabile modello di Aristotele Fioravanti, che rispettò e usò come elemento di progetto l’incrocio delle due strade intersecantesi al di sotto della torre dell’Arengo (1212), vero centro compositivo dell’insieme, denominato voltone del Podestà.

    La grande campana della torre, detta il Campanazzo, collocata nel 1453, suona soltanto in occasione di grandi avvenimenti cittadini. Sui pennacchi del sottostante voltone del Podestà sono collocate le statue dei quattro santi protettori della città (1525), terrecotte di Alfonso Lombardi.

    L’edificio presenta verso S. Petronio un fronte porticato ritmato da nove arcate e sovrastato da un piano superiore occupato dal salone del podestà, un’unica grande sala (m 61x14), un tempo aula di giustizia, poi dal 1581 al 1767 utilizzata come teatro pubblico e in seguito come campo di gioco del pallone; all’interno, ciclo di affreschi sui Fasti della città di Adolfo De Carolis (1911-28) e discepoli (1933), su disegni del maestro.

    La superficie esterna si presenta a mattoni sagramati e membrature in arenaria scolpita. La balaustrata, in macigno, fu eseguita da Pietro Fiorini nel 1604. Il coronamento, interrotto e privo del cornicione finale, contribuisce a dare un aspetto incompiuto al prospetto sulla piazza. Connesso con il palazzo del Podestà da una loggia di comunicazione lungo il fianco occidentale è il palazzo di Re Enzo.

  • Palazzo di Re Enzo Bologna (BO)

    Connesso con il palazzo del Podestà da una loggia di comunicazione lungo il fianco occidentale, il palazzo di Re Enzo rivolge i suoi prospetti verso piazza del Nettuno, via Rizzoli e piazza Re Enzo.

    Costruito nel 1244 come palatium novum per ospitare le magistrature di governo della città, l’edificio deve il suo nome al figlio di Federico II, fatto prigioniero durante la battaglia di Fossalta (1249) e ivi recluso fino alla morte (1272).

    L’attuale aspetto dell’edificio è il risultato dei radicali interventi di integrazione stilistica operati da Alfonso Rubbiani (1905-13) che, tra l’altro, riaprì le finestre a trifora e ridefinì il coronamento, impiegando una merlatura a capo gigliato. Il palazzo, recentemente ristrutturato, è diventato un centro culturale e congressuale.

    Il disorganico e conflittuale confondersi delle demolizioni previste dal piano regolatore del 1889 con i restauri e le reintegrazioni stilistiche operate sul corpo edilizio del palazzo e delle sue adiacenze ha prodotto, nei primi anni del Novecento, l’isolamento del complesso monumentale rispetto al fitto tessuto mercantile che lo circondava.

    I capisaldi della composizione della piazza Maggiore e di quella del Nettuno sono peraltro rimasti inalterati, e altrettanto le loro reciproche relazioni. Entrando dall’ingresso principale, da una scalinata che si affaccia su piazza del Nettuno, si apre un cortile porticato di 250 ma.

    Al centro rimane l’antico pozzo di pietra arenaria, mentre sulla destra si trova l’antica cappella di S. Maria dei carcerati, da cui transitavano i condannati a morte, recentemente restaurata.

    Oggi ospita l’installazione A New Light dell’artista inglese David Tremlett (2003). Si sale attraverso la scala coperta (anch’essa ‘restaurata’ dal Rubbiani nel 1910) all’ammezzato, dove si apre un’ampia sala a volte cordonate (detta salone del Trecento), di Antonio di Vincenzo (1386), costruita come archivio pubblico o camera degli Atti.

    La scala raggiunge quindi una loggia di comunicazione con il salone del Podestà, e dopo un’ulteriore rampa la sala Re Enzo, restaurata da Giovanni Giacomo Dotti nel 1771.

  • Museo civico archeologico Bologna (BO)

    Nell’edificio dell’ex ospedale di S. Maria della Morte, costruzione del XV secolo riformata da Antonio Morandi (1565), è l’entrata del Museo civico Archeologico. Una delle istituzioni cittadine più prestigiose, il museo riveste eccezionale interesse per la bellezza e l’imponenza del suo patrimonio.

    Fondato nel 1881 con la fusione delle raccolte di musei preesistenti, si arricchì in seguito di donazioni, acquisti, lasciti e dei materiali rinvenuti negli scavi locali. Fra le collezioni storiche (Universitaria e Palagi) si segnala la raccolta egizia, terza per importanza tra quelle italiane.

    Nel contesto della ricca documentazione archeologica bolognese, le raccolte etrusche costituiscono il nucleo più significativo poiché, attraverso migliaia di corredi funerari, documentano lo sviluppo di Fèlsina (nome etrusco di Bologna) dal secolo IX a.C. alla metà del IV secolo a.C.

    RACCOLTA LAPIDARIA. All’ingresso del vasto atrio sono due cippi etruschi di arenaria, rinvenuti nel 1985 a Bologna nel centro storico (via Fondazza), decorati da palmette e sfingi alate, databili alla fine del VII secolo a.C.

    Alle pareti, stele e cippi con iscrizioni e decorazioni in gran parte del I secolo d.C., rinvenuti per lo più nel letto del fiume Reno e in altri siti di Bologna e della provincia. Ai lati della porta, due stele dallo stesso recinto funerario, con rilievi alludenti uno all’attività di un porcaro, l’altro alla preparazione degli insaccati; poi, procedendo verso destra, stele di Q. Valerio Restituto, macellaio o battiloro; monumento dei Corneli, a edicola, con tre grandi figure ad altorilievo; grande colonna miliare marmorea, con tre iscrizioni (l’ultima, capovolta, è del 1347) e altare dedicato alla Tempestas Iovis; davanti alla stele dei Corneli, una sfinge di evidente significato funerario.

    Nell’abside in fondo a destra, parte di un monumento ad esedra con resti di iscrizione di età augustea menzionante membri della gente Fulvia. Davanti, bel torso marmoreo dell’imperatore Nerone, con corazza decorata a rilievi. Nell’abside opposta, statua di togato, da un monumento funerario di Maccarétolo (San Pietro in Casale).

    La raccolta lapidaria continua nel cortile. Sotto il portico, gruppo di cinque colonne miliari della Via Aemilia: notevole la grande colonna miliare, già al 79° miglio da Rimini, di epoca augustea; a sinistra riprende la serie delle iscrizioni romane, importanti per le testimonianze del sevirato augustale.

    Notare, nel portico di sinistra in alto, le iscrizioni e i calchi di iscrizioni da edifici religiosi di Bononia alludenti a culti. Nel lato del portico di fronte all’ingresso, grande blocco con resti di iscrizione dipinta (programma elettorale). Al centro dell’ala destra parapetto da pozzo perfettamente conservato con iscrizione dedicatoria ad Apollo e al Genio di Augusto. Al centro dello scalone al primo piano, calco in gesso del Nettuno di Giambologna, tratto dall’originale della fontana nel 1907.

    BOLOGNA NELLA PREISTORIA. Percorso lo scalone, a destra si accede alla sala i dedicata al periodo preistorico che raccoglie oggetti del territorio bolognese dal Paleolitico all’età del Bronzo. Alla d. dell’ingresso inizia l’esposizione dei manufatti del Paleolitico Inferiore, fra cui notevoli esemplari di bifacciali e strumenti di tecnica Levallois (300.000 anni fa).

    Seguono i materiali di età neolitica, ceramiche e selci ascrivibili alla Cultura di Fiorano, oltre a una pregevole raccolta di strumenti in pietra levigata. Sono attribuibili al successivo periodo eneolitico i corredi funerari che presentano oggetti in selce (pugnali, cuspidi di freccia), ceramica e anche le più antiche armi realizzate in metallo e, sul lato opposto della sala, vasi per attingere e versare, rinvenuti all’interno di pozzo sfruttato soprattutto durante l’Eneolitico (località Panighina, Bertinoro).

    Nelle vetrine successive è documentata l’età del Bronzo (2200-900 a.C.): ripostigli di asce in bronzo (Rocca di Badolo e Camugnano), numerose ceramiche della grotta del Farneto, materiali dai grandi abitati terramaricoli di Bazzano, Rastellino, Castelfranco (vasellame con decorazioni plastiche, oggetti in osso e corno lavorato) e urne cinerarie dalla necropoli di Pragatto (Crespellano). Segue l’esposizione degli insediamenti di Trebbo Sei Vie (Castenaso) e Toscanella (Dozza); si notino i bronzi (asce, spilloni, pugnali), le forme di fusione e un ugello di mantice.

    Chiudono la sezione i siti di Borgo Panigale (coppia di dischi aurei) e di Villa Cassarini, posto sui rilievi collinari a ridosso dell’area che sarà in seguito occupata dalla Felsina etrusca. A destra la sala II (sezione dei confronti preistorici): oggetti dell’età della Pietra e del Bronzo, da varie regioni italiane, europee ed extraeuropee, frutto di doni e scambi operati dal Museo ed esposti a scopo di comparazione scientifica.

    BOLOGNA ETRUSCA. Nell’ultima sezione della sala I ha inizio l’esposizione dedicata allo sviluppo della Bologna etrusca, la Fèlsina delle fonti antiche, ricordata come princeps Etruriae, capitale dell’Etruria del nord (sale I, Xa, X, Xb).

    In sala I si può seguire la formazione dell’insediamento etrusco, a partire da piccoli villaggi autonomi fino alla nascita di un grande insediamento unitario (IX-VII secolo a.C.) e alla successiva strutturazione urbana. Il percorso è cronologico e al tempo stesso tematico e illustra i principali aspetti della vita quotidiana delle comunità antiche: le abitazioni e le attività domestiche, le risorse naturali e le pratiche agricole, le produzioni artigianali e gli scambi, la cerimonialità religiosa.

    Nella vetrina centrale sono raccolte le più importanti attestazioni di culto della città (santuario di Villa Cassarini) e del territorio (depositi votivi di Monteguragazza e di Monte Capra), fra cui si segnalano il bel bronzo raffigurante Eracle e due pregevoli statuette di devoti del secolo V a.C. Varcando la porta ci si trova nella sala Xa dove il percorso su Bologna etrusca continua attraverso i reperti delle ricchissime necropoli di età villanoviana, prima fase della storia etrusca. Sulla destra invece si apre la sala III dedicata al Villanoviano di Verucchio.

