Tra i prodotti tipici dell’Emilia-Romagna non si annoverano solo formaggi, salumi, vini o aceto balsamico. Esistono anche numerosi prodotti della panificazione con una lunga tradizione alle spalle.
In quello che un tempo era il grande granaio del Nord Italia, esiste infatti una ricchezza gastronomica che vanta preparazioni e creatività differenti a seconda dei luoghi in cui ci si trova.
Come nel resto d’Italia, anche in Emilia-Romagna il pane è un alimento imprescindibile, qualunque forma esso abbia. Viene usato per accompagnare antipasti di salumi e formaggi, ma anche per cimentarsi in grossolane e gustose scarpette su ragù rimasti sul fondo dei piatti.
Tante sono le tipologie di pane o simili che troviamo nelle specifiche zone dell’Emilia-Romagna, dalla provincia di Rimini a quella di Piacenza. Vediamo insieme quali.
Tipiche della Val Tidone (Piacenza), e in particolare di Nibbiano, le Batarö sono piccole focaccine schiacciate che vengono realizzate mescolando farine di grano e di mais.
Vengono solitamente farcite i salumi tipici locali, ma si possono gustare anche nella versione dolce, farcite con creme o marmellate.
Tipici della provincia modenese e bolognese - e in particolare dei paesi di Vignola, Marano sul Panaro, Guiglia, Castello di Serravalle, Savigno, Zocca, Castel d’Aiano e Pavullo nel Frignano - i Borlenghi (conosciuti anche con il nome di zampanelle) sono crêpes sottili e croccanti, del diametro di circa 40 cm, realizzate con un impasto liquido a base di farina, acqua e sale (facoltativa l’aggiunta di un uovo) chiamato colla.
Solitamente vengono ripiegati in quattro parti con all’interno il tipico “pesto montanaro”, detto anche cunza (un battuto di lardo, aglio e rosmarino) e una spolverata di Parmigiano Reggiano.
È una ricetta che ha origini antiche e sappiamo che venivano già consumati tra il XIII e il XIV secoli. Il loro nome deriverebbe da burla, per via della loro sottigliezza.
Realizzata con pochi ingredienti, la bortellina (burtlena o burtleina) è una sorta di frittatina a base di uova, acqua e farina presente storicamente sulle tavole delle classi meno abbienti durante tutti i pasti della giornata, in sostituzione del pane.
Ne esistono diverse varianti, tutte golose; ogni paese del piacentino ha la sua e la prepara secondo una ricetta tradizionale. C’è ad esempio quella di Bettola, quella di Gragnano Trebbiense, e quella di Casaliggio (frazione di Gragnano Trebbiese) che dal 1973 è anche sede de “La Festa d’la Burtleina”, la sagra dedicata proprio alla Bortellina Piacentina.
Oggi si gusta in abbinamento a salumi piacentini DOP (Coppa, Pancetta e Salame) e formaggi morbidi.
Tipica di Borgonovo Val Tidone, la chisola è una focaccia impastata con i ciccioli che un tempo era fortemente consumata dai contadini della zona che si muovevano tra la Val Padana e l’Appennino. Oggi vanta il riconoscimento De.Co. e a Borgonovo ogni anno nel primo weekend di settembre si svolge la tradizionale Festa d’la Chisöla.
Esistono poi i chisolini, piccole focacce non lievitate e fritte nello strutto, tipiche della tradizione culinaria del borgo di Fiorenzuola d’Arda. Queste ultime possono assumere diverse forme (a grissino, a bocconcino) e sono tipicamente consumate con salumi tipici piacentini e formaggio.
Un corpo centrale e quattro crostini arrotolati, leggeri e fragranti, più o meno lunghi, che terminano a punta: è la Coppia ferrarese, in dialetto ciupeta, un pane croccante dal cuore morbido la cui forma ricorda una X.
Passeggiando la mattina per le strade di Ferrara, è facile essere investiti dal piacevole profumo di questo pane appena sfornato.
Riconosciuto oggi con il marchio IGP, la sua ricetta (farina, acqua, strutto, olio extravergine di oliva, lievito madre, sale e malto) affonda le radici in tempi lontani: sappiamo infatti che la coppia è presente sulle tavole della città fin dall'epoca Estense.
La Crescente, o crescenta (carsènt in dialetto), è - come indica il nome stesso - un impasto lievitato tipico della città di Bologna; è una focaccia profumata e saporita, che si gusta tradizionalmente a colazione/merenda o come pranzo frugale.
Si tratta di una ricetta antica, di recupero, nata per utilizzare gli avanzi dell'impasto del pane, che veniva arricchito con un po' di strutto e con la parte finale del prosciutto, il cosiddetto gambuccio, tagliato a dadini.
Successivamente il gambuccio è stato sostituito con altri salumi più pregiati (pancetta o prosciutto) e la sua ricetta originale è stata depositata presso la Camera di Commercio di Bologna dall’Accademia Italiana della Cucina.
Le Crescentine, note comunemente anche come tigelle (dal nome delle pietre che vengono tradizionalmente usate per cuocerle nel camino), sono delle focaccine tipiche dell’Appennino Modenese. Preparate con un impasto di farina, acqua e sale, un tempo venivano preparate tutti i giorni e poi portate ai contadini che le consumavano nei campi.