    Qui sono esposti alcuni corredi funerari provenienti da Verucchio, uno dei due grandi centri, insieme a Bologna, della cultura villanoviana in Emilia, conosciuto già nell’Ottocento per il ritrovamento di circa 200 tombe databili dal IX al VII secolo a.C.; una esemplificazione di questi corredi è esposta nelle due vetrine laterali. Le ricerche sistematiche riprese nel 1970 hanno portato alla luce alcune tombe del periodo orientalizzante (fine VIII-VII secolo a.C.), che costituiscono una delle scoperte più importanti della protostoria italiana, soprattutto per la presenza degli arredi e della suppellettile di legno e di materiale organico.

    Nella grande vetrina centrale è esposta la tomba 85 della necropoli Lippi, appartenuta a un personaggio di elevato rango sociale e costituita da un grande pozzo in fondo al quale si apriva la camera funeraria che, riempitasi d’acqua e in condizioni di terreno particolarmente favorevoli, ha consentito l’eccezionale conservazione dei materiali organici (legno, stoffa, vimini, cuoio ecc.) che abitualmente vanno perduti.

    Sontuosamente decorati da fitti intagli e ravvivati originariamente dal colore, gli arredi di legno sono la testimonianza di un complesso rituale funerario che esaltava, con esuberante evidenza, la dignità principesca del defunto. Di particolare interesse l’elmo in vimini, ornato da dischi e borchiette di bronzo, tipologia diffusa nell’Italia nord-orientale e nella zona delle Alpi e il fodero in legno di un coltello che potrebbe suggerire una funzione sacerdotale del defunto. Tornando alla sala Xa troviamo esposti i reperti che appartengono alla fase più arcaica della civiltà etrusca di Bologna, detta Cultura villanoviana dal luogo dei primi ritrovamenti (Villanova di Castenaso), sviluppatasi fra il IX e l’inizio del VII secolo a.C.

    Questi oggetti provengono dalle numerose necropoli scavate nelle immediate vicinanze del centro cittadino fra la fine dell’800 e l’inizio del ’900, e sono esposti raggruppati per corredo funerario, in ordine topografico e cronologico, distinti secondo i vari nuclei sepolcrali, che prendono il nome dai luoghi o dai proprietari dei terreni in cui furono scavati. Nella vetrina parietale e nelle vetrine centrali (1-4bis) sono documentate le necropoli relative ai primi villaggi, in cui prevalgono sepolture della fase più arcaica (IX-inizi VIII secolo a.C.) tutte a cremazione.

    I corredi (insieme degli oggetti che accompagnava il defunto nella tomba) comprendono fibule ad arco semplice, armille, rasoi semilunati, elementi decorativi di ambra; notevole un cinturone di corno di cervo decorato a cerchielli e il cavallino su ruote, giocattolo o elemento rituale.

    Alcune di queste tombe sono esposte lungo le pareti, ancora racchiuse nella tipica cassetta di lastre di arenaria oppure nel loro pozzetto di ciottoli, come furono rinvenute dagli scavatori. Con le vetrine 5-8 comincia l’esposizione dei corredi delle necropoli relative al grande insediamento unitario (dal secolo VIII a.C.).

    I corredi funebri, ora più ricchi e diversificati, comprendono materiali di ornamento (fibule, spilloni, braccialetti ecc.), morsi da cavallo, asce, cinturoni; si noti in particolare il corredo della tomba Benacci Caprara 39, appartenente a un signore aristocratico accompagnato dalle armi e da un ricco servizio da banchetto. Si entra nella sala X ove, proseguendo verso destra (vetrine 9-14) si trovano i corredi delle necropoli che meglio documentano la fase recente del Villanoviano (pieno VIII secolo a.C.).

    Caratteristico lo sviluppo della metallotecnica: cinerari di bronzo a imitazione di quelli fittili, situle, presentatoi (specie di vassoi su piede con piccole ciotole). Fra le ceramiche, notare alcune coppe ad alto piede a verghette e con anelli imitanti i prodotti metallici. Importante l’askos Benacci (vetrina 9), a forma di animale fantastico con piccolo guerriero, che costituisce uno dei rari esempi di plastica del Villanoviano bolognese. La fase che segna il passaggio dalla Cultura villanoviana alla successiva fase Orientalizzante (sec. VII-inizi VI a.C.), è documentata dalle stele funerarie esposte nell’angolo destro del vasto salone.

    Prevalentemente di forma antropoide, con decorazioni a bassorilievo probabilmente in origine ravvivate dalla pittura: fra esse spiccano la pietra Malvasia, con due animali rampanti, primo esempio di grande scultura a tutto tondo orientalizzante, e la stele Zannoni.

    Nella vetrina affiancata alle stele notare l’anforetta di terracotta, proveniente dalla necropoli Melenzani, databile tra la fine del vii e gli inizi del VI secolo a.C.; il vasetto, di un tipo molto frequente nei corredi villanoviani, presenta una lunga iscrizione etrusca, che prova la piena adozione della scrittura da parte degli Etruschi di Bologna.

    Dal fondo della sala X si entra nella sala Xb, in cui è esposto il ripostiglio di S. Francesco: 14 838 bronzi trovati nel grande dolio, collocato al centro dell’ambiente, rinvenuti nel 1877 nella piazza S. Francesco a Bologna e interpretati come deposito di una fonderia; gli oggetti (soprattutto asce e fibule, ma anche falci, pennati e altri attrezzi spezzati e destinati alla rifusione) sono per la maggior parte databili fra il IX e l’inizio del VII secolo a.C. Di nuovo nella sala X, si continua con materiali del Villanoviano evoluto e dell’Orientalizzante esposti nelle vetrine 15-25.

    Caratteristiche della fase Orientalizzante le numerosissime ceramiche decorate a stampigliatura con motivi geometrici e anche con figurette umane schematiche; abbondanti i bronzi laminati (situle, ciste, attingitoi); numeroso e vario il materiale in vetro, osso, ambra, ecc.; frequenti gli oggetti di ferro. Fra gli ornamenti si notino le fibule ‘a drago’ di piccole e grandi dimensioni.

    Nelle vetrine 24 e 25 sono esposti i corredi più rilevanti dell’Orientalizzante bolognese, e in particolare il ricco e prezioso corredo della tomba degli Ori dell’Arsenale militare, databile alla fine del vii sec. a.C., costituito di numerosi oggetti di ornamento in oro, ambra, pasta vitrea e da un tintinnabulo in lamina bronzea sbalzata con scene di filatura e tessitura. Interessante il calco degli scheletri di una coppia di cavalli, ancora con i morsi indossati, sacrificati nella necropoli di via Belle Arti.

    La vetrina parietale 26 presenta reperti, spesso decontestualizzati, che testimoniano le prime fasi della presenza etrusca nel territorio intorno a Bologna. Si notino in particolare i reperti da Villanova di Castenaso, frutto degli scavi pionieristici di Giovanni Gozzadini, da cui deriva il termine Villanoviano. Il percorso prosegue nella parte successiva della grande sala X che conserva pressoché intatto l’originario allestimento ottocentesco.

    Qui la ricchissima serie di materiali provenienti dalle necropoli etrusche della fase tipo Certosa o felsinea (metà VI-inizi IV secolo a.C.), è esposta, lungo tutta la sala, secondo un ordine sia topografico – nelle vetrine della spina centrale, a partire dalle necropoli della zona occidentale (Arnoaldi, Aureli, De Luca, Battistini, Certosa) alle altre (via del Cestello, Giardini Margherita, Tamburini, S. Michele in Bosco, via dei Mille) – sia tematico, nelle vetrine parietali.

    Fra gli oggetti di corredo di queste tombe, sia a inumazione che a incinerazione, primeggiano i vasi attici dipinti che gli Etruschi ottenevano dai mercanti ateniesi per scambi commerciali. Si notino, nelle vetrine singole a sinistra, il grande cratere a volute a figure rosse con scene della distruzione di Troia e due anfore panatenaiche decorate con la tecnica più arcaica delle figure nere; di fronte, nella prima vetrina centrale, l’anfora attribuita al pittore di Andokides, che presenta un lato decorato a figure nere e l’altro con la tecnica più recente delle figure rosse; in una vetrina a metà della sala, il cratere Aureli a figure rosse, con scene di amazzonomachia, capolavoro della ceramica attica che riecheggia la grande pittura polignotea, del tutto perduta; al termine della prima vetrina centrale (vetrina 6), lo splendido cratere a figure rosse con il mito di Atalanta e Ippomene.

    Da notare, ancora, il bel vasellame di bronzo, i candelabri con statuette terminali, i vasetti di alabastro e di vetro, gli oggetti vari di ornamento, fra cui le fibule con la staffa a bottone, i dadi d’osso e d’avorio. In fondo alla sala, a sinistra, anfora di vetro verde, di eccezionale importanza per rarità e tecnica, e sgabello d’avorio. All’inizio del salone, al centro, il corredo della tomba N. 68 della Certosa comprende una situla di bronzo istoriata a sbalzo a zone sovrapposte (scene di vita militare, usanze funerarie ecc.) degli inizi del VI secolo a.C., importantissimo documento per ricostruire aspetti della vita aristocratica, da mettere in relazione con l’arte delle situle diffusa nel Veneto, in Istria e nelle zone transalpine.

    Al centro della parete in fondo, il più ricco corredo delle necropoli etrusche bolognesi, proveniente dalla Tomba Grande dei Giardini Margherita: ceramiche attiche, bronzi etruschi – tra cui un bellissimo candelabro sormontato da una donna con fanciullo – e un portafiaccole con graziose figurine di schiavi dormienti.

    Lungo tutta la parete di fondo e quella prospiciente il cortile si allineano numerosissimi monumenti funerari felsinei, cippi e stele, queste ultime decorate spesso con scene a rilievo alludenti al viaggio del defunto agli Inferi e ai giochi funebri celebrati in suo onore: notare la stele di Vel Kaikna, che reca il nome del titolare; stele con una belva che allatta un bambino; altra stele, la cui scena inferiore, già interpretata come combattimento tra un Etrusco e un Gallo e ispirata all’invasione dei Galli (principio del IV secolo a.C.), rappresenta forse giochi funebri in onore di un defunto.

    BOLOGNA GALLICA. Sala XI. Vengono qui esposti i corredi funerari delle tombe rinvenute a Bologna tra la metà del iv e l’inizio del II secolo a.C., in cui sono stati riconosciuti materiali appartenenti a quelle tribù celtiche che all’inizio del IV secolo a.C. si stanziarono nel territorio bolognese.

    Nelle tombe maschili viene deposto l’armamento del guerriero insieme a vasellame in ceramica e bronzo di fabbricazione etrusca, come nel caso della tomba Benacci 953 con corona aurea (vetrina 4). Integrano l’esposizione due corredi funerari della necropoli di Monte Tamburino (Monterenzio; vetrina 6), per documentare la presenza celtica nel territorio appenninico, e la tomba di guerriero di Ceretolo (Casalecchio) con una pregevole brocca in bronzo con ansa configurata (vetrina 7).

    BOLOGNA ROMANA. Sala XII. La sala espone un percorso alla scoperta di Bononia, colonia latina dedotta nel 189 a.C. La storia della città romana viene ripercorsa nei suoi aspetti principali – gli edifici pubblici, il sistema delle acque, le abitazioni, le officine produttive, le necropoli – attraverso i materiali provenienti dagli scavi urbani.

    Dall’antica basilica adiacente al Foro si segnalano le antefisse con testa di Gorgone (fine II–inizio I secolo a.C.) e il frammento di testa-ritratto raffigurante forse Ottavia, sorella dell’imperatore Augusto (vetrina 1). Di forte impatto anche i grandi mosaici con motivi geometrici e figurati (due addossati alle pareti della sala, uno a terra che conserva la tecnica costruttiva in sezione) pertinenti alla decorazione pavimentale di due ricche domus e di una villa rustica. Da contesti abitativi provengono vasellame, utensili ed elementi di arredo che si trovavano nelle stanze e sulle tavole delle domus (vetrina 3).

    Dai contesti funerari, prevalentemente a incinerazione, derivano corredi solitamente modesti (vetrina 5), che giacciono in semplici strutture sormontate da una lapide. A un monumento funebre di maggiore importanza apparteneva invece il rilievo in arenaria con scena gladiatoria (I secolo a.C.), posto nella parete a sinistra della vetrina 1.

    GIPSOTECA. Si torna indietro alla sala XA e, attraverso la sala III, si passa, nelle sale IV-IX. Nella sala IV sono raccolte copie in gesso delle più famose sculture greche e romane, già costituenti l’apparato didattico dell’Istituto di Archeologia dell’Università che aveva sede proprio nel museo. Parte di questa collezione è visibile anche al piano terra, nella sala adibita all’accoglienza e al bookshop.

    SEZIONE GRECA. Al centro della sala V è esposta la testa Palagi (di età augustea), pregevole copia in marmo dell’Atena Lemnia, opera in bronzo di Fidia, andata perduta; agli angoli della sala, vetrine tematiche con oreficerie greche, etrusche e romane (notare: una rosetta d’oro lavorata a granulazione, di arte rodia; porzione di vaso d’argento con scene a sbalzo allusive al culto di Artemide, lavoro ellenistico-romano da modelli attici del I secolo a.C.), una bella raccolta di gemme di epoca antica e moderna e una ricca esemplificazione di statuette in terracotta e di elementi fittili architettonici.

    Alle ceramiche sono dedicate le vetrine parietali della successiva sala VI; nella vetrina angolare in basso: esemplari corinzi; lunga vetrina parietale: ceramiche attiche, tra cui una bella anfora a figure nere firmata dal ceramista Nicostene (fine del VI sec. a.C.) e un gruppo di lekytoi attiche a fondo bianco; segue una esemplificazione di ceramiche italiote figurate di scuola lucana, campana e apula; la vetrina prosegue oltre la porta ed è in gran parte dedicata alla produzione apula figurata, a vernice nera e alla ceramica di Gnathia. Nella vetrina centrale, alcuni splendidi esemplari di kylikes attiche a figure rosse, tra cui la famosa tazza di Codro (metà del V secolo a.C.).

    Lungo la parete opposta alle vetrine, rilievi di epoca ellenistica; erma barbata con sentenze epicuree iscritte; replica dello Pseudo Seneca; bassorilievo sepolcrale attico del V secolo a.C. e sulla colonna un bel ritratto di filosofo, su modello di un originale greco della metà del IV secolo a.C. Si passa nella sala VII dedicata alla scultura romana (opere in parte copie di originali greci): da notare, a destra, la testa colossale di Marco Antonio e, in alto, sei busti in porfido rosso (fine XVI-inizi XVII secolo) con altrettanti ritratti sia di epoca romana che imitazioni dell’antico.

    SEZIONE ETRUSCO-ITALICA. La sala VIII raccoglie materiali per lo più di collezione e dal mercato antiquario, riconducibili agli Etruschi e alle altre genti che popolarono la penisola italiana prima della dominazione romana. Gli oggetti sono esposti per aree tematiche: partendo da sinistra, appartengono alla sfera dell’esercizio della guerra i cinturoni di tipo italico (V-IV secolo a.C.) e l’elmo corinzio (fine VII-VI sec. a.C.).

    Alla sfera della cura del corpo e dell’ornamento personale fanno riferimento specchi, fibule, bracciali, collane, pendenti, in buona parte provenienti dal mondo etrusco, piceno e centro-italico, ma anche dal mondo celtico nord-italico (in particolare i bracciali di vetro); al tema del banchetto e del consumo del vino sono ascrivibili il vasellame in bronzo e in ceramica, tra cui un cospicuo gruppo di vasi in bucchero, e gli arredi bronzei, tra i quali i candelabri. Nelle vetrine di fondo, che approfondiscono la tematica del mito, si segnalano gli specchi etruschi di bronzo, tra cui uno raffigurante la nascita di Minerva (la cosiddetta patera cospiana, seconda metà del IV secolo a.C., vetrina C), la bella kelebe (vaso per la preparazione del vino) volterrana (vetrina D) e un rilievo funerario che rappresenta un Boreade, figlio del dio del vento, in volo (base E).

    Proseguendo a destra, al culto funerario si riferiscono i vasi canopi, particolare tipologia di ossuari di provenienza chiusina, mentre agli aspetti religiosi e votivi afferiscono i numerosi bronzetti a figura umana e gli ex voto di tipo anatomico in terracotta. Il basamento al centro della sala ospita due urne volterrane in alabastro (III-II secolo a.C.) e statue votive in terracotta, raffiguranti il dedicante, provenienti da Veio (fine IV-III secolo a.C.).

    SEZIONE ROMANA. Si ritorna nella sala VII e si passa a sinistra nella sala IX. Nelle due vetrine parietali e in quella centrale gli oggetti sono esposti secondo un percorso tematico, che prende in considerazione i vari aspetti della vita quotidiana pubblica e privata romana. Il percorso comincia, nella vetrina parietale piccola, con la vita nella casa (domus) romana esemplificata, prima, dal vasellame da mensa e da cucina, in ceramica, bronzo e vetro, poi dagli strumenti di illuminazione, le lucerne in terracotta e bronzo.

    Si prosegue, nella vetrina parietale grande, con gli oggetti dell’arredamento e lo strumentario domestico, per passare poi alla superstizione, ai culti religiosi e a quelli funerari, attestati i primi da diversi bronzetti di divinità, i secondi da corredi tombali. Più avanti sono esposti numerosi materiali connessi a diversi mestieri e al commercio, tra cui una ricca collezione di pesi da bilancia. Nella parte più alta di questa vetrina trovano spazio alcune tavolette, dove sono disposti in serie oggetti tra loro affini per tipo e funzione, che danno conto della ricchezza della collezione.

    La vetrina centrale è dedicata, in basso, ai frammenti di tegole con i bolli delle relative fornaci; nella parte superiore, alla monetazione romana, con un grande pannello che offre una galleria di ritratti imperiali; alla cura e all’ornamento personale e, da ultimo, alla fase tardo-antica, dove si notino una pisside eburnea con scene relative al mito di Bacco (V secolo) e i vetri cristiani con busti e figure in lamina d’oro (IV secolo). Sulla base C ara marmorea da Boncellino (Bagnacavallo). Sulle basi lungo la parete teste e sculture marmoree di arte romana e frammenti di un rilievo con scene di panificazione.

    SEZIONE EGIZIA. Si ritorna nell’atrio e si scende al piano interrato. Attraversata la sala I, a carattere introduttivo, le sale II e III sono dedicate a un nucleo di rilievi tombali provenienti dalla necropoli di Saqqara, situata a una trentina di chilometri a sud del Cairo e meglio nota per la piramide a gradoni del sovrano Gioser.

    Particolare attenzione meritano i cinque rilievi parietali in calcare, con tracce di pittura, dalla tomba di Horemheb, comandante in capo dell’esercito e poi ultimo sovrano della XVIII dinastia; quattro rilievi provenienti dalle corti esterne della tomba tramandano scene di vita quotidiana all’interno di un accampamento militare, mentre un rilievo, che era collocato in origine nella principale cappella di culto, mostra Horemheb nei campi agricoli dell’oltretomba (capitolo 110 del Libro dei morti).

    Alla stessa epoca risale il pilastro-lesena a nome del coppiere reale Ptahemwia, la cui tomba è stata riscoperta nel 2007 a pochi metri di distanza da quella di Horemheb. Statue, tra le quali numerose sono attribuibili a sovrani, stele, vasellame, ushabti (statuette funerarie), vasi canopi, sarcofagi, monili, bronzetti sono ordinati in sequenza cronologica, dall’Antico Regno all’epoca tolemaico-romana, nelle vetrine della sala IV.

    Tra i reperti dell’Antico Regno, esposti nella prima vetrina a sinistra, si segnalano la statua di un funzionario di corte anonimo (fine IV-inizi V dinastia) e alcuni raffinati contenitori in pietra dura, mentre a destra la stele a falsa porta di Sameri (fine V dinastia). Al Medio Regno risalgono due rari sarcofagi a cassa dalla vivace policromia e, a destra, la statuetta del faraone Neferhotep I (XIII dinastia), con dedica al dio coccodrillo Sobek adorato nella città di Shedet, nell’oasi del Fayum.

    Tra le numerose stele attribuibili alla stessa fase storica merita attenzione la stele di Aku, il maggiordomo della divina offerta (XII-XIII dinastia), dedicata a Min-Hor-Nekhet (Min-Horo-il possente), una forma del dio Min adorata ad Abido. Numerose le testimonianze del Nuovo Regno; il raffinato manico di specchio in legno e avorio, che rappresenta una fanciulla con uccellino in mano; la statua in alabastro con tracce di pittura del sommo sacerdote di Amon Hapuseneb, architetto della regina Hatshepsut (XVIII dinastia); le teste regali attribuite a Thutmosis III e ad Amenhotep III (XVIII dinastia) e un gruppo di ushabti del faraone Sety I (XIX dinastia), uno dei quali di grandi dimensioni e in faïence, che impreziosiscono il consistente nucleo di statuette funerarie della collezione.