Oggi come allora vengono servite farcite con salumi e formaggi locali, anche se la loro farcitura più tradizionale prevede un cucchiaio di pesto montanaro (un battuto di lardo, aglio e rosmarino) e una spolverata di Parmigiano Reggiano.
Figlio della ricca tradizione gastronomica emiliano-romagnola, lo gnocco fritto è un must tra i prodotti della panificazione regionale, perfetto per un antipasto rustico e goloso, magari accompagnato da un bicchiere di Lambrusco.
A seconda della zona in cui si trova, questa ricetta assume nomi differenti; alla base, però, la ricetta, anche se con lievi differenze, è sempre la stessa.
Se a Reggio Emilia e Modena si parla di gnocco fritto, il suo nome diventa Torta fritta a Parma, Pinzino a Ferrara e Crescentina fritta a Bologna.
Dal punto di vista gastronomico si tratta di una preparazione simile alla pasta di pane (acqua, lievito e farina), stesa al matterello, tagliata a losanghe e fritta, tradizionalmente nello strutto.
Durante la frittura, le losanghe si gonfiano e sono pronte per essere servite belle calde, accompagnate con salumi o con formaggi morbidi come lo squacquerone. Non disdegnano però anche la compagnia di sottaceti e sottoli.
Il pane col bollo è tipico del piacentino, in particolare del paese di Ponte dell’Olio, ma è molto noto anche fuori provincia.
La sua storia si fa risalire al Quattrocento quando il bollo - ovvero una pallina di pasta messa al centro del pane, come fosse un sigillo - veniva utilizzato per distinguere le pagnotte destinate ai pellegrini che transitavano nel tratto emiliano della Via Francigena.
Prodotto a Busseto, questo pane - noto anche come Miseria o Pane della Misericordia - è tipico della città e della provincia di Parma, ma conosciuto in tutta la zona della Pianura Padana con il nome di “micca”.
Si tratta di un pane povero di farina di grano tenero, dalla forma oblunga di circa 30 cm, insaporito con strutto e sale e inciso al centro, in modo da dargli la classica forma a farfalla.
Sulle colline modenesi, a Pavullo nel Frignano, c’è una tipologia di pane - solitamente nella forma della pagnotta rotonda o allungata - che gode di una meritata fama dovuta alla consistenza e la sua alta digeribilità. La tradizione più nota e antica è quella di Verica, frazione di Pavullo.
Le caratteristiche principali di questo prodotto dipendono dagli ingredienti usati: l'utilizzo di farina di grano tenero coltivato esclusivamente nelle colline modenesi, la mancanza di sale, una piccola quantità di strutto e l’impiego di un lievito naturale (o pasta acida) rinnovato ogni 6 ore in estate, e ogni 12 ore in inverno.
Nata nella prima metà del ‘600 all'interno della comunità ebraica di Finale Emilia, la sfogliata detta anche Torta degli Ebrei (in dialetto Tibùia) è una sorta di "torta grassa" composta da vari strati sovrapposti a partire da un impasto di farina, burro e formaggio.
La ricetta attuale, con l'aggiunta di strutto, è una derivazione di quella originale ebraica e viene fatta risalire al 1860 ad opera di un certo Giuseppe Alfonso Maria Alinori, un ebreo convertito al cattolicesimo.
La tibùia viene tradizionalmente consumata calda nei mesi invernali, a partire dal 2 novembre, accompagnata - se possibile - da un bicchierino di anicione.
In occasione di San Petronio, patrono di Bologna, è tradizione preparare un pane dall’impasto morbido e saporito che viene farcito con Prosciutto crudo e Parmigiano Reggiano.
Tante sono le ricette tradizionali, anche se quella ufficiale è decretata dall'Accademia Italiana della cucina di Bologna e depositata presso la Camera di Commercio di Bologna.
Fragrante e genuina, la piada (o piadina) non ha bisogno di presentazioni. Chiunque la conosce e almeno una volta nella vita l’ha gustata.
Sottile nel riminese, il suo spessore aumenta man mano che si sale lungo la costa romagnola, e a Forlì e Ravenna si mangia tagliandola a metà.
Può essere mangiata in sostituzione del pane, per accompagnare qualsiasi pietanza. Solitamente, però, viene piegata a metà e farcita con salumi, formaggi e verdure (ma anche con creme e confetture nella versione dolce) e accompagnata da un buon vino rosso, preferibilmente Sangiovese.
La versione chiusa della piadina, tradizionalmente farcita con erbette in foglia saltate, ma anche con formaggio morbido e pomodoro, prende un nome specifico: si chiama Cassone nel riminese e Crescione nel forlivese e nel ravennate.
Nella Valle del Santerno, infine, c'è la tradizione della Piadina fritta: i disci di piadina, invece di essere cotti sul testo, vengono fritti per qualche minuto in abbondante olio, quindi serviti con una spolverata di sale. La piadina fritta si può mangiare sola o farcita a piacere.
Nata dal connubio tra il pane ferrarese e la cipolla, la Tirotta è una focaccia a base di impasto di pane, fatta con farina, acqua, olio extra vergine oliva, strutto, lievito, sale e malto, a cui viene aggiunta nel corso dell'ultima lievitazione la cipolla fresca.
Pare che la sua preprazione risalga addirittura al periodo Estense, quando veniva fatto largo uso di odori, erbe aromatiche e condimenti dal sapore forte.