    Tra i reperti di Epoca Tarda, spicca al centro della sala il sarcofago antropoide della dama di corte Tashakheper (XXV-XXVI dinastia), appartenente a una importante famiglia sacerdotale tebana; nelle vetrine a sinistra un raro elemento decorativo in legno, originariamente completato con vetri policromi, a nome del poco noto faraone Petubasti Seh(er) ibra (XXVII dinastia); in fondo alla sala, a destra, la testa del faraone Apries (XXVI dinastia), considerata il migliore ritratto esistente di questo sovrano, e il rilievo del faraone Nectanebo I (XXX dinastia), proveniente dall’area templare di Eliopoli anche se rinvenuto a Roma ai primi del Settecento.

    Nella sala V si svolge un itinerario tematico dedicato alla ricca raccolta di amuleti, alla scrittura (papiri, tavolette e statua di scriba) e al corredo funerario di Usai, figlio di Nekhet, del quale si conservano mummia, sarcofago interno antropoide e sarcofago esterno a cassa con pilastrini angolari e coperchio a volta (fine XXV-inizi XXVI dinastia).

    Di recente acquisizione un significativo nucleo di reperti vicino-orientali che include figurine fittili, chiodi e tavolette iscritte in caratteri cuneiformi.

  • Complesso di S. Maria della Vita Bologna (BO)

    Nella zona retrostante piazza Maggiore, in cui si addensano esercizi commerciali e dove la toponomastica ricorda le attività artigianali che qui si svolgevano fin dall’epoca medievale, si trova il santuario di S. Maria della Vita, ricostruito da G.B. Bergonzoni (1687-90), e da lui impostato su una pianta centrale ellittica, che si risolve in altezza mediante la cupola eretta da Giuseppe Tubertini (1787); la facciata è del 1905.

    Il santuario è parte del più antico ospedale della città, l’Ospedale della Vita, ed è uno dei siti del sistema museale Genus Bononiae della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna.

    Nell’interno, la cappella a destra dell’altare maggiore accoglie il superbo Compianto su Cristo morto, gruppo statuario in terracotta di Niccolò dell’Arca (1463), originariamente policromato e formato dal Cristo circondato da sei figure di ploranti a grandezza naturale.

    Annesso al santuario è l’oratorio omonimo, disegnato da Floriano Ambrosini (1617). All’altare, Madonna col Bambino e santi del Nosadella (1550 c.). Di fronte, Transito della Madonna, bellissimo gruppo di 14 statue in terracotta di Alfonso Lombardi (1522).

    Notevoli anche le altre statue nelle nicchie delle pareti, opera di Alessandro Algardi (S. Procolo e S. Petronio) e di Giulio Cesare Conventi (S. Francesco e S. Domenico). Alcune sale ospitano il piccolo Museo della Sanità e dell’Assistenza, dove sono raccolti gli oggetti relativi alla storia del santuario di S. Maria della Vita e della confraternita religiosa dei Battuti.

    Sono esposti dipinti, arredi e paramenti sacri dei secoli XVII-XVIII. Appartengono alla collezione anche oggetti dell’antica farmacia, tra i quali 150 albarelli e una bilancia settecentesca.

  • Archiginnasio Bologna (BO)

    Nel portico del Pavaglione è l’ingresso all’Archiginnasio, sede dello Studio bolognese dal 1563 al 1803, e, a partire dal 1835, della Biblioteca comunale. Commissionato nel 1561 da papa Pio IV e impostato su programma del cardinale legato Carlo Borromeo (affiancato da Pier Donato Cesi), originariamente l’edificio (restaurato nel 2003) rispondeva all’esigenza di ricomposizione spaziale delle scuole dei legisti e di quelle degli artisti, fino a quel momento dislocate in aree distinte della città.

    Venne progettato da Antonio Morandi nel 1562-63, che ristrutturò le preesistenti scuole di S. Petronio, realizzando un edificio specialistico la cui tipologia doveva soddisfare sia a funzioni didattiche (alloggiate al piano superiore) che commerciali (le botteghe al piano terreno).

    Il fronte, ritmato da 30 archi su 31 colonne di macigno, si sviluppa in lunghezza (139 m) su due piani e si apre, al centro, in un atrio che mette in una corte interna. Lungo le pareti, a cominciare dall’atrio, poi nel cortile, nelle scale, nei corridoi e nelle aule, sono distribuiti 7.000 stemmi (affrescati o in rilievo policromo tra decorazioni a colori) di scolari, capi delle corporazioni studentesche, rettori, priori e altri personaggi che frequentarono lo Studio nei secoli XVI-XVII, nonché molte memorie lapidarie, alcune unite a dipinti notevoli.

    Questa singolare raccolta araldica rimase fortunatamente salva dalla distruzione decretata dal governo repubblicano nel 1797. Nel fondo del cortile la costruzione ingloba l’ex chiesa di S. Maria dei Bulgari, già cappella dello Studio; conserva all’interno una Annunciazione di Denijs Calvaert (1582) e resti di affreschi di Bartolomeo Cesi (1594), staccati e riportati sulla parete.

    Delle due scale che si disimpegnano dalla corte, quella a destra conduceva alle scuole dei legisti, quella a sinistra alle scuole degli artisti, entrambe dotate di aula magna, oggi rispettivamente sala dello Stabat Mater (il nome è legato alla prima esecuzione italiana dello Stabat Mater rossiniano, qui diretto da Gaetano Donizetti nel 1842) e sala di lettura della Biblioteca comunale.

    Questa, detta appunto dell’Archiginnasio, fu aperta al pubblico nel 1801 e sistemata nella sede attuale nel 1835; conta un patrimonio di più di 800.000 volumi, 12.000 manoscritti, tra cui una notevole collezione sulla storia cittadina, più di 25.000 lettere di uomini illustri e molte migliaia di documenti, carte geografiche e stampe.

    Annessi alla Biblioteca sono la Libreria e l’Archivio Gozzadini, importanti soprattutto per la storia di Bologna. Sempre al primo piano, sul lato est della corte centrale è il teatro anatomico che, costruito su progetto di Antonio Paolucci detto il Levanti (1638-49), crollò a causa dei bombardamenti del 1944 e in seguito fu ricomposto

     Il baldacchino della cattedra del lettore è sostenuto da due figure dette gli spellati in legno di tiglio, che portano la data 1734 e la firma del ceroplasta dell’Istituto delle Scienze Ercole Lelli, ma che sono stati eseguiti, su modello di questi, da Silvestro Giannotti, autore pure delle statue lignee raffiguranti i Maestri della Medicina collocate nelle nicchie della sala.

  • Piazza Galvani Bologna (BO)

    In corrispondenza dell’Archiginnasio si allarga la piazza Galvani, ricorrente punto di osservazione da parte dei vedutisti dell’abside seicentesca di S. Petronio. Aperta nel 1563-64, accoglie il monumento al bolognese Luigi Galvani, ritratto mentre disseziona una rana per i suoi studi sull’elettricità animale, marmo di Adalberto Cencetti (1879).

  • Corte de' Galluzzi Bologna (BO)

    Un voltone da piazza Galvani immette nella corte de’ Galluzzi, insieme ben rappresentativo di quella che era un’area consortile, articolata e difesa rispetto all’esterno. La torre (alta circa 32 m) risale al 1257.

    La cappella gentilizia a pianta centrale, poi chiesa di S. Giovanni dei Fiorentini, è stata trasformata in negozio (via d’Azeglio N. 30). Al piano superiore (accesso al N. 6 della corte) è l’oratorio di S. Giovanni Battista dei Fiorentini, costruito a metà del XVI secolo, ristrutturato nel 1668; ha volta affrescata da Mauro Aldrovandini e Domenico Baroni (1668-71) e begli affreschi parietali di Giuseppe Rolli e Paolo Guidi (1699).

  • Piazza dei Celestini Bologna (BO)

    Si apre sulla zona pedonalizzata di via Massimo d’Azeglio. Vi si affacciano la cinquecentesca chiesa di S. Giovanni Battista dei Celestini (dietro l’altare maggiore, Madonna e santi di Marcantonio Franceschini, 1688) e l’ex convento dei monaci celestini, ora sede dell’Archivio di Stato, dove sono conservate importantissime serie di documenti, che rispecchiano la vita e le vicende storiche della città e della provincia.

    Notevoli: gli atti dell’antico Comune, dell’Università degli Studi, del Governo pontificio e della dominazione francese; inoltre i protocolli dei notai pubblici e ricchi fondi provenienti da conventi soppressi e da archivi privati.

  • Chiesa di S. Giovanni Battista dei Celestini Bologna (BO)

    Ricostruita nel 1535 sulla preesistente del XIII secolo. Facciata e sagrestia sono del 1765, su disegno di Francesco Tadolini.

    L’interno si presenta a una navata coperta da volte a crociera, con storie di S. Pietro Celestino, dipinte da Giacomo Boni e Giacinto Garofalini, entro quadrature di Luca Bistega (1714). Ai lati dell’ingresso, S. Benedetto e S. Scolastica, grandi busti in terracotta di Giuseppe Mazza.

    Al 1° altare destro, Noli me tangere di Lucio Massari; dietro l’altare maggiore, Madonna e i Ss. Giovanni Battista, Luca e Pietro Celestino di Marcantonio Franceschini (1688); le sculture dell’altare sono del Mazza, mentre gli affreschi della volta sono di Giovanni Antonio Burrini, con ornati di Enrico Haffner (1688); al 1° altare sinistro, la Beata Irene toglie le frecce dal corpo di S. Sebastiano del Mastelletta.

  • L'Ombra di Lucio Bologna (BO)

    Spicca sulla cui facciata di casa Fontana Gamberini L’Ombra di Lucio (Mario Martinelli, 2013), un'installazione in rete metallica dedicata a Lucio Dalla, in corrispondenza dell’appartamento che fu del cantautore e che oggi ospita la Fondazione a lui dedicata.

  • Teatro Romano Bologna (BO)

    Nell’area compresa tra il vicolo Spirito Santo, la piazza de’ Celestini e la via Carbonesi (quest’ultima corrispondente al limite S di Bononia) scavi conclusi nel 1985 hanno messo in luce ampi settori del Teatro romano, costruito intorno all’80 a.C., quando Bononia ricevette la cittadinanza romana.

    La cavea poggiava su un terrapieno contenuto da concamerazioni radiali. I muri sono eseguiti in un opus incertum a vista, formato da piccoli elementi in arenaria. In età augustea fu rifatta la scena che doveva arrivare quasi a piazza de’ Celestini.

    Verso la metà del I secolo d.C., probabilmente nell’ambito degli interventi di Nerone a favore di Bononia colpita da un incendio (un torso marmoreo riferito all’imperatore, ora nel Museo civico Archeologico, venne rinvenuto in piazza de’ Celestini), la cavea fu ampliata con l’aggiunta di un giro di muri radiali in opus quadratum di selenite, in gran parte asportata per reimpiego quando, nella seconda metà del IV secolo, il teatro cessò le sue funzioni.

  • Oratorio del S. Spirito Bologna (BO)

    L'Oratorio del S. Spirito, o dello Spirito Santo, fu costruito dai monaci Celestini (1481-97). La facciata in cotto (prospettante su via Val d’Aposa), limpido esempio di decorazione rinascimentale, è stata oggetto di restauri e abbellimenti da parte di Alfonso Rubbiani (1892-93).

    All’interno sono visibili resti romani di un’area pavimentata a grandi basoli su cui poggia un pilastro angolare, interpretato come parte di un arco quadrifronte collegato con l’accesso all’adiacente teatro; inoltre, un tratto delle mura di selenite che cinsero la città alla fine dell’età antica.

  • Chiesa di SS. Salvatore Bologna (BO)

    La chiesa di SS. Salvatore fu sede dei canonici di S. Maria di Reno che, fin dal XII secolo, promossero lo sviluppo delle zone circostanti attraverso l’istituto dell’enfiteusi. Nel 1605 Tommaso Martelli iniziò i lavori di rinnovo che, portati a termine da Giovanni Ambrogio Mazenta nel 1623, risparmiarono il campanile romanico. La facciata in mattoni sagramati e macigno arretra per elevarsi con un solenne impaginato di stampo classicista. L’interno, che si ispira a una sala termale, è a navata unica con colonne libere.

    Al centro, una lapide sul pavimento segnala la tomba del Guercino e del fratello, Paolo Antonio Barbieri, pure pittore. Nella 2a cappella destra, Risurrezione di Cristo del Mastelletta. Nella 3a, Madonna col Bambino, detta della Vittoria, di Simone dei Crocifissi. Nel transetto destro, campeggia sulla parete il polittico dell’Incoronazione della Vergine di Vitale da Bologna (1353).

    Al centro dell’abside, il Salvatore di Francesco Gessi su disegno di Reni (1620). Nel transetto sinistro, sull’altare Sacra famiglia di Alessandro Tiarini; sulla parete destra, bella acquasantiera del Cinquecento e S. Girolamo di Carlo Bononi. Nella 3a cappella sinistra, Crocifisso e santi di Innocenzo da Imola (1539); nella 2a, grande Ascensione del Bononi; nella 1a, S. Giovanni Battista si accommiata dal padre, del Garofalo (1532).

  • Palazzo Marescalchi Bologna (BO)

    Del 1613, racchiude un grandioso salone e attigue stanze con dipinti di Pellegrino Tibaldi, Guido Reni, Francesco Brizzi e Giacomo Cavedoni.

  • Chiesa dei SS. Gregorio e Siro Bologna (BO)

    La facciata tripartita e le volte della chiesa dei SS. Gregorio e Siro furono ricostruite da Angelo Venturoli nel 1780, adattandole alla fabbrica rinascimentale (1532-35); il campanile non è altro che la torre gentilizia dei Ghisilieri, trasformata nell’uso a partire dal 1532.

    Nell’interno, a navata unica: al 2° altare destro, Assunzione della Vergine di Camillo Procaccini (1582); all’altare maggiore, Miracolo del corporale di S. Gregorio di Denijs Calvaert (1581); al 4° altare sinistro, Battesimo di Cristo, capolavoro dell’attività giovanile di Annibale Carracci (1584-85); al 2°, S. Giorgio e il drago e l’arcangelo Michele che scaccia i demoni, di Ludovico Carracci; all’interno della chiesa si trova la tomba del fisico e biologo Marcello Malpighi. All’esterno è stato collocata di recente il monumento a Ugo Bassi (Carlo Parmeggiani, 1888).

  • Complesso di S. Colombano e Collezione Tagliavini Bologna (BO)

    Il complesso di S. Colombano, tra le più antiche chiese di Bologna fondata secondo la tradizione nel 616, ricordata in un documento del 1073 e recentemente restaurata, fa parte del sistema museale Genus Bononiae della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna.

    Ospita dal 2010 la collezione di strumenti musicali antichi donata dal maestro Luigi Ferdinando Tagliavini e la biblioteca specializzata del musicologo bolognese Oscar Mischiati, ampliata nel 2019 con l’aggiunta della biblioteca musicale del maestro Tagliavini e, nel 2021, di quella del maestro Liuwe Tamminga.

    La collezione, unica per pregio e numero dei pezzi, è costituita da circa 90 strumenti tra clavicembali, spinette, clavicordi, pianoforti, organi e da una raccolta di strumenti a fiato e popolari risalenti ai secoli XVI-XIX, di scuole sia italiane sia europee.

    Tra le italiane primeggiano quella bolognese e quella napoletana, con organi e clavicembali del XVII-XVIII secolo e pianoforti ottocenteschi; tra le europee, clavicembali e spinette dei secoli XVI, XVII e XVIII.

    Spiccano un clavicembalo-pianoforte a due tastiere di Giovanni Ferrini (1746), allievo dell’inventore del pianoforte Bartolomeo Cristofori, un clavicembalo di Giovanni Battista Giusti (1679), un clavicembalo pieghevole (prima metà del XVIII secolo), due pianoforti a tavolo costruiti rispettivamente a Londra e ad Amsterdam nel 1786, quattro pianoforti a coda viennesi del primo Ottocento, un minuscolo pianoforte in tavolo da cucito (circa 1820) e un pianoforte a tangenti di Baldassare Pastore (1799). Oggi è sede di concerti e festival internazionali di musica antica, e di conferenze e convegni specializzati.

  • Madonna dell'Orazione Bologna (BO)

    Fa parte del complesso di S. Colombano anche l’attigua ex cappella della Madonna dell’Orazione (già sede della Associazione nazionale fra Mutilati e Invalidi di guerra), su disegno di Tommaso Martelli. Nel portico di fine Cinquecento, dipinti attribuiti a Pietro Pancotto.

    L’interno conserva importanti affreschi della scuola bolognese del Seicento: S. Francesco di Antonio Carracci; Riposo dalla fuga in Egitto di Lionello Spada; Incoronazione di S. Caterina e Sibilla di Lorenzo Garbieri; all’altare, Madonna col Bambino di Lippo di Dalmasio, affresco che diede origine alla costruzione della cappella sul muro allora esterno di S. Colombano.

    Nel sovrastante oratorio, importante complesso di affreschi, eseguiti per il giubileo dell’anno 1600 dai migliori allievi dell’Accademia dei Carracci (Francesco Albani, Lorenzo Garbieri, Lucio Massari, Francesco Brizio, Guido Reni, Domenichino, Galanino), raffiguranti episodi della Passione di Cristo.

  • Palazzo Fava-Palazzo delle Esposizioni Bologna (BO)

    Il palazzo, concluso nel 1584 utilizzando un repertorio di elementi terribilieschi, dopo il restauro e la riapertura al pubblico nel 2012, è palazzo delle Esposizioni della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna.

    Il palazzo è oggi fuso con l’edificio originariamente costruito come Seminario arcivescovile (1751-1772; ora Grand Hotel Majestic già Baglioni), distrutto parzialmente in facciata dai bombardamenti, poi riedificato e successivamente restaurato.

    L’edificio è affrescato al piano nobile da Annibale, Agostino e Ludovico Carracci, che vi realizzano un importante ciclo d’affreschi (storie di Enea) su commissione di Filippo Fava nel 1584.

    La collezione della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna comprende opere di Umberto Boccioni, Giacomo Balla, Gino Severini, Felice Casorati, Mario Sironi, Giorgio De Chirico, Filippo De Pisis, Giorgio Morandi, Arturo Martini e Lucio Fontana.

    Nel palazzo sono organizzate mostre temporanee. Sotto l’hotel (entrata in via dell’Indipendenza 8) sono stati trovati resti di un grande complesso romano, probabilmente il macellum (foro commerciale) di Bononia: nel sotterraneo è un tratto del relativo decumano con solchi carrai affiancato dalla crepido (marciapiede) e da un filare di blocchi di pietra appartenenti al muro perimetrale dell’edificio.

  • Chiesa della Madonna di Galliera Bologna (BO)

    Sul lato settentrionale di via Manzoni è la chiesa della Madonna di Galliera, dalla interessante facciata modellata in arenaria (1491). L’interno a una navata fu rimaneggiato da Giuseppe Antonio Torri nel 1684.

    Nella volta, affreschi di Giuseppe Marchesi, che ha decorato anche il catino dell’abside e la volta della 1a cappella sinistra (1730-44). Al 3° altare destro, Madonna col Bambino, S. Anna, S. Francesco d’Assisi e S. Francesco di Sales di Marcantonio Franceschini.

    L’altare maggiore è stato rifatto in forme barocche su disegno di Francesco Bibiena (1750 c.). I due grandi angeli in stucco che lo affiancano, modellati da Giuseppe Mazza (1695 c.), facevano parte della precedente decorazione dell’altare. Nella 2a cappella sinistra, Gesù tra la Madonna e S. Giuseppe offre al Padre Eterno la futura Passione di Francesco Albani (1632). In sagrestia sono conservati dipinti di Giovan Andrea ed Elisabetta Sirani, Cesare Gennari, Francesco Albani. L’attiguo oratorio di S. Filippo Neri (1730), opera di Alfonso Torreggiani, recentemente recuperato, è oggi una tra le più belle sedi congressuali cittadine.

  • Museo civico medievale Bologna (BO)

    Museo civico medievale ha sede nel palazzo Ghisilardi, iniziato nel 1483 per volontà di Bartolomeo Ghisilardi, inglobando parte dalla torre dei Conoscenti. Nell’ampia facciata le finestre a bifora, tranne la seconda da destra, sono il frutto di un restauro del 1915. Ha cortile porticato su due lati, uno dei quali con loggia; sul lato sinistro quattro mensoloni in arenaria elegantemente scolpiti sorreggono uno stretto corridoio che collega la loggia al salone di rappresentanza.

    Il Museo, inaugurato nel 1985 al termine di una vasta campagna di restauri che ha permesso il recupero di varie strutture murarie preesistenti di età medievale, riunisce vari materiali prevalentemente di età medievale e rinascimentale (sculture, armi, bronzetti, vetri e avori), che già componevano, a partire dal 1881, la sezione medievale e moderna del Museo civico, a sua volta formatosi in seguito allo scorporo dei Musei universitari e prima ancora delle raccolte dell’Istituto delle Scienze.

    Determinante per la formazione del Museo civico fu l’acquisizione della ricca raccolta del pittore bolognese Pelagio Palagi, donata al Comune nel 1861, a cui presto si aggiunsero altri importanti nuclei di materiali in larga misura pervenuti, tramite le cosiddette Leggi Eversive del 1866, da varie chiese e conventi della città, come nel caso della serie di monumenti sepolcrali dei dottori dello Studio e di altre sculture.

    PIANTERRENO. Dal cortile, sulla sinistra, passando per la biglietteria, si accede alle sale del piano terra. Le prime due sale (I-II) sono dedicate ai nuclei collezionistici antichi, a partire dalla seicentesca collezione Cospi, comprendente una sezione naturalistica, vari oggetti esotici americani (uccellini d’ambra di cultura azteca del Perù, secolo XVI) e orientali (bronzetti islamici, ceramiche ispano-moresche, brocca del periodo ottomano, 1520-35) e inoltre un cospicuo gruppo di materiali eterogenei di produzione europea (boccali tedeschi, oggetti in avorio e osso, calendario runico, 1514).

    Largo spazio è dedicato alla collezione appartenuta all’Istituto delle Scienze, nella quale si segnalano alcune lastre di incisione (1756), oggetti donati dal papa Benedetto XIV (orologio notturno della fine del ’500) e una sezione di materiali asiatici, dell’Oceania e dell’America. La sala II raccoglie parte della collezione di Pelagio Palagi (arte precolombiana, ceramiche algerine, oggetti provenienti da Cina e Giappone), insieme ad altri materiali pervenuti al museo tramite donazioni ottocentesche, come nel caso di un prezioso frammento in arenaria con due figure di Principi di arte shunga (India centrale, metà del I secolo a.C.), già nella collezione di Francesco Lorenzo Pullé.

    Usciti dalle due prime salette si accede nella sala III (resti della prima cerchia di mura in selenite) dove in una vetrina si può ammirare una selezione della ricca raccolta di ceramiche istoriate (circa 300 pezzi) che annovera al suo interno alcuni capolavori che vanno dal XV al XIX secolo; quindi si accede nella sala IV dove sono esposte alcune delle più significative arche monumentali dei dottori dello Studio bolognese, con il caratteristico motivo iconografico del professore che fa lezione agli studenti.

    L’arca del noto giureconsulto Giovanni di Andrea (m. 1348), originariamente nella chiesa di S. Domenico, assegnata a scultore bolognese attivo nella metà del secolo XIV. Nella parete di destra alcuni frammenti dell’arca di Giovanni da Legnano (m. 1383), opera firmata dai veneziani Jacobello e Pier Paolo dalle Masegne, ma eseguita probabilmente dal solo Pier Paolo.

    A Pier Paolo dalle Masegne e ad altri scultori sono attribuite le sette statue con la Giustizia e i santi protettori (c. 1390) che ornavano il palazzo della Mercanzia. A un artista affine ai Dalle Masegne è attribuibile l’arca di Carlo Roberto e Riccardo da Saliceto, che sappiamo terminata nel 1403, un tempo nella chiesa di S. Martino.

    Da S. Domenico invece proviene il monumento di Bartolomeo da Saliceto, firmato dallo scultore toscano Andrea da Fiesole che lo compì, come riporta l’iscrizione, nel 1411. La sala contigua (V) raccoglie nelle due vetrine materiali di età altomedievale comprendenti fra l’altro fibule, frammenti ceramici, armille, e lavori di oreficeria, tra i quali si segnalano due croci auree longobarde del VII-VII secolo e un anello con motivi di animali e vegetali, forse di manifattura inglese del IX secolo.

    Alle pareti vari plutei in pietra del IX-X secolo; nella parete di fondo, resti dell’imponente struttura in selenite della Rocca imperiale, distrutta nel 1115. Sala VI: appena entrati, in alto sulla sinistra si può vedere, dipinto negli sguanci di una finestra ritrovata alla base della torre dei Conoscenti, un raro esempio di decorazione pittorica del ’200. Tra i materiali esposti nelle vetrine si segnalano un acquamanile a forma di guerriero della metà del XIII sec. (emblema dei Musei Civici d’Arte Antica), opera della bassa Sassonia o della regione mosana, e la coeva base di candeliere con giovinetto inginocchiato.

    Di grande interesse è la raccolta di avori bizantini del sec. X-XII, alcuni provenienti dalla collezione Palagi (Fuga in Egitto, scuola salernitana, fine dell’XI secolo; due tavolette con Gesù nell’orto e la Lavanda dei piedi, lavoro forse già del XII sec.). Elemento caratteristico dell’antico decoro urbano cittadino sono invece le tre croci in pietra poste su colonne (la più tarda proviene dal mercato e risale al 1219), originariamente collocate lungo le strade in corrispondenza di importanti crocicchi.

    La sala VII raccoglie materiali di varia provenienza e natura, legati prevalentemente alla produzione artistica locale del sec. XIII-XIV. Sulla sinistra è una base di acquasantiera con quattro telamoni, capolavoro del classicismo padano della metà del Duecento; in fondo alla sala, una grande statua in rame battuto raffigurante Bonifacio VIII, del 1301, originariamente posta sulla facciata del Palazzo comunale, eseguita dall’orafo senese Manno di Bandino.

    A fianco è un raro frammento di vetrata con la Crocifissione, dovuta a un maestro oltremontano, forse tedesco (seconda metà del secolo XIII), proveniente dalla chiesa di S. Domenico. Dalla stessa chiesa proviene anche un grande piviale ricamato con i fatti della vita di Cristo e della Vergine, capolavoro dell’opus anglicanum, databile ai primissimi anni del sec. XIV. Nelle vetrine, oltre ad alcuni medaglioni con busto di imperatori e a una serie di manufatti (pyx in stagno firmata Rosetuss, statuetta raffigurante S. Orsola), si possono ammirare varie matrici di sigilli, in parte bolognesi, dei secoli XIII-XV, un boccale apodo con la raffigurazione di un cervo della seconda metà del sec. XIII e due croci astili della fine del XIV secolo, una delle quali di produzione abruzzese.

    SCULTURE. Ritornati nella sala III, si accede alle sale del sotterraneo dove sono esposti vari esempi della produzione scultorea bolognese dei secoli XIV-XVI. Subito di fronte (sala VIII), la lastra terragna del cavaliere Filippo dei Desideri, opera firmata dal lapicida Arriguzzo Trevisano, originariamente nella chiesa di S. Domenico. Sala IX: a destra, piccola testa di vescovo dovuta a un seguace di Giovanni di Balduccio e statuetta in marmo con S. Pietro martire, parte superstite del perduto altare maggiore della chiesa di S. Domenico, eseguito dallo scultore pisano Giovanni di Balduccio (prima metà del secolo XIV). A un lapicida veronese della prima metà del XIV secolo si deve invece l’urna di Corrado de’ Fogolini; vi sono poi una piccola croce in pietra e la cosiddetta Pietra della Pace (1322), realizzata per celebrare la riconciliazione tra il Comune e gli studenti al termine di un prolungato periodo di lotte e agitazioni. A destra, matrice in pietra usata per la lavorazione dei metalli o del cuoio.

    Sala X: sulla sinistra resti di un antico manufatto romano, rinvenuti durante i lavori di restauro del palazzo. Alle pareti alcuni sepolcri di dottori dello Studio bolognese: a destra il sepolcro di Bonandrea de’ Bonandrea (m. 1333), a sinistra quello di Pietro Cerniti (m. 1338) attribuito al lapicida Roso da Parma, di fronte quello del legista Matteo Gandoni (m. 1330), opera forse di un seguace dei due scultori senesi Agostino di Giovanni e Angelo di Ventura. Di notevole interesse per le estese tracce dell’originale policromia è la lastra di Bonifacio Galluzzi (m. 1346) del lapicida locale Bitino da Bologna.

    Sala XI: accanto ad altri esempi della statuaria locale del Trecento, si segnala il sepolcro del giurista Lorenzo dal Pino (m. 1398), eseguito dallo scultore veneziano Paolo di Bonaiuto. Sulla sinistra, vetrina parietale contenente una selezione della ricca raccolta (circa 1500 pezzi) di matrici di sigilli, in parte bolognesi, dei secoli XIII-XIV.

    Sala XII: in fondo nella parete, pregevole trittico marmoreo con la Madonna col Bambino e santi, opera non completamente autografa di Jacopo della Quercia, in questo stesso periodo impegnato nella porta Magna di S. Petronio; a sinistra S. Antonio Abate del Maestro del Monumento Fava (prima metà del XV secolo). A un seguace di Jacopo è attribuibile una formella con la Nascita del Battista, mentre al toscano Andrea da Fiesole si deve un piccolo presepe posto accanto. Di pregevole fattura è pure una frammentaria Vergine, rara testimonianza di un anonimo maestro renano attivo a Rimini nei primi anni del XV secolo. A fianco, entro una vetrina è collocata una scultura lignea, forse raffigurante S. Bernardino sul letto di morte, del senese Antonio Federighi.

    Proseguendo nella sala XIII si possono vedere alcuni esempi di tombe terragne di vari dottori dello Studio bolognese, tra cui si segnala la tomba di Bernardino Zambeccari (m. 1424), dovuta ad Andrea da Fiesole. Ugualmente pregevole è la più tarda lastra tombale di Pietro Canonici (m. 1502), abbozzata anche nel retro, attribuita ad Antonio Minelli.

    PRIMO PIANO. Ritornati al piano terra si sale al primo piano, dove sono sistemate le collezioni di arti applicate. Dalla loggia, a sinistra si accede alla sala XV, dedicata alla preziosa e raffinata raccolta di bronzetti e placchette rinascimentali. Al centro è collocato il bozzetto preparatorio in bronzo per la fontana del Nettuno (1567) di Giambologna. Sempre di Giambologna è un altro bozzetto con Mercurio. Di Alessandro Algardi è invece un gruppo bronzeo con S. Michele arcangelo, opera della maturità dell’artista che la eseguì per la chiesa di S. Michele in Bosco. Di notevole interesse sono inoltre il busto di Gregorio XIII di Alessandro Menganti e quello di Gregorio XV, opera giovanile di Gian Lorenzo Bernini.

    Nelle tre vetrine sono esposti, secondo le rispettive aree di produzione, numerosi bronzetti: area veneta con prodotti padovani e veneziani del ’500 (Sepoltura di Cristo, Lucerna a forma di acrobata, Marsia legato all’albero di Andrea Briosco detto il Riccio; il cofanetto attribuito a Severo da Ravenna; vari bronzi di Alessandro Vittoria, Girolamo Campagna, Tiziano Aspetti); area toscana con bronzetti fiorentini (cavallo impennato di Pietro Tacca; Uccellatore di Antonio Susini); Italia settentrionale (placchette del Galeazzo Mondella detto Moderno, Maestro IO.FF e alcuni esemplari tedeschi).

    Alle pareti, in alto vari elementi architettonici, lesene, camini; in basso alcuni esempi di scultura rinascimentale (Apollo con cetra, cerchia dei Lombardo); uscendo dalla sala, busto di S. Alberto Magno di Vincenzo Onofri. Da questo ambiente si accede a sinistra, scendendo le scale, alla sala XVI, dedicata ai codici miniati.

    Qui, a rotazione, viene esposta una selezione dei più importanti pezzi della raccolta, formata in larga parte da codici, matricole e statuti delle arti; in particolare si segnalano i corali duecenteschi miniati dal Maestro di Gerona, quelli trecenteschi di Nicolò di Giacomo, la Matricola dei Drappieri del 1411 c. e gli statuti della medesima arte miniati da Giovanni da Modena.

    La sala XVII, ricavata al secondo piano della torre dei Conoscenti, raccoglie vario materiale rappresentativo della cultura figurativa bolognese legata alla signoria dei Bentivoglio. Nella vetrina, accanto a uno stocco benedetto donato da Niccolò V a Ludovico Bentivoglio nel 1455, è una rara targa lignea, con la raffigurazione di S. Giorgio e il drago (seconda metà del sec. XV), opera di un seguace di Lorenzo Costa. Di grande interesse sono pure le opere di scultura a partire dalla lastra tombale di Domenico Garganelli (m. 1478), un tempo nella chiesa di S. Pietro, unica testimonianza dell’attività scultorea di Francesco del Cossa.

    Alle pareti alcune opere attribuite al fiorentino Francesco di Simone Ferrucci (Veronica, Madonna col Bambino), la cui attività è documentata a Bologna. Pregevoli anche le vetrate: i due tondi con teste virili sono attribuiti a Ercole de’ Roberti; il Cristo in Pietà è opera di Francesco Francia.

    LA RACCOLTA DELLE ARMI. Le tre sale che seguono sono dedicate alla raccolta delle armi. Sala XVIII: di grande interesse è un gruppo di daghe a cinquedea, alcune delle quali appartenute alla famiglia Bentivoglio; sempre bentivolesca è la cassettina in cuoio con stemmi dei Bentivoglio e degli Sforza, probabile dono nuziale.

    Nella grande vetrina parietale, oltre a una ricca selezione di armi ad asta, si vedano un gruppo di morioncini e borgognotte con le insegne della città di Bologna. Accanto sono i resti di un corsaletto da cavallo leggero, riccamente decorato, opera probabilmente milanese (1510-15).

    La parte centrale della vetrina è dedicata alle armi da giostra, a cominciare da una armatura da campo aperto, caratterizzata dai particolari rinforzi aggiuntivi, appartenuta a un membro della famiglia Cospi (Italia settentrionale, 1570 c.). In basso, due lunghe lance riccamente decorate, usate per i tornei, e una manopola.

    La vetrina conserva altre armi prevalentemente cinquecentesche, alcune delle quali riferibili alla cerchia di Pompeo della Cesa (petto, rotella). Di fronte, nelle due vetrine è esposta una selezione di armi bianche dei secoli XVI-XVIII, tra cui spicca il gruppo di spade, cosiddette alla spagnola, dalla tazza riccamente traforata. Alle pareti, in alto, frammenti di bazzane in cuoio dipinto del XVI-XVII secolo.

    La grande sala successiva (XIX), dal bel soffitto ligneo a cassettoni, raccoglie nelle numerose vetrine altre armi in prevalenza difensive (si vedano alcune borgognotte papali di manifattura bresciana). A destra, in una delle vetrine parietali sono esposti vari oggetti attinenti al cavallo: ricca raccolta di sproni (sec. XIV-XVIII), testiere, bella sella in avorio alla moscovita di produzione tedesca del secolo XV.

    Le due ultime vetrine in fondo sono dedicate alle armi da fuoco (secoli XVI-XVIII), alcune riccamente intarsiate in avorio e madreperla: archibugio a ruota cinquecentesco siglato HB, coppia di Tschinken con lo stemma Marsili (Slesia, seconda metà del XVII secolo). In alto nella parete, grande frammento di una bazzana in cuoio dipinto del sec. XVI-XVII.

    Sala XX: armi orientali, per lo più provenienti dalla raccolta del generale Luigi Ferdinando Marsili (gruppo di moschetti e archibusi turchi del secolo XVII, coppie di turcassi e faretre riccamente ricamati). Nelle vetrine angolari, serie di metalli islamici: brocca in ottone incrostato in argento, scuola siro-egiziana, fine secolo XIII, già nella collezione Cospi; ricca serie di bruciaprofumi, fra cui quello di produzione veneto-saracena.

    Di qui si accede alle sale del palazzo Fava-Ghisilardi destinate a ospitare le collezioni di ceramiche e maioliche e di strumenti musicali. Gli ambienti sono decorati da preziosi affreschi dovuti ai tre Carracci (storie di Giasone, 1584) e da altri artisti della loro scuola (Francesco Albani, Bartolomeo Cesi).

    Sala XXI: dedicata alla collezione di avori gotici, rinascimentali e barocchi. Nella vetrina di sinistra, nel ripiano in alto, serie di avori di fabbricazione francese (secolo XIV), rappresentativi di una produzione di uso privato a carattere suntuario: valve di specchio (custodia con episodio della leggenda di Gauvain), dittici (Madonna col Bambino tra angeli e il Crocifisso); in basso, alcuni avori di produzione italiana, in parte riconducibili alla bottega degli Embriachi (fine del XIV secolo): serie di cofanetti in legno decorati a minuti intarsi di osso (cofanetto ottagonale con la storia di Piramo e Tisbe); nelle due vetrine parietali: trittico raffigurante Madonna col Bambino e scene della vita di Cristo, di arte degli Embriachi (secolo XIV-XV); filigrana d’argento con aquila bicipite e undici noccioli intagliati a immagini sacre, opera di Properzia de’ Rossi.

    Di fianco, avori del Cinque e del Seicento: gruppo del Calvario di scuola fiamminga del secolo XVII, due rilievi con Giuditta e Oloferne e Rebecca ed Eleazaro al pozzo, opera di uno scultore fiammingo italianizzante della seconda metà del secolo XVII. In basso si vedano la coppia di bacili e di acquamanili (1672) del tedesco J.M. Maucher. Di produzione coloniale afro-portoghese e indo-portoghese sono la saliera della prima metà del XVI secolo (Sierra Leone) e i tre gruppi con il Buon Pastore (Indie Orientali).

    Sala XXII: nella vetrina sono esposti vetri prevalentemente di produzione muranese, tra cui si segnala un bel calice quattrocentesco riferito all’ambito del celebre maestro vetraio Anzolo Barovier. Sempre muranesi sono due fiasche recanti le armi dei Bentivoglio e degli Sforza e due piatti da parata (metà sec. xvi) decorati a reticello. La sala conserva anche una serie di vetrate, alcune delle quali bolognesi (Madonna col Bambino, secolo XVI), fiamminghe (tondo con l’Eucarestia, seconda metà del XV secolo) e tedesche (derivate da Albrecht Dürer). Attraversando il secondo cortile del Museo si può accedere, in occasione di mostre ed eventi particolari, al lapidario, costituito da epigrafi e stemmi lapidei medievali e rinascimentali, e da elementi architettonici e decorativi, fra i quali si segnala la celebre Pietra di Bologna Aelia Laelia Crispis.

  • Monte di Pietà Bologna (BO)

    L’edificio porticato del Monte di Pietà, ricostruito da Marco Antonio Bianchini (1758), con l’assistenza del Torreggiani. Sul portale è collocata una Pietà in terracotta della seconda metà del Cinquecento, rielaborata da Antonio Schiassi nel 1760. Proseguendo per pochi passi lungo la via del Monte, si può accedere all’interessante cortile dello stesso edificio che presenta un doppio loggiato della seconda metà del XV secolo.

  • Palazzo Boncompagni Bologna (BO)

    Il palazzo senatorio Boncompagni, di incerto autore (la più recente storiografia critica oscilla tra Baldassarre Peruzzi e il Vignola), fu portato a termine nel 1548.

  • Cattedrale di S. Pietro nella Metropolitana Bologna (BO)

    Nella via dell’Indipendenza prospetta la maestosa facciata della Metropolitana di S. Pietro, destinata allo svolgimento di funzioni religiose distinte da quelle che avevano luogo in S. Petronio.

    L’altissima facciata in laterizi con decorazioni in marmo fu architettata da Alfonso Torreggiani (1743-47); il timpano triangolare venne realizzato da Francesco Tadolini (1776). Le due grandi statue dei Ss. Pietro e Paolo sono dovute rispettivamente ad Agostino Corsini e a Peter Anton von Verschaffelt.

    Durante il restauro, all’interno della torre campanaria della chiesa di S. Pietro sono venuti alla luce bassorilievi risalenti al XII secolo sotto le lastre di pavimentazione.

    L’ipotesi avanzata è che siano manufatti lapidei ornati che costituivano l’arredo della chiesa e reimpiegati in una fase successiva di ricostruzione dell’edificio. Dopo il restauro, i bassorilievi sono stati collocati nella cripta della Cattedrale. Il trasferimento della originaria sede vescovile da via S. Felice al sito attuale avvenne con ogni probabilità verso gli inizi dell’XI secolo; il nucleo originario era costituito da cattedrale, palazzo vescovile e canonica, cui si aggiungeva, nelle vicinanze, il battistero di S. Giovanni.

    La cattedrale romanica, distrutta da un incendio (1141), fu riedificata nella seconda metà del XII secolo. Verso il 1220 fu costruita la cosiddetta porta dei Leoni, sul fianco verso via Altabella. Nel 1575 Domenico Tibaldi realizzò il nuovo presbiterio e ristrutturò la sottostante cripta romanica (il ripristino più recente della cripta e la nuova organizzazione spaziale delle sculture sono del 1965-67).

    L’intera chiesa fu poi ricostruita a partire dal 1605 su disegno di Floriano Ambrosini (ispirato da un’idea progettuale del barnabita Giovanni Ambrogio Mazenta), conservando però la cappella maggiore eretta dal Tibaldi trent’anni prima. Interrotti i lavori nel 1610, furono ripresi tre anni dopo e portati a termine con la mediazione progettuale e sotto la direzione di Nicola Donati.

    L'interno è a una navata con cappelle laterali intercomunicanti. Nella navata mediana (altezza m 25), quattro tribune o coretti di Alfonso Torreggiani. Ai lati del portale mediano, due acquasantiere sorrette da leoni in marmo rosso veronese, scolpite, secondo la tradizione, da un maestro Ventura (1220) e provenienti dalla porta dei Leoni della chiesa romanica.

    Nella navata destra, nella 1a cappella, Consacrazione del beato Niccolò Albergati a vescovo di Bologna di Antonio Rossi (1748) e Pietà, gruppo di 8 grandi figure in terracotta, di Alfonso Lombardi; nella 3a, S. Pietro consacra S. Apollinare di Ercole Graziani (circa 1737); nella 4a, sull’altare progettato da Camillo Rusconi, Madonna col Bambino, S. Giuseppe, S. Rocco e S. Giacomo Maggiore di Marcantonio Franceschini (1727-28), nel catino Sogno di papa Celestino I di Vittorio Bigari (1730); nella 5a, Elemosina di S. Carlo Borromeo di Donato Creti (1740).

    In fondo alla navata è una porta (a sinistra, acquasantiera formata da un capitello romanico su leonessa che allatta due leoncini, scultura di marmo rosso di Verona proveniente dall’antica chiesa) che mette in un’uscita laterale e nella sagrestia (nella volta, Apoteosi di S. Pietro di Giovanni Francesco Spini), contenente alcuni quadri: Crocifisso e santi del Bagnacavallo; Pietà e santi di Giovanni Maria Tamburini; Madonna col Bambino e santi di Elisabetta Sirani; Gesù alla colonna di Giovanni Luigi Valesio; S. Pietro in carcere di Girolamo Negri.

    Nella volta dell’attigua sagrestia del capitolo (G), S. Pietro che piange con Maria la morte di Gesù di Ludovico Carracci, e quattro ovali di Ercole Graziani (Ss. Pietro, Paolo, Zama e Petronio). La guardaroba e il tesoro sono ricchi di oggetti preziosi, fra cui alcuni donati da Benedetto XIV (notevoli i grandi arazzi tessuti a Roma su disegno di Anton Raphael Mengs, che si espongono ogni anno per la festa di S. Pietro).

    Il presbiterio è opera di Domenico Tibaldi. Al di sopra del colossale arco trionfale, due angeli reggono lo stemma di papa Gregorio XV; nel lunettone sopra l’abside centrale, Annunciazione, ultima opera di Ludovico Carracci (1618-19); i sottarchi e la volta furono dipinti da Prospero Fontana e Alessandro Tiarini.

    Nel catino dell’abside, Consegna delle chiavi di Cesare Aretusi e G.B. Fiorini. La cripta è quella della chiesa romanica, ripristinata nel 1965-67: al 1° altare sinistro, Crocifisso, Madonna e S. Giovanni evangelista, statue in legno di cedro di arte romanica (XIII secolo). Nella navata sinistra, nella 5a cappella, S. Ambrogio impedisce a Teodosio di entrare in chiesa di Giuseppe Marchesi detto Sansone. Nella 3a, altare su disegno di Alfonso Torreggiani, e sopra, Madonna col Bambino in gloria, S. Ignazio, angeli e santi di Donato Creti (1737). Nella 1a (battistero), Battesimo di Gesù di Ercole Graziani; l’angelo di bronzo che regge la vasca è di Ferdinand Saint-Urbain; a sinistra, colonna tortile di marmo rosso veronese, avanzo romanico.

    All'esterno della cattedrale, in via Altabella, si leva il campanile, iniziato nel 1184 e risolto in sommità con una copertura a cuspide lanceolata risalente al 1426. Include una torre a sezione circolare, che forse è da identificare con il campanile della chiesa romanica. ‘Regina’ del campanile è la Nonna, la più grande campana azionata manualmente al mondo (pesa 33 quintali). Viene suonata ‘alla bolognese’ (in modo cadenzato e con rotazione completa della campana).

  • Museo della Cattedrale di S. Pietro Bologna (BO)

    Espone una selezione di apparati sacri donati nei secoli (calici, pissidi, croci pettorali). La collezione si compone di tre nuclei principali legati al beato Nicolò Albergati (vescovo di Bologna tra il 1417 e il 1443), a papa Gregorio XV (Alessandro Ludovisi, arcivescovo di Bologna dal 1612 al 1621) e a papa Benedetto XIV (Prospero Lambertini, vescovo dal 1731 al 1754).

  • Palazzo Bocchi Bologna (BO)

    Antica sede dell’Accademia Hermatena fondata dall’umanista Achille Bocchi. Il palazzo (che la storiografia cinquecentesca vuole del Vignola) fu iniziato nel 1545 e reca sopra lo zoccolo a scarpa un’iscrizione in caratteri ebraici da un versetto del Salmo 119 della Bibbia, oltre a un brano tratto dalla prima epistola di Orazio. Al portale, in opera rustica, pare non estraneo un pensiero serliano.

  • Chiesa di S. Nicolò degli Albari Bologna (BO)

    Ricostruita alla fine del ’600; nell’interno è visibile (1° altare sinistro) un capolavoro giovanile di Giuseppe Maria Crespi, Tentazioni di S. Antonio Abate, dipinto nel 1690.

  • Ghetto Bologna (BO)

    Il vicolo Tubertini, lasciata sulla sinistra la torre degli Uguzzoni, saldata alle case circostanti da due cavalcavia, prosegue nel vicolo S. Giobbe che si inoltra nell’area del cinquecentesco ghetto ebraico.

    Sulla destra, al N. 4, la facciata della ex chiesa di S. Giobbe, già annessa a un antico ospedale che si stendeva nell’area dell’attuale galleria Acquaderni. All’interno di quest’ultima (accessibile da via De’ Giudei o da via Rizzoli), si può salire (N. 3) all’oratorio di S. Maria dei Guarini, elegante costruzione di Giuseppe Tubertini (1788), che conserva una tavola quattrocentesca della Madonna col Bambino, una Presentazione al Tempio attribuita a G.B. Ramenghi, e due statue, Mosè e Malachia, di Luigi Acquisti.

    Dal vicolo S. Giobbe si percorre la via dell’Inferno, dove il fitto tessuto edilizio invita alla riflessione sulla trascorsa densità abitativa del ghetto; al N. 16 una lapide sulla casa Buratti ricorda che questa era l’antica sede della sinagoga di Bologna.

    Si prosegue nella via del Carro (al N. 4 colonne lignee a sostegno dell’antica casa Rampionesi) e da qui, attraverso un voltone – chiuso, all’epoca del ghetto, da uno dei tre portoni che isolavano l’area di segregazione – si giunge nella via Zamboni all’altezza di un piccolo slargo su cui prospettano due interessanti edifici: al N. 16, il palazzo Manzoli (poi Malvasia), le cui strutture cinquecentesche sono visibili lungo il fianco destro, e che sulla piazzetta presenta un prospetto neoclassico progettato da Francesco Tadolini nel 1760; la piccola chiesa di S. Donato, modificata rispetto alle primitive forme quattrocentesche da un’interessante facciata, dipinta a motivi architettonici da Francesco Orlandi (1751; restaurata).

  • MEB-Museo ebraico di Bologna Bologna (BO)

    Il Museo Ebraico ha un’impostazione storica che si avvale anche di strumenti multimediali. Sezioni specifiche sono dedicate alla presenza degli ebrei a Bologna e in Emilia-Romagna, che risulta essere, tra le regioni italiane, quella con più testimonianze ancora riscontrabili.

    Il museo organizza mostre, conferenze, dibattiti, corsi di lingua e cultura ebraica, e si propone come centro per la conoscenza del ricco e straordinario patrimonio culturale ebraico regionale.

  • Torre degli Asinelli Bologna (BO)

    Le Due Torri sono forse il complesso monumentale più noto e caratteristico della città. Furono probabilmente le prime a essere costruite (nei primi anni del XII secolo) dopo la demolizione della Rocca imperiale e si configurano come le più significative superstiti di un consistente nucleo turrito, di carattere strategico, attestato attorno al ‘carrobbio’ (incrocio) di porta Ravegnana.

    La torre degli Asinelli (m 97.20) ha uno strapiombo dell’asse verso ovest di m 2.23. Colpita ripetutamente da fulmini e scosse sismiche, è stata più volte restaurata. È storicamente accertata la sua appartenenza al Comune nel XIII secolo. Intorno alla base, quadrata, di m 12 per lato, corre una loggia (rocchetta) costruita nel 1488 e restaurata nel 1921.

    Una scala di 498 gradini porta alla sommità: il panorama è ripetutamente ed entusiasticamente ammirato dai visitatori che da secoli ne raggiungono la cima.

  • Torre Garisenda Bologna (BO)

    La torre Garisenda, con ogni probabilità contemporanea alla torre degli Asinelli, rimase incompiuta per cedimento del terreno. È alta m 48.16, con uno strapiombo dell’asse verso nord-est di m 3.22. Tra il 1351 e il 1360 fu abbassata per timore di rovina da Giovanni Visconti da Oleggio, e da allora è detta «torre mozza».

    Per lungo tempo fu attorniata, come l’altra, da botteghe di ramai, finché il Comune provvide a restaurarla isolandola dal tessuto edilizio che si era addensato alla sua base e rivestendola di bugne di selenite (1887-89). Dalla parte del ‘chinato’, lapide con i versi di Dante che parlano della torre.

  • Palazzo degli Strazzaroli o dei Drappieri Bologna (BO)

    Oltre alle due torri pendenti, concorrono all’aspetto monumentale della piazza di Porta Ravegnana l’elegante palazzo dei Drappieri o degli Strazzaroli, costruito in età bentivolesca (1486-96) da Giovanni Piccinini per l’arte dei drappieri (balcone aggiunto nel 1620), e il fianco porticato della chiesa di S. Bartolomeo.

    All’interno della nicchia aperta sopra il balcone è posta una statua della Madonna di Gabriele Fiorini, abitualmente coperta da un drappo e resa visibile solo nei giorni in cui la Madonna di S. Luca scende in città.

Ultimo aggiornamento 11/11/2022
